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HORROR PLENI
CAPITOLO 12:
L’espressione horror pleni è creata dal filosofo italiano Gillo Dorfles: a partire dagli anni ‘40. Noi siamo negli
anni in cui i messaggi devono essere ripetuti molte volte per poter essere compresi, c’è inquinamento visivo
e acustico. Importante è la pausa ovvero uno spazio libero tra le cose, che però oggi manca: necessario
riscoprire il valore della noia.
Tendenza alla riduzione, ovvero svuotamento: potrebbe essere una pausa nella logica di Dorfles.
Ma in realtà c’è, c’è troppo ma ci deve stare, quindi no svuotamento.
Religioni del libro sono ebraismo, islamismo e cristianesimo: ma solo il cristianesimo tratta della trinità. Il
buddhismo propone lo svuotamento, ma inteso come svuotamento totale, non come svuotamento dal
superfluo.
TESI : l’idea di togliere è nichilista in radice: nihil=nulla. Perché se l’essere è aggiunta e quindi contiene più
di quanto può, allora il togliere è nichilista in radice.
Quindi non è vero che c’è spazio per tutto, c’è sempre qualcosa che resta fuori: l’idea aristotelica (due metà
ecc.) non riflette la struttura della realtà, che invece una realtà aggiuntistica, che prevede l’eccesso. Si può
pensare che la soluzione sia eliminare l’aggiunta, ma in realtà l’aggiunta è elemento costitutivo della realtà.
C’è una purezza nel togliere, nella filosofia del togliere, ma l’essere è aggiunta.
DUNS SCOTO: scolastica medioevale
P 161, par 2: La non identità formale da parte della cosa (non identitas formalis): questa espressione è un
dispositivo che utilizza per spiegare, è la parola in cui c’è il dispositivo ovvero il punto chiave per dare una
ragione della realtà, per spiegarla. Testi tratti dall’opera Ordinatio di Duns Scoto. C’è una questione, ovvero
un problema, le argomentazioni a favore, quelle contro, soluzione, argomentazione della soluzione, critiche
alla soluzione e risposte alle critiche.
· Questione: è Dio, la simplicitas Dei, ovvero la semplicità di Dio. Riferendosi al fatto che Dio non è
composto, non è composto di parti, in Dio non c’è alcuna forma di complessità o composizione. Perché
le cose composte sono smontabili, quindi i teologi sostengono che Dio è immortale, quindi non
composto e non scomponibile in parti, altrimenti sarebbe mortale. Nella simplicitas è compreso anche
il concetto che Dio è fonte di tutte le interpretazioni, ma è al di sopra di tutte le interpretazioni. La
gloria è una manifestazione esterna di Dio, tutte le manifestazioni non dicono Dio, perché è totalmente
trascendente, tutto ciò che noi interpretiamo come Dio, altro non è che un suo riflesso. La gloria è un
irraggiamento che penetra ovunque secondo modalità, forme e gradi differenti. Concetto della
Simplicitas Dei: Dio non è composto e Dio inraggia in qualsiasi situazione di complessità. Dio deve
essere semplice perché solo la semplicità garantisce la trascendenza. Il problema è che il Dio cristiano
non è semplice: Scoto vorrebbe dire che Dio è semplice ma si accorge che in realtà non lo è, ma non
dirlo sarebbe un’eresia, quindi deve trovare un dispositivo per spiegare la cosa (ovvero simplicitas dei
ecc.). Tentativo di vedere nell’aggiunta, ovvero la non identità formale, un segno del divino.
“mi domando se è contraddittorio in qualche modo con la semplicità divina, una distinzione delle
perfezioni essenziali che preceda ogni atto dell’intelletto?”
(aliquo modo = indica una impossibilità concettuale o una quasi impossibilità)
Perfezioni di Dio coincidono con la sua stessa essenza, se Dio è semplice le perfezioni di Dio coincidono
con Dio: non è vero che una parte di Dio è bontà, una saggezza ecc perché altrimenti sarebbe
scomponibile e quindi mortale. Allora i teologi pensano che gli attributi compongano esattamente,
costituiscono Dio. L’essenza di Dio coincide con la sua esistenza, non può avere una determinata
essenza se non esiste, il concetto di Dio coincide con la sua esistenza ed in più gli attributi di Dio
coincidono tra loro e coincidono con la sua essenza ed esistenza. La simplicitas dei si rifrange. Chiedersi
se ci può stare una distinzione tra le perfezioni essenziali di Dio e la simplicitas dei è un problema di
troppo. Tutti gli attributi si concentrano nella simplicitas dei. Non è un problema se noi guardando Dio
vediamo qualità diverse, non è un problema se Dio pensando a se stesso distingua degli aspetti;
sarebbe una distinzione che non è nell’oggetto (Dio) ma nel soggetto che pensa, sono interpretazioni
dipendenti dal punto di vista da cui guardi il problema, non sono differenziazioni di Dio. Il problema è
che la differenzia sia nella cosa, ovvero in Dio.
La distinzione secondo Duns Scoto deve essere dalla parte della cosa, in Dio stesso, non da parte
dell’intelletto che guarda Dio. Quindi come distintio media: distinzione media da parte della cosa,
perché non è reale ne di ragione.
Esistono tre tipologie di distinzioni:
Distinzione reale significherebbe in Dio che per esempio bontà e sapienza sono realmente due cose
separate, realmente distinti. Su questo Scoto non d’accordo perché significherebbe rinunciare alla
semplicità di Dio.
La distinzione di ragione dice che bontà e sapienza sono la stessa ma cosa, ma lo sguardo tramite cui
contemplo Dio può introdurre una distinzione, la cosa è identica, è l’intelletto che introduce una
distinzione.
Distinzione formale, introdotta da Scoto, ovvero la non identità formale dalla parte della cosa: è un
accenno di complessità, un’invisibile linea di distinzione. E’ una distinzione che non è reale, ma non è
nemmeno di ragione perché è nella cosa; è una distinzione che non può essere afferrata. E’ una
distinzione media, distintio media. C’è una tendenza (che è spesso invisibile) alla distinzione da parte
degli attributi essenziali di Dio, gli attributi coincidono ma c’è un conatus, una forza che porta alla
distinzione, tendenza appena accennata alla differenziazione. Ma questo è troppo! Dio è qualcosa che
contiene più di quanto non possa. La distinzione formale serve per dire che Dio è un elemento che
viene riempito tante volta quanti sono i suoi attributi, ma Dio è sempre uno.
P 162
· “Quando dici che Dio è buono e saggio lo si dice prima di un atto dell’intelletto quindi, dunque prima
di ogni opera e ogni atto dell’intelletto c’è qualcosa che non fa parte di Dio.”
La diversificazione ha un punto di leva in Dio, la distintio formalis è un appiglio in Dio, la imperfetta
coincidenza di identità e attributi è in Dio, non solo nell’intelletto che lo guarda. Questo però vuol dire
che Dio è uno e tante cose insieme, è una stessa cosa ma con tendenze diverse: così si introduce la
tensione, contiene qualcosa in più. Vi è qualcosa in Dio che non è la sua natura.
C’è una sovrapposizione perfetta che rivela una molteplicità, una differenza.
P 163
· “La distinzione degli attributi è il fondamento della distinzione delle emanazioni personali, perché il
figlio procede nascendo come verbo nell’intelletto, lo Spirito Santo spirando come amore nella
volontà”: Dio è padre, figlio e spirito santo. Sulla base della distinzione degli attributi noi possiamo
spiegare l’emanazione delle altre tre persone. Il figlio è il logos, ovvero ragione, lo spirito è associato
all’affettività, è spirito di amore. Associazione del figlio alla sfera intellettuale e dello spirito alla sfera
emotiva: non significa che affettività e ragione sono separati in Dio, perché sarebbe una distinzione
reale. Questa distinzione mente\cuore si trova anche nel mondo materiale, tra le persone, è una
distinzione reale, ma ha il fondamento nella distinzione in Dio.
PAG 165: Ciò che è reale conta di più di ciò che è solo detto: la distinzione formale è reale, non solamente
modi di dire, sono formalità reali e quindi esistono in atto. E ciò che è reale ha maggior valore di ciò che è
solo detto. La bontà in Dio è una realitas, non una res.
Pag 176
• In virtù dell’infinità di ciascun elemento: grazie all’infinità della bontà questa è identica a saggezza ecc
• Assimilatore formale e Dissimilatore formale: nell’ambito creaturale è solo se stessa (identità formale
implica reale) ma fuori da quest’ambito (quindi nell’infinito) l’identità reale non implica quella formale,
quindi l’infinito contiene più di se stesso
• In Dio A e B sono identici di un’identità reale ma differenti di un’identità formale. D= (A +B)
N 215: introduce un ulteriore elemento. Le proprietà personali non sono infinite, la paternità è infinita per
derivazione ovvero in quanto identica alla deitas, ma di per sé non è infinita. Significa che il padre è solo se
stesso, mentre la bontà è infinita e quindi è anche sapienza. Le proprietà personali sono comunicabili e
quindi non formalmente infinita, perché altrimenti il padre essendo padre sarebbe anche figlio. C’è bisogno
di Dio perché il padre e figlio siano uguali, paternità ecc non sono formalmente infinite e quindi non sono
uguali tra loro. Mentre le proprietà essenziali la bontà è identica realmente alla sapienza in virtù
dell’infinità. L’infinità è assimilatore reale, per l’infinità le virtù essenziali sono realmente identiche, ma è
dissimulatore formale poiché grazie all’infinito sono distinte formalmente.
PARAGRAFO 4:
N 191: è un’ obiezione che Scoto rivolge a se ste,-sso. Se noi abbiamo delle cose che sono semplicemente
identiche a qualcosa di semplicemente unico, sono del tutto identiche tra loro. La deità di Dio è qualcosa di
semplice: è uno solo e non è composto di parti. Il problema è che il figlio è identico a Dio, lo spirito è
identico a Dio e il padre è identico a Dio. Dunque noi abbiamo una pura identità di F S e P con D. Quindi F S
e P non sarebbero differenti di una differenza re