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IL PRODOTTO INTERNO LORDO

Il Prodotto Interno Lordo è il valore della produzione fatta da tutti i soggetti produttori, che sono le imprese,

le associazioni private e la pubblica amministrazione, di un paese.

Negli ultimi anni il PIL è stato definito un indicatore carente perché non considera troppe variabili.

Il PIL è la somma dei valori aggiunti che si possono scomporre in una componente quantitativa Q e una

componente monetaria P.

Analisi di ciascuna dimensione associata al PIL ed eventuale critica

a) Dimensione economica

Il PIL indica veramente la dimensione dell’attività produttiva svolta nel nostro paese o manca qualcosa?

Il PIL non considera:

- Economia sommersa: deriva dal non rispetto delle norme penali, amministrative e fiscali.

In ambito penale, si individua l’attività criminale (mafia, droga, prostituzione). Due anni fa, in Italia,

è stata introdotta nel calcolo del Pil anche l’attività criminale (già introdotta nell’America latina anni

prima).

La definizione del PIL prevede tutta l’attività produttiva di un paese, quindi anche l’attività criminale

ne fa parte. Il PIL diventa un indicatore di tutto ciò che si fa, sia buono sia male.

- Utilità prodotte: una parte di quanto il PIL quantifica come produzione effettuata è data da attività

volte a ridurre o ad annullare danni o disutilità presenti nella comunità, come la produzione di servizi

di polizia o di sistemi di sicurezza per combattere la criminalità, per cui più questa è diffusa e

combattuta più elevato risulta il PIL.

Le attività produttive producono anche rifiuti dannosi, i quali dovrebbero essere aggiunti, come

valore negativo, alla produzione di utilità, oppure se esistono non dovrebbero essere considerate

come utilità (valori positivi) le attività di disinquinamento.

Questo è per sottolineare il fatto che il PIL non è solo una sommatoria di valori positivi, ma è

necessario anche considerare dei valori negativi che devono essere sottratti.

Il PIL verde tiene conto, oltre alla distribuzione delle risorse naturali, anche del valore negativo dei

rifiuti dannosi: Inquinamento di aria, acqua e dell’ambiente naturale in generale.

- Volontariato: non dà origine ad un esborso monetario e allora non è considerato nel PIL;

- Attività in funzione domestica (casalinghe): perché non crea un esborso monetario. In molti paesi, le

attività domestiche arrivano al 10-20% della popolazione.

I confronti internazionali vengono condizionati da queste mancanze del PIL. Ad esempio, il PIL dei

paesi sotto sviluppati è sottodimensionato rispetto al PIL dei paesi sviluppati perché nei PVD si

ricorre molto al lavoro domestico (che non è considerato nel PIL) mentre nei Paesi sviluppati si tende

ad affidare il lavoro domestico a terzi (che viene considerato nel PIL).

b) Il PIL è un buon indicatore della crescita e dello sviluppo del sistema economico?

Crescita e sviluppo non sono sinonimi.

La crescita è un aumento prolungato nel tempo del reddito, nel senso di capacità a produrre quantità

crescenti di beni in modo immutato, cioè senza significativi mutamenti nel tipo di prodotti, nella natura dei

processi produttivi, nella struttura del sistema economico, nelle relazioni economiche, sociali, politiche e

nella cultura della società.

Lo sviluppo si riferisce, invece, al caso in cui la crescita quantitativa del sistema economico sia accompagnata

da sensibili mutamenti qualitativi, prima elencati.

Da una ventina d’anni l’ONU ha inventato un indicatore umano, che è la media di tre indicatori base:

 Variazione del PIL Procapite calcolato a prezzi costanti;

 Indicatore del livello di salute, longevità delle generazioni;

 Indicatore di alfabetizzazione o di istruzione.

c) Il PIL è un buon indicatore del benessere economico?

Il benessere economico discende dai beni di cui si ha la disponibilità, quindi non dipende dalla quantità di

beni prodotti.

Il Pil rappresenta ciò che si è prodotto, ma quello che si è prodotto non corrisponde a ciò che si ha,

specialmente in un’economia aperta. In un’economia chiusa, invece, ciò che produco ho. 7

Il Pil non è un indicatore del benessere proprio perché non tutto ciò che si produce, è disponibile.

I beni prodotti possono essere allocati:

• Consumo, che è benessere immediato;

• investimento, benessere mediato (diventerà benessere nel momento in cui si trasforma in consumo);

• esportazione, non crea benessere perché non sarà mai disponibile all’interno.

Se le esportazioni sono uguali alle importazioni, gli impieghi interni e le funzioni di investimento sono uguali

al Pil PIL = C+I. Il consumo è un benessere immediato, mentre l’investimento serve a far sì che il benessere

possa continuare.

Se le esportazioni sono maggiori delle importazioni, vuol dire che gli impieghi interni sono minori del PIL. Si

sta meno bene di quello che si potrebbe stare sulla base del Pil, perché parte di ciò che ho prodotto va

all’estero. Non vuol dire che io mi impoverisca (anzi, vendendo di più si è più ricchi), ma ho meno beni di

quanti potrei averne. Il benessere dipende dai beni che si hanno a disposizione, non dalla ricchezza.

In conclusione, il PIL è un valore medio e il benessere non deriva dal fatto che una persona di un certo paese

ha un valore teorico di disponibilità di beni pari al valore medio, bensì dal valore effettivo dei beni che ha a

disposizione.

- Per valutare la distribuzione della disponibilità dei beni è importante affiancare al PIL un valore della

distribuzione, come l’indice di concentrazione di Gini.

Se il 10% della popolazione che ha reddito più alto si

porta a casa il 90%, il restante 90% ha solo più 10%,

c’è una forte disuguaglianza nella distribuzione.

Se ci fosse una equa distