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3.4 LA POLITICA DI RINNOVAMENTO DEL WELFARE STATE

Le tesi di Offre sono convincenti ma sono costruite sulle base di presunte tendenze logiche, non

riescono a spiegare il perchè alcuni Stati in determinati periodi diventino l'oggetto di certe

strategie politiche oppure mostrino specifiche forme concrete di crisi. In questo caso si rivela

utile l'approccio “strategico – relazionale” elaborato da Bob Jessop, il quale sostiene che lo Stato

spesso sia il luogo di strategie conflittuali tra gruppi sociali, partiti politici e dipendenti statali.

La critica conservatrice: lo Stato permissivo

Il welfare state socialdemocratico, tanto concentrato sulla fornitura di servizi di welfare e sui

diritti sociali, è stato oggetto di attacco politico dagli schieramenti di destra a partire dagli anni

'80. in molti Paesi, dopo la Seconda guerra mondiale, si era sviluppata un'ampia convergenza

politica tra destra e sinistra che porta in molti casi ad un'accettazione generale dell'esistenza del

welfare state. Durante gli anni '80 questo consenso venne meno e lo Stato sociale divenne

l'oggetto di grandi critiche nate tra i pensatori di destra. Anche la critica di destra era

contraddittoria al suo interno, perchè combinava elementi conservatori con altri liberali. I

neoconservatori attaccavano il welfare state per un suo presunto ruolo nel minare le strutture

tradizionali della famiglia, della religione e dell'iniziativa personale. Questa visione ha generato

un acceso dibattito, con molte tesi che suggeriscono che lo Stato risponda a mutamenti sociali

più ampi (per esempio nelle strutture familiari), piuttosto che produrre esso stesso tali

cambiamenti e che il nucleo familiare tradizionale non debba essere considerato come l'unica

forma di famiglia legittima, né necessariamente la migliore.

La critica neoliberale: lo Stato bambinaia

Le posizioni neoliberali sono per molti aspetti in disaccordo con quelle conservatrici, anche se le

due si combinano nel pensiero dei partiti politici di destra. Una prospettiva liberale, con

l'esaltazione della libertà individuale, potrebbe sottolineare il diritto delle persone di vivere nella

forma di famiglia che preferiscono, senza interferenze da parte dello Stato. Dall'altra parte i

neoliberali potrebbero condividere con i conservatori le paure nei confronti dei sussidi di

welfare forniti alle madri single. Il neoliberismo sostiene che la fornitura di servizi di welfare da

parte dello Stato dovrebbe essere ridotta al minimo e lo Stato non dovrebbe impegnarsi né a

favore né contro il nucleo familiare tradizionale. Il presupposto del neoliberismo è che il libero

mercato, lasciato agire liberamente, assicura il maggior benessere per il maggior numero di

persone; ne consegue che l'intervento dello Stato sia destinato a fallire nel lungo periodo e che

lo Stato sia meno efficiente del mercato nel favorire il benessere. In risposta a tali tesi, i critici di

sinistra sostengono che le forze di mercato, lasciate a se stesse, non producono giustizia sociale,

ma agiscono in una maniera che portano a maggiori difficoltà per chi si trova ai gradini più bassi

della scala sociale.

La critica femminista: lo Stato di genere

Un punto di vista molto diverso viene dalle autrici femministe che hanno criticato molte attività

dello Stato, sulla base delle connotazioni di genere. Il femminismo è un movimento molto

variegato, ma in genere si concentra sulla posizione diseguale delle donne nei confronti del

genere maschile. Il femminismo liberale enfatizza la lotta per la parità di diritti da parte delle

donne all'interno dei sistemi sociali esistenti, mentre il femminismo socialista e radicale sostiene

che questi siano la fonte stessa delle disuguaglianze di genere e che vadano trasformati

radicalmente. Le femministe socialiste suggeriscono che il capitalismo giochi un ruolo

importante nel produrre le disuguaglianze di genere, mentre le femministe radicali concentrano

l'attenzione sulle relazioni sociali patriarcali. Questo ha portato le femministe socialiste a

concentrarsi in temi come la posizione delle donne nel mercato del lavoro, mentre quelle

radicali guardano soprattutto al ruolo degli uomini e delle ideologie maschiliste nello sfruttare le

donne attraverso il controllo sui loro corpi e la violenza. Le femministe hanno anche sostenuto

che le attività di welfare dello Stato vadano a vantaggio degli uomini, ma questo cambia a

seconda dei casi, per esempio il beneficio per le donne è stato raggiunto soprattutto nei regimi

socialdemocratici, rispetto a quelli conservatori.

La terza corrente del femminismo, quella liberale, si concentra sui diritti legali e sull'uguaglianza

di opportunità, infatti è stato enfatizzato il fatto di dare alle donne le stesse possibilità di

accesso al lavoro che agli uomini.

Le sfide socialiste: lo Stato borghese

La critica socialista al welfare state sostiene che lo Stato operi in favore della classe media e

secondo gli interessi del capitale, ai danni della classe lavoratrice. Alcuni autori socialisti hanno

messo in evidenza il fatto che i ruoli decisionali dell'apparato dello Stato tendano a essere

occupati in modo sproporzionato dalla borghesia, mentre altri hanno sostenuto che il processo

di formazione dello Stato è il risultato dello sviluppo di alleanze di classe. Gli Stati fondano gran

parte della propria rivendicazione di autorità e legittimità anche sulle politiche economiche:

dato che il sistema economico è dominato dalle relazioni di produzione capitaliste che, secondo

l'analisi socialista, dipendono dalla continua accumulazione di capitale e dallo sfruttamento di

classe, è inevitabile che promuovere la crescita economica significhi promuovere gli interessi del

capitalismo. Tradizionalmente, la resistenza di classe nei confronti dello Stato deriva dalla

nascita dei movimenti dei lavoratori e dei sindacati. Alla crescita dei servizi di welfare si è

accompagnata la crescita della forza lavoro statale, di conseguenza lo Stato veniva coinvolto

sempre più direttamente nella costituzione di relazioni di classe. Le sfide rivolte allo Stato dai

movimenti dei lavoratori potevano essere lanciate non solo attraverso il sistema politico (come

con l'affermazione dei partiti laburisti e socialisti) ma anche per mezzo di proteste sindacali da

parte dei lavoratori dello Stato.

La formazione dello Stato e le lotte sociali

Anche se lo Stato è l'oggetto di critiche provenienti da diverse posizioni politiche, i movimenti

sociali e politici che si fondano su queste critiche puntano a cambiarlo, piuttosto che ad abolirlo.

Le caratteristiche future degli Stati dipendono dal successo politico di strategie e movimenti

sociali che si basano su queste posizioni critiche.

La nascita del workfare state

Quando una crisi fiscale, a metà anni '70, portò New York sull'orlo della bancarotta, il welfare

state nazionale non subì un totale collasso. Anche dopo grandi trasformazioni, i governi

continuano a spendere elevate somme del proprio bilancio per il welfare state e le attività

correlate. Nella maggior parte dei Paesi, i servizi pubblici fondamentali ricevono ancora un

notevole supporto da parte dello Stato, ma quello che è cambiato è come questo bilancio viene

suddiviso e il modo in cui vengono erogati i servizi. La fornitura di servizi di welfare è stata

condizionata da diversi fattori e spesso non viene più vista come un diritto universale, ma come

qualcosa che ci si deve guadagnare. Per esempio i disoccupati devono seguire corsi di

formazione professionale o devono partecipare a programmi mirati di ricerca del lavoro. Questa

crescita di vincoli ai servizi di welfare ha portato alcuni a parlare di un passaggio dal welfare al

workfare state. L'idea di workfare nasce negli USA tra gli anni '60 e '70 e inizialmente faceva

riferimento a programmi che richiedevano alle persone che vivevano grazie al welfare, di

lavorare per guadagnarsi i sussisti. Oggi si sta diffondendo sempre più il “workfarismo” ovvero

un approccio alle politiche del lavoro per il quale chi riceve dei sussidi deve guadagnarsi il

proprio denaro, attraverso cambiamenti nel comportamento ed una partecipazione attiva ai

programmi ufficiali, pensati per rendere queste persone più adatte al mercato del lavoro. Il

proposito è quello di spostare le persone dal welfare al lavoro. Il workfarismo si basa sull'idea

che la disoccupazione non esista a causa della scarsità dei posti di lavoro, ma perchè le persone

senza impiego sono inadatte ai lavori esistenti o non vogliono migliorare il loro stato. L'obiettivo

è quello di formare gli individui in modo mirato, per venire incontro alle necessità dei potenziali

datori di lavoro.

3.5 INTERPRETARE IL REGIME DI WORKFARE

Uno dei resoconti più approfonditi dei cambiamenti nella natura dello Stato si ritrova nel lavoro

di Bob Jessop. Lui sostiene che il welfare state nazionale keynesiano stia venendo rimpiazzato da

un regime di workfare post – nazionale. Nelle economie internazionalizzate del XXI secolo, i

governi danno priorità alla competitività economica, piuttosto che allo stato sociale. Jessop

definisce ciò “schumpeteriano” citando l'economista Joseph Schumpeter che era interessato

all'economia dell'innovazione. Oggi in generale, lo Stato continua ad essere coinvolto nel

finanziamento dei servizi, almeno per i gruppi più svantaggiati, ma la loro fornitura viene spesso

affidata ad organizzazioni private o volontarie. Questo processo di privatizzazione si è diffuso in

maniera diseguale, sia tra i diversi Stati che al loro interno. La crescente importanza del settore

informale e no profit ha portato alcuni a parlare della nascita di uno “Stato ombra”, una serie di

istituzioni che stanno gradualmente sottraendo funzioni allo Stato.

Sussidiarietà: è un principio regolatore della società e dell'organizzazione politica, presente in

molte correnti della filosofia politica e del diritto. La sussidiarietà può essere verticale (le

decisioni politiche devono essere prese al livello di governo più vicino ai cittadini) oppure

orizzontale (il settore pubblico deve intervenire solo dove la società non sia in grado di

organizzarsi autonomamente).

CAPITOLO 4 - “DEMOCRAZIA, CITTADINANZA ED ELEZIONI”

La pratica del voto presenta uno degli esempi più tangibili della partecipazione democratica. La

geografia elettorale è una branca molto vitale della geografia politica, che analizza la

distribuzione dei modelli di voto e l'assetto territoriale delle competizioni elettorali, spesso

connesso alle disparità sociali, culturali ed economiche.

(In questo capitolo si prende come riferimento lo Stato liberaldemocratico, questo non vuol dire

che si attribuisc

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A.A. 2016-2017
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-GGR/01 Geografia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vale_13 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Geografia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università per stranieri di Siena o del prof Tabusi Massimiliano.