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aperte . (SI ALLUNGA LA VOCALE ACCENTATA CHE STA IN UNA SILLABA APERTA, CIOÈ CHE NON HA
CONSONANTE FINALE)
L’individuazione dei nuclei sillabici è un fatto soprattutto fonetico, mentre l’individuazione dei confini sillabici
viene in parte decisa a livello fonologico e ogni lingua presenta determinate restrizioni riguardo al numero e al
tipo di suoni che possono comparire nella testa e nella coda della sillaba.
I linguisti danno il nome generale di fatti sovrasegmentali a una serie di fenomeni del linguaggio che si
pongono al di fuori e al di sopra rispetto al livello dei fonemi. I principali sono l’accento, l’intonazione di frase, il
tono e la durata. Le sillabe presentano necessariamente un nucleo sillabico e, ciascuno di esso, viene
eseguito ad una determinata altezza, intensità e durata. Per quanto riguarda l’accento, la sua funzione è
culminativa, infatti consiste nella messa in risalto di una determinata unità linguistica all’interno di una
sequenza di tali unità, tramite mezzi fonetici. Queste sequenze di unità sono diverse nelle varie lingue. Si parla
quindi di accento di parola, accento di gruppo e accento di frase , spesso chiamato intonazione di frase.
In qualsiasi enunciato di una lingua, altezza, intensità e durata sono naturalmente presenti, ma, di solito, una
soltanto di queste caratteristiche acquisisce valore funzionale in un dato sistema fonologico. Quindi si
distingue tra: accento di intensità , che consiste nell’applicare maggiore energia articolatoria per mettere in
risalto un’unità; accento di altezza , o musicale , ottenuto modificando la frequenza di una determinata unità; e
accento di durata , che però non è attestato in nessuna lingua conosciuta.
Gli aspetti strutturali dell’accento dipendono dalla posizione che esso occupa all’interno della parola o del
sintagma. Dal punto di vista fonologico, l’accento può essere sillabico oppure morico . Dal punto di vista
funzionale, l’accento sillabico interessa tutta la sillaba accentuata, l’accento morico interessa solo una parte
della sillaba accentuata, ossia la mora vocalica .
Esistono molte lingue in cui la sede dell’accento è condizionata, infatti si parla di accento condizionato o
limitato . In altre lingue, la sede dell’accento è del tutto fissa, ad esempio in francese, dove l’accento cade
sempre sull’ultima sillaba, e si tratta dell’ accento fisso . In altre lingue invece, la sede dell’accento non è né
prevedibile né determinabile a priori. In questo caso si parla di accento libero , cioè, la sede dell’accento non
è vincolata da leggi puramente fonologiche a una determinata posizione nel lessema e quindi, libero non
significa che esso sia a scelta arbitraria del parlante.
Dal punto di vista funzionale, tutti i tipi di accento svolgono la funzione culminativa, segnalando unità ritmiche
che compongono l’enunciato. Nelle lingue in cui l’accento è fisso, l’accento ha funzione demarcativa, cioè
segnala il confine tra parole o sintagmi. Nelle lingue in cui l’accento è libero, esso sembrerebbe svolgere
anche la funzione distintiva, ma non è un tratto distintivo vero e proprio.
Invece, dal punto di vista funzionale, il tono differisce dall’accento perché non svolge nessuna funzione tipica
dei tratti sovrasegmentali, bensì svolge una funzione distintiva. Il tono può essere definito come l’alterazione,
con funzione distintiva, delle caratteristiche di altezza o di melodia delle unità linguistiche. Fonologicamente, il
tono serve a creare distinzioni di significato lessicale o morfologico.
MORFOLOGIA 14
Il termine morfologia fu coniato dal poeta Goethe con l’intenzione di proporre una scienza che studiasse le
forme degli oggetti. Essendo la morfologia nata in Europa e, nonostante negli anni si cerchi sempre di più di
giungere ad un approccio universale, si riscontrano ancora delle ambiguità quando essa si applica alle lingue
europee moderne e, ancor di più, a quelle extra europee. Questo perché le lingue classiche sono ricche di
morfologia e presentano una sintassi libera, mentre molte lingue del mondo sono povere di morfologia e più
rigide nella sintassi. La morfologia studia la sequenza delle unità di prima articolazione. La fonologia ci
fornisce gli strumenti per poter segmentare un testo in singoli fonemi. Tuttavia, il senso di un testo non
proviene dai fonemi, ma da unità di rango superiore, ossia le parole. È possibile inoltre creare un dizionario
delle parole che compongono un testo, ma è necessario decidere quali parole vadano registrate. I compiti
principali della morfologia sono:
a. divisione del testo in parole;
b. analisi della struttura delle parole e individuazione delle parti minime;
c. generazione di tutte le possibili forme che una parola può assumere;
d. classificazione delle parole in base alle loro caratteristiche morfologiche;
e. descrizione dell’interazione tra la forma delle parole e la sintassi.
L’unità minima della morfologia è il morfema
, il quale corrisponde quasi esattamente al segno di Saussure.
Bloomfield ridefinì il termine morfema, designando un’unità astratta indivisibile che abbina un certo significato
a una rappresentazione fonologica.
Invece, Martinet considera come un’unità minima quella che ha un significante e un significato e non può
essere scomposta ulteriormente, ossia il monema . Egli distingue due tipi di monemi: i lessemi ossia i monemi
con un significato noetico-referenziale, e i morfemi , ossia tutti i monemi che svolgono una funzione
grammaticale. In realtà però, i monemi non sono solo necessariamente biplanari, cioè dotati di un significante
e un significato. Alcuni di loro sembrano stare dove stanno senza una motivazione o necessità semantica
chiara. Ad esempio, benché il prefisso verbale ri- s
ignifichi “di nuovo”, vi sono casi in cui il significato del
prefisso si è opacizzato, come ad esempio nel verbo ridurre
.
Al giorno d’oggi però, quando si parla di morfologia, si indica come unità minima il morfema, il quale si divide
in morfemi grammaticali derivazionali e flessionali. I derivazionali sono elementi che servono per derivare
una parola a partire da un’altra, mentre i morfemi flessionali servono per formare le varie forme della stessa
parola.
È quasi errato parlare di parola , in quanto, in linguistica, non esiste una definizione del concetto di parola che
sia applicabile a qualsiasi lingua. Per tentare di darvi una definizione non basta affidarsi alla parola grafica
perchè, ad esempio, alcune scritture codificano i confini tra le parole tramite l’utilizzo degli spazi bianchi, ma
questo non è un criterio sempre valido dato che in alcune lingue, le parole composte possono essere scritte
sia di seguito, sia separando le componenti del composto con lo spazio o con il trattino.
Esiste anche la cosiddetta parola fonologica , intesa come una porzione della catena parlata delimitata da
appositi indicatori fonologici, detti segnalatori di confine . Ma, il problema è che la parola fonologica risultante
potrebbe non coincidere con la parola grafica e, inoltre, i segnalatori di confine non sono universali, ma
specifici di ogni lingua. Tra i più frequenti c’è l’accento, molto diffuso nel francese, che sede fissa nell’ultima
sillaba della parola e, quindi, grazie ad esso, siamo sicuri che in quel punto termina una parola e ne inizia
un’altra. Possono funzionare da segnalatore di confine anche alcuni fenomeni fonologici contestuali come la
neutralizzazione e l’allofonia.
Esiste anche la parola morfologica , cioè il raggruppamento minimo di fonemi. Per mezzo di tale criterio si
considera parola tutto il materiale linguistico che va dal prefisso alla desinenza. Ognuno dei morfemi può stare
solo nel posto a esso riservato: in italiano, non si possono quindi spostare le desinenze da fine ad inizio
parola, in quanto esse rappresentano una specie di segnalatore di confine di tipo morfologico. Ma anche il
concetto di parola morfologica possiede dei limiti, infatti, nelle lingue flessive esistono i lessemi invariabili che
non hanno alcuna desinenza, e quindi il concetto di parola morfologica non vi è applicabile.
La parola va distinta anche rispetto alle strutture di rango superiore, ossia i sintagmi, definibili come
raggruppamenti di parole. Si usa, a tale scopo, il criterio dell’integrità lessicale . La caratteristica distintiva
del sintagma è la ricorsività, cioè la possibilità di arricchirlo continuamente con parole nuove, senza però
cambiare il significato del messaggio di base; quindi può essere facilmente interrotto. Viceversa, una parola
morfologica non può essere interrotta dall’inserimento di altro materiale linguistico. Il criterio dell’integrità 15
lessicale non è, però, applicabile a tutte le lingue. Ad esempio, l’arabo utilizza i cosiddetti interfissi, cioè
morfemi che si inseriscono all’interno della radice. Inoltre, in molte lingue esistono dei sintagmi che funzionano
sintatticamente come singole parole, ossia le cosiddette espressioni polirematiche , o sintemi , ad esempio
“guerra fredda”, alle quali il concetto di parola morfologica è difficilmente applicabile.
Infine, l’intuizione dei parlanti contraddice il criterio dell’integrità lessicale. Succede che i parlanti analizzino
parole intere come sequenze di parole autonome: si tratta della risegmentazione .
Le unità con cui opera la sintassi vengono chiamate parole sintattiche , che hanno una certa autonomia
all’interno dell’enunciato, cioè hanno la capacità di comparire anche in isolamento, ma ciò non vale per tutti gli
elementi.
Nel concetto di parola c’è inoltre un’importante distinzione tra una forma che compare in un testo e il rispettivo
lemma registrato in un dizionario. Si definisce forma flessa, o word form, la parola che compare in un testo,
e lessema la parola inserita tra i lemmi di un dizionario. A un lessema corrispondono varie forme flesse
secondo quante categorie grammaticali prevede la sua classe lessicale . Non esiste un criterio sempre
valido per stabilire a priori quali forme flesse vadano raggruppate in un unico lessema, infatti