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Inoltre la poesia delle origini è spesso caratterizzata da anisosillabismo, cioè da instabilità sillabica
del verso che sfocia in ipermetrie o ipometrie. Bisogna quindi tenere conto del fenomeno e non
regolarizzarlo, se è documentato dall'intera tradizione del componimento.
Le edizioni di poesia esibiscono tra gli indici una tavola che rende conto della particolare
declinazione metrica del testo pubblicato.
I “macrotesti”: edizione spicciolata e ordine dei componimenti
Nel caso dei Macrotesti (Canzoniere di Petrarca o Amorum libri tres del Boiardo), l'autografo o la
tradizione di copia attesta che il poeta ha tramandato un “canone” ufficiale di rime, i cui lineamenti
sono stati preservati dalle fonti e possono venir riprodotti senza difficoltà dalle edizioni moderne. In
casi simili è parso opportuno elaborare una “filologia delle strutture” che descrive l'organismo
poetico nelle fasi in cui esso fu di volta in volta cristallizzato e poi ricomposto dall'autore in altre
forme e redazioni.
Le rime antiche vengono invece spesso trasmesse in forma spicciolata e disorganica: ogni
componimento si fonda su una tradizione indipendente o si è diffuso in piccoli nuclei assieme ad
altri del medesimo autore. (es. Rime di Cavalcanti, di Dante).
In questi casi l'ordine assegnato alla raccolta potrà essere il più vario a seconda di determinati criteri
scelti dall'editore come ad esempio secondo un criterio metrico.
Per finire... (ma si potrebbe continuare)
Tra le questioni più anomale della filologia ricordiamo:
1. il falso → gran parte della letteratura in versi del XIV e XV secolo è un falso, o meglio,
parodia, riscrittura, imitazione, a volte plagio della grande poesia del Trecento. Del
Novecento ricordiamo i rimaneggiamenti imposti all'opera dalle casi editrici;
2. Opera anonima → vi sono possono essere casi di pluripaternità (Nencia da Barberino).
Non bisogna accontentarsi delle attribuzioni indicate dal testimone ma occorre confrontarle
con il resto della tradizione;
3. Correzioni d'autore coatte → vi sono casi in cui autori (come ad esempio Tommaso
Campanella) siano stati costretti a modificarlo senza volerlo la lezione del proprio originale.
In questi casi i filologi non considerano stesura definitiva dell'opera quella che risulta da
condizioni di illibertà dell'autore. GLI ESEMPI
Dante – Il Fiore
L'enigma di Ser Durante
La questione della paternità di questo poemetto continua a dividere critici e filologi.
E' il Fiore (e il Detto d'Amore) opera di Dante Alighieri?
Il filologo francese Castets assegnò al poemetto il titolo di Fiore e a proporne l'attribuzione a Dante
Alighieri. Da allora l'ipotesi del primo editore è stato oggetto di contesta tra quelli che l'hanno
accolta come Contini e quelli che invece l'hanno respinta tra cui Il Barbi, Parodi.
Poniamo a confronto le edizioni di Parodi e quella di Contini.
Edizione di Parodi: si apre con una “Prefazione” che conferma la comune paternità del Fiore e del
Detto; il giudizio definitivo non attribuisce la paternità delle opere a Dante. Al testo seguono la
Nota al testo, il Glossario e un “indice di nomi propri e allegorie”. La nota al testo, oltre che delle
fonti e della grafia da conto delle lezioni: apparato che denuncia soltanto le lezioni più notevoli per
scorrezione del manoscritto, segnala gli emendamenti apportati e le proposte possibili per i luoghi
incerti.
Edizione di Contini: l'introduzione contiene una ricca bibliografia e un esame del manoscritto a
proposito del quale si afferma che l'ipotesi dell'autografia va esclusa per la presenza da errori tali da
non poter essere attribuiti all'autore. L'introduzione ospita una discussione degli argomenti interni
ed esterni che portano a concludere che i poemetti sono attribuibili a Dante Alighieri; chiude questa
sezione una nota sulla grafia.
Soluzione tipografica → il testo di ogni sonetto è ospitato nella pagina di sinistra e il relativo
apparato critico in quella di destra. L'apparato è diviso in 3 fasce: la prima riporta le lezioni del
codice che sono state abbandonate, la seconda la discussione dell'emendamento introdotto e di
quelli escogitati dai precedenti editori, la terza rinvii a luoghi corrispondenti del Roman de la Rose.
Confrontando le due edizioni, osserviamo che per il luogo giudicato guasto si propongono due
emendamenti differenti: Parodi scrive “o appressando”, Contini riporta “e appressando”, spiegando
nella seconda fascia dell'apparato che tale correzione consente di restare graficamente vicini al
manoscritto e restituisce un costrutto attesta in un altro luogo. Sono inoltre esaminati gli
emendamenti suggeriti da altri precedenti editori.
Per quanto riguarda la lingua e la grafia, Parodi si uniforma ai criteri di misurato ammodernamento
della grafia che erano stati adottati per l'edizione delle Opere di Dante del 1921. Inoltre vi sono
molti interventi che introducono le consonanti doppie in luogo delle scempie del codice ma
mantenuta (ritenuta rispondente alla pronuncia) la scempia di palida. Al verso 12 viene cancellato il
raddoppiamento fonosintattico (sì la e non silla), mentre al verso 14 l'assimilazione di fonosintassi è
mantenuta (nolli) ma separando le parole (no lli).
L'edizione di Contini appare più conservativa, non si raddoppiano infatti le scempie e l'integrazione
è racchiusa fra parentesi quadre. Al lettore non esperto si chiede solo di familiarizzarsi con l'uso del
punto in alto, adottato in sì.lla e no.lli.
La soppressione di segni superflui e lo scioglimento delle abbreviazioni sono segnalati in apposita
appendice. Nella terza fascia dell'apparato è occupata da rinvii al Roman de la rose (R) e vi è il
riscontro con l'Inferno XXVI 142. si tratta di una di quelle corrispondenze che per Contini
individuano un rapporto di connessione tra il Fiore e la Commedia. Queste corrispondenze
costituiscono l'argomento essenziale in favore della paternità dantesca.
La Vita Nuova (o Vita Nova) di Dante: un caso riaperto
Edizione di Michele Barbi del 1907 e sottoposta a revisione nel 1932: Barbi applica il metodo di
Lachmann, procedendo a una raccolta di tutti i testimoni manoscritti e a stampa, costituendo sul
fondamento degli errori significativo lo stemma codicum, individua le varianti più attendibili e
vaglia le varianti che, per la natura bipartita dello stemma, non potevano discriminarsi in termini
probabilistici.
L'apparato critico documenta soltanto le reali alternative alla lezione accolta a testo e le discuteva
per giustificare la scelta operata. Nelle alternative di ordine linguistico si opta per quelle che
rispecchiavano l'uso fiorentino dell'estremo Duecento, mentre per la grafia per opera un
adeguamento all'uso moderno per cui i suoni vengono rappresentati con le grafie oggi in uso.
Per quasi un secolo i criteri adottati dal Barbi furono dichiarati validi fino a quando la questione del
testo della Vita Nova fu riaperta da Guglielmo Gorni che mise in discussione alcune scelte
dell'opera del Barbi. La sistemazione della tradizione quale si presenta nello stemma codicum
delineato da Barbi è accolta da Gorni con minime correzioni: prevede ai piani alti dell'albero una
bipartizione in due famiglie (alfa e beta), ciascuna delle quali bipartita a sua volta.
Gorni respinge la decisione di Barbi di accogliere nel testo le lezioni che, essendo esclusive del
ramo K, sono destituite d'autorità. Barbi le privilegia ritenendo che si potesse ipotizzare, nei
capostipiti delle altre famiglie, la presenza di lacune di origine poligenetica. Secondo Gorni bisogna
ritenere erronee e dunque respingere, le lezioni esclusive di K.
Gorni propone inoltre una diversa partizione dell'opera e sostituisce al titolo in volgare Vita Nuova,
quello latino Vita Nova. All'accordo della maggioranza dei testimoni principali Gorni si affida per
determinare le scelte di ordine formale, sia per la lingua e sia per la grafia che non rimodella sulla
pronuncia odierna le grafie latineggianti prevalenti nei codici tre e quattrocenteschi.
Gorni inoltre interviene sull'interpunzione spostando la virgola nella frase “E tutto...dispiacea”. Il
testo Gorni inoltre mantiene grafie arcaiche e hanno solo valore grafico alcuni scempiamenti come
ad esempio Apresso o avenne.
Per quanto riguarda alle forme linguistiche Gorni a differenza di Barbi per “parte ove” (invece di
parte dove) opta per la lezione di beta contro alfa, perchè negli altri luoghi del testo c'è accordo su
questa forma.
Per quanto riguarda la sostanza del testo sono due le lezioni che per Gorni sono imposte dallo
stemma e che Barbi aveva invece respinto per accogliere quelle più lunghe, presenti nel solo ramo k
della famiglia alfa.
Il Canzoniere di Francesco Petrarca: “filologie” di un libro esemplare
Il Canzoniere di Petrarca è un'opera in poesia formata da una sequenza immutabile di rime, ordinate
secondo un disegno strutturale, formale e narrativo delineato dall'autore stesso.
Inoltre del libro di Petrarca di conserva ancora oggi l'originale nel manoscritto Vat. Lat. 3195. E' un
testimone idiografo (solo in parte compilato dall'autore, ma integralmente rivisto e corretto da lui)
nel quale è consegnata l'ultima stesura del Canzoniere.
La nozione dell'autografia del codice Vaticano non si conservò intatta nel Cinquecento sino ai nostri
giorni: fu Pierre de Nolhac a riconoscere di nuovo nel manoscritto la mano di Petrarca.
Di fronte al caso del Canzoniere, al filologo tocca il rispetto della testimonianza manoscritta:
bisognerà quindi interpretare correttamente la lezione del manoscritto Vat. Lat. 3195, incolonnare
metricamente ogni componimento, introdurre la punteggiatura corrente integrando quella
dell'autore.
Nel componimento dell'edizione di Santagata, che si modella nell'aspetto formale sul testo critico di
Contini, la grafia del componimento si discosta dagli usi grafici attuali (ph di Zephiro ad esempio o
la presenza degli et). Il Canzoniere tuttavia si legge anche in versioni meno arcaizzanti, come la
versione di Ferdinando Neri.
Del Canzoniere oltre che all'originale possediamo anche un secondo manoscritto autografo delle
opere in volgare di Petrarca (il codice degli abbozzi), una raccolta nata a posteriori
dall'aggregazione di carte originariamente sciolte (raccolta composita) dove si conservano le fasi
elaborative del Canzoniere e dei Trionfi.
Sonetto 188 del Canzoniere edizione di Romano: del sonetto è indicata la numerazione (188) e poi
riprodotto il testo nella versione definitiva trasmessa dal manoscritto, corredato dell'apparato di
passaggio da V1 (Vaticano Latino 3196) e V2 ( &ld