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CRITICHE:

Gli orientamenti politici non possono essere ridotti al semplice dualismo

1. tra destra e sinistra. Gli individui possono avere punti di vista

contraddittori sullo stesso tema politico, e questo non viene considerato.

Le conclusioni di Siegfried sembrano portare a un determinismo

2. ambientale, per cui è l’ambiente a condizionare le attitudini politiche. E’

una teoria fortemente criticata di essere razzista.

Dopo Siegfried la geografia politica del XX secolo ha seguito due tendenze:

Un passaggio dalla ricerca di grandi spiegazioni generali delle tendenze

1. di voto verso un approccio empirico basato sulla ricerca sul campo

Spostamento dell’attenzione sull’analisi delle geografie della

2. rappresentanza, analizzando il modo in cui l’organizzazione spaziale delle

elezioni può servire a influenzarne i risultati.

Il comportamento degli elettori

Negli anni ’50 l’approccio empirico era favorito dalla crescente disponibilità di

dati numerici, con cui si strutturavano modelli e proiezioni delle tendenze di

voto. Un primo tentativo di teorizzare in termini quantitativi venne fatto con

l’effetto vicinato: le interazioni sociali influenzano attitudini e comportamenti di

voto delle persone. Se la maggioranza dei contatti sociali di una persona

appoggia una posizione politica, è probabile che questa persona appoggerà

questo, anche se le sue caratteristiche personali suggeriscono altrimenti.

I critici dell’approccio positivista alla geografia elettorale ritengono che ad essa

manchi un collegamento con la teoria sociale, e sia quindi impossibilitata a

comprendere le dinamiche politiche spaziali delle elezioni. Accusano di

empirismo i primi lavori di geografia elettorale, i quali si limitavano a

descrivere i modelli di voto, senza attenzioni per questioni più ampie.

Gli ultimi studi sul comportamento di voto hanno utilizzato un’ampia gamma di

metodologie quantitative, per meglio comprendere l’interazione tra dinamiche

spaziali e comportamenti di voto, collegando i concetti di territorio (costrutto

sociale) e human agency (l’azione umana nel processo di produzione del

territorio).

Ad esempio si studia la riduzione del voto in Italia in relazione a società e

territorio: al Sud votano meno donne e anziani in quanto estranei alla politica,

mentre al Nord votano meno giovani per protesta contro la politica attuale.

La disciplina può progredire ulteriormente nel comprendere la formazione del

consenso ai partiti e dei modelli di voto; oltre all’interpretazione dei dati

statistici, occorre focalizzarsi anche sull’aspetto qualitativo degli attori

coinvolti, determinando i fattori economici, sociali e culturali che determinano

l’appartenenza politica degli individui.

Geografie della rappresentanza

Gli aspetti spaziali delle elezioni hanno rappresentato un interesse primario per

i geografi. Ogni sistema uninominale del mondo (esclusi Paesi Bassi e Israele)

divide il proprio elettorato in collegi definiti su base territoriale. Essi non

rappresentano territori naturalmente determinati, ma vengono continuamente

revisionati (migrazioni o cali della popolazione).

Variando i collegi possono variare i risultati delle elezioni, dunque questo tema

interessa i geografi politici. Le potenzialità di questo processo di influenzare

l’esito elettorale vengono descritte dagli esempi del malapportioning

(suddivisione non equa del territorio in collegi) e del gerrymandering: il primo è

riferito a una disuguaglianza dovuta alle differenze nelle dimensioni dei collegi,

importante quando i partiti dominanti sono due. Se uno vince nei collegi piccoli

e uno nei grandi, al primo servirà un numero minore di voti per raggiungere lo

stesso numero di seggi; il secondo si riferisce alla pratica di ridefinire

l’estensione di un collegio per ottenere un vantaggio elettorale (in GB si misero

in vendita abitazioni del Consiglio a potenziali elettori conservatori,

modificando la consistenza demografica, e non i territori, e fini elettorali).

Nella geografia politica c’è una tendenza a ridurre le attitudini di voto alle

preferenze espresse nel giorno delle elezioni. Non si può però sempre

presumere che il voto sia espressione della visione politica degli individui.

Rush utilizza il termine “fluidità partigiana” per richiamare l’attenzione sulla

natura mutevole della fedeltà degli elettori. I confini elettorali, mutevoli,

possono in questi casi modificare alterare le preferenze degli elettori, i quali

perdono la fiducia nei partiti al potere dati i loro tentativi di manipolare le

geografie elettorali. Le preferenze individuali non sono fisse, ma prodotte da

molteplici fattori sociali e geografici.

Un caso di studio: i collegi elettorali americani (esempio di

malapportionment) LEGGI P.131-135

CAPITOLO QUINTO: La politica e la città

Cosa sono le politiche urbane?

E’ difficile arrivare a una definizione di città, in quanto esse sono cambiate nel

corso del tempo. E’ la città Medievale quella che ha più influenzato l’idea

moderna di città: era piccola per gli standard odierni (10.000 abitanti), anche

se le maggiori erano 5-10 volte più grandi. Erano un centro amministrativo,

politico ed economico per il suo territorio circostante. In città confluivano i

prodotti agricoli, e vi si trovavano i governanti aristocratici, gli artigiani e i liberi

professionisti, e i contadini.

Essa era un centro che agiva autonomamente sul piano politico rispetto alle

altre città o ad autorità superiori, come papato e impero.

Oggi quasi tutte le città non sono solo collegate al territorio circostante, ma

attraverso reti di commerci e flussi umani anche all’esterno dei confini

nazionali. Le città fanno parte di una gerarchia politica e amministrativa, con gli

stati nazionali che esercitano una forte influenza sia sulle politiche della città

che sugli aspetti minimi di vita urbana. Non sono più comunità compatte e

organiche, ma esseri enormi, frammentati (territorialmente e socialmente). Il

mondo fatto da città divise ha lasciato spazio a un diffuso “urbanesimo”.

Questa realtà rende difficile stabilire i confini territoriali e concettuali delle città

(un uomo che abita in campagna ma lavora in città, è definibile rurale?), con

conseguente difficoltà nel determinare le politiche urbane. Come si possono

definire gli aspetti della politica rivolti alla città?

Non bisogna considerare come politiche urbane tutte quelle che hanno luogo in

città (non lo sono, per esempio, le campagne elettorali e le marce di protesta),

ma solo quelle che riguardano tematiche urbane.

Un metodo per avvicinarsi a una definizione potrebbe essere considerare le

relazioni tra le funzioni orane e la forma della città. David Harvey cerca di

definire la specificità delle politiche urbane, partendo dall’analisi del modo di

produzione capitalista di Marx, dimostrandone il valore nell’interpretazione

delle politiche urbane.

Secondo Harvey, l’urbanizzazione dovrebbe essere vista come processo, non

come oggetto, e come tali non hanno limiti spaziali fissi. Egli parte dall’analisi

del mercato del lavoro urbano, in base ai movimenti giornalieri dei pendolari.

Nel Medioevo si lavorava in città, o poco fuori (le città superavano raramente i

5km di diametro). Oggi non è insolito spostarsi di 50, 70 o 100 km.

Harvey sostiene che i datori di lavoro debbano adattarsi alla disponibilità di

forza lavoro all’interno dei limiti di ogni regione. Se una fabbrica finisce il

materiale a livello locale, può reperirle altrove, ma la forza lavoro non è

procurabile con la stessa facilità. Nel lungo periodo il problema non è

insormontabile, grazie all’immigrazione o alla crescita della popolazione; nel

breve termine i datori di lavoro devono lavorare con la forza lavoro a loro

disposizione, la cui qualità è determinante. I lavoratori più qualificati possono

richiedere salari più alti, mentre i sindacati possono riuscire ad aumentare le

paghe della manodopera meno qualificata, attraverso l’azione collettiva.

Il risultato è un insieme di lotte tra imprenditori e lavoratori. Inoltre la maggior

parte dei guadagni dei lavoratori viene spesa a livello locale (abitazioni, cibo,

vestiti): ciascun mercato del lavoro urbano sostiene una serie di pratiche di

consumo, determinate dalla distribuzione dei guadagni tra i diversi gruppi

sociali.

Per Harvey, la competizione capitalistica è soggetta a limitazioni spaziali.

Anche se la ricerca di nuove fonti di profitto genera un dinamismo di

produzione, scambi e consumi, questa può essere limitata da forze opposte

(quando un’impresa trova una nuova fonte di profitti, fa di tutto per difendere

questa posizione vantaggiosa: si impegna per evitare l’accesso di nuove

imprese nel mercato e prova a monopolizzarlo con accordi esclusivi e strumenti

del genere).

Secondo i modelli ideali del mercato perfettamente concorrenziale, i limiti

geografici sarebbero scavalcati dalle leggi di domande e offerta. La carenza di

forza lavoro è soppiantata dall’immigrazione e si arriva ad un’allocazione

efficiente di luoghi e imprese. Ma la realtà è differente: i limiti geografici

influenzano lavoro e capitale, con due risultati:

Tendenza alla “coerenza strutturata” delle regioni urbane. Per quanto

 riguarda le infrastrutture fisiche, la disponibilità di trasporti pubblici

condiziona la capacità dei lavoratori di accettare opportunità di lavoro;

quanto agli aspetti sociali, la diffusione/qualità degli asili influenza la

capacità di accesso dei genitori nel lavoro.

Lo sviluppo di interessi sociali ed economici, frutto dei conflitti e

 compromessi sui salari, pratiche di consumo, salvaguardia di vantaggi

competitivi e l’offerta di infrastrutture fisiche e sociali. Nel modello della

competizione economica non ci sarebbe la necessità di alleanze, e i

conflitti sarebbero risolti dalle forze del mercato. In un mondo influenzato

dalle condizioni geografiche, le politiche urbane sono inevitabili, come le

negoziazioni.

Questo non implica che la città sia un attore politico unico: le classi sociali e le

alleanze mutano; l’effetto principale è la creazione di una regione urbana come

spazio dove possano emergere politiche urbane relativamente autonome.

Questo significa che le politiche urbane non sono solo un’emanazione della

politica nazionale (le città sviluppano le proprie tradizione politiche ed interessi

politici), oltre che il contenuto delle politiche della città non può essere derivato

direttamente da logic

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
70 pagine
10 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-GGR/02 Geografia economico-politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher eli.tina di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Geografia politica ed economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Dansero Egidio.