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GADAMER E IL SUO CONCETTO DI CLASSICO!
è chiaro che il classico sia per Gadamer parte integrante della tradizione che costituisce il
bagaglio culturale dell’uomo. Esso è un perfetto esempio di autorità che viene riconosciuta
volontariamente, che non s’impone con la forza, ma in virtù delle sue qualità e della sua
capacità di dirci qualcosa nonostante la distanza temporale che ci separa da esso. Il classico
ha dunque un particolare rapporto con la temporalità: ciò che è classico è sottratto alla
mutevolezza dello scorrere del tempo e al variare del gusto, ma è sempre immediatamente
accessibile. Il classico è, dunque, contemporaneo ad ogni presente (a patto che si riesca ad
approcciarvisi, e questo chiaramente non è così scontato, perché entrano in gioco fattori
individuali ed emotivi che sono altrettanto ineliminabili).
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Ciò che è classico è dunque bensì «fuori dal tempo», ma questa sua eternità è un modo
proprio dell’essere storico.
In Gadamer è molto forte il concetto di esperienza (Erfahrung) dell’opera d’arte: un libro,
al pari di uno spettacolo teatrale, non è un oggetto che ci venga posto innanzi, ma è un
interlocutore e, come tale, ci pone una domanda: leggere significa instaurare una relazione,
un dialogo. Ogni lettura è un’esperienza che ci arricchisce di nuovi significati.
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Calvino: un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. […] I classici sono
quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e
dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più
semplicemente nel linguaggio o nel costume).
Sembra proprio ciò che Gadamer definisce storia degli effetti: l’inestricabile connessione di
tutto ciò che si è detto di un libro, l’insormontabile distanza temporale tra l’epoca in cui
viviamo e quella in cui il classico è stato scritto. Tale distanza non costituisce un limite,
bensì una ricchezza: l’incontro tra noi e il libro non avviene colmando tale distanza, ma anzi
in virtù ad essa: la mia lettura sarà sempre altra rispetto alla lettura fatta da un’altra persona
in un altro tempo. Gadamer direbbe che non si tratta di “capir meglio” (magari rispetto ad
un lettore contemporaneo all’autore), ma di “capire diversamente”.
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CALVINO E IL SUO CONCETTO DI CLASSICO
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Nel già menzionato articolo “Italiani, vi esorto ai classici”, Calvino propone un breve
catalogo di definizioni e argomentazioni su cosa sia un classico: vediamone alcune.
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4: d’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
E poi, subito dopo:
5: d’un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.
Sembra quasi che Calvino stia parlando del circolo ermeneutico: siamo già sempre aperti ai
significati del mondo che vogliamo comprendere, per cui leggere un classico significa
ritrovare qualcosa (un’immagine, una sensazione) di cui avevamo già sentito parlare in
precedenza e, contemporaneamente, rileggere significa anche essere continuamente aperti ad
una nuova esperienza di lettura
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Calvino approfondisce :
un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. […] I classici sono
quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la
nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno
attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume).
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Conclusioni!
Calvino conclude l’articolo in maniera un po’ sorniona, sostenendo che la sola ragione che
si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici. Da parte nostra,
possiamo avanzare qualche motivazione un po’ più articolata, anche se forse meno efficace:
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se i classici sono un rumore di fondo, leggere un classico può significare tendere l’orecchio,
imparare ad andare in profondità, cogliere le note più recondite e nascoste di una tradizione
(che sia della nostra cultura o di una cultura straniera). E se, come scrive Gadamer, il
comprendere non è mai solo un atto riproduttivo, ma anche un atto produttivo, ogni lettura
di un classico potrà dare vita a una nuova produzione di senso: nella (ri)lettura di un classico
c’è sempre la possibilità di una nuova esperienza.
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Spiegazione e commento dei "Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio" di Niccolò
Machiavelli.
Come Il Principe, anche quest'opera è ispirata dalla crisi politica degli Stati italiani e dal
desiderio di comprenderne le ragioni, alla luce della storia della Repubblica romana,
presentata da Machiavelli come il limite dell'ideale politico a cui occorre guardare.
I Discorsi si configurano, pertanto, come una vera e propria meditazione sulla decadenza in
Italia:
mentre la scrittura de Il Principe era guidata dalla volontà di riscatto (pur riconoscendo le
difficoltà implicite in questo compito "extraordinario"), i Discorsi vogliono offrire un'analisi
più ampia e approfondita delle problematiche legate all'organizzazione e al mantenimento
degli Stati, con una minore urgenza di drammaticità d'azione.
Centrale è il tema della legislazione romana; l'indagine dei Discorsi fa molta attenzione
agli "ordini" e agli "umori", cioè le classi sociali che spesso entrano in conflitto tra di loro,
analizzando come Roma abbia saputo- in entrambi i casi- elaborare un modello di azione
politica inimitabile (sia per quanto riguarda il piano legislativo, sia per quanto riguarda la
capacità di sfruttare i conflitti stessi per ottenere un progresso in termini di libertà e di
civiltà, intesa come ordine fondato sulle leggi).
Il fatto che l'opzione di quest'opera sia a favore di una repubblica come regime ideale, non
deve stupire: Il Principe, infatti, non è orientato alla ricerca di uno stato ideale, ma di
un'azione d'emergenza per contrastare la crisi. La forma statale della repubblica è spesso
elogiata da parte di Machiavelli come portatrice di maggior vita e garanzia di un'esistenza
più piena e umana, cioè più in linea con la dignità e, soprattutto, i desideri dell’uomo.
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Noi e Machiavelli tra cultura,filosofia e politica
Machiavelli soprattutto nel Principe e nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio ci
impone una pedagogia della lettura che ci fa cogliere diversamente la novità e il senso del
suo progetto politico classicista.
Classicista perché non più classico,ma incentrato sul tentativo di attingere,da moderno,a una
classicità perduta e rispetto alla quale si sente postumo.
Nei Discorsi Machiavelli ci racconta la storia di Roma Repubblicana(ci dà lezioni di
cronologia) e partendo dalla roma disordinata spiega le disunioni della politica fiorentina
del suo tempo dove nel mondo politico è difficile rappresentare il conflitto in termini diversi
dalla semplice distruzione della città.
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L’ontologia della disunione (ontologia è lo studio dell’essere in quanto tale ) è per
machiavelli una ontologia che mette in risalto il conflitto e le sue relazioni con il potere e
libertà.
Machiavelli assume consapevolezza dell’antropologica del conflitto e della conflittualità
che segnano l’uomo in una costante insoddisfazione insaziabile di comandare.
La conflittualità è antropologicamente permanente e lo dimostra la storia;il polemos
(Polemos (Πόλεμος), nella mitologia greca, era il demone della guerra - e probabilmente
della guerra civile) è immanente all’umano e ai suoi desideri.
L’essere umano,nel suo divenire è un essere discordante nelle sue intenzioni,benchè
bisognoso di sicurezza e di ordine politico in grado di garantire libertà del vivere comune,di
ricercare sempre un nuovo principe capace di grandi azioni ,di grandi cose…
Machiavelli mette in scena la conflittualità dell’umano con la teatralità e l’esercizio teorico.
La filosofia di Machiavelli non si basa su assiomi universali e astratti,ma parte
dall’osservazione diretta di dati empirici offerti dall’esperienza.
La filosofia politica di Machiavelli è dolorosa perché vere,coglie la verità effettuale
dell’essere umano.
Machiavelli ritiene che per cogliere la natura umana e comprenderla davvero occorre che la
filosofia politica abbia una visione realistica e disincantata della natura umana.
Nel Principe Machiavelli disvela quanto gli uomini siano ingrati,volubili e simulatori;gli
uomini sono tali perché cercano la sicurezza e l’ordine.
Qui c’è la contraddizione antropologica l’uomo-animale che ricerca securitas e nel
contempo invidioso e volubile ricerca ordine.
Nel conflitto e attraverso il conflitto c’e l’intenzione di progredire,cercare nuovi ordini.
Cacciari sostiene che questo è l’apice della tragicità della visione antropologica,filosofica e
politica di Machiavelli.
L’UOMO E’ PRODUTTORE DI INQUIETUDINE PERCHE’ E’ VICISSITUDINE DEL
MUTAMENTO.
L’uomo è protagonista dell’inquieto conflitto.
Cattivo,invidioso e dissimulatore l’uomo è capace di approfittare del male.
Ma,tuttavia l’uomo ha anche delle virtù,ha idee e fa progetti.
Il politico secondo Machiavelli è colui che immagina il mondo non come dovrebbe essere
ma com’è per il progetto.
Il fine secondo Machiavelli deve creare un nuovo ordine.
Il politico è esattamente colui che ordina di nuovo e non colui che fa ordine rispetto a ciò
che è già stato.
Con Machiavelli arriviamo agli inferi della politica perché scopriamo la sua azione tragica
ma anche la sua alta nobiltà.
Miguel Abensour sostiene che “per chi scopre la questione politica,Machiavelli è un
interlocutore necessario”.
Non ci si puà liberare dal politico ma accettarlo come dimensione essenziale della
condizione umana.
Secondo Abensour che studia in modo approfondito Machiavelli,il tempo è la struttura più
intima dell’azione politica.
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Collocando la questione politica al centro della condizione umana,Machiavelli ha analizzato
i fenomeni del dominio.
La novità di Mach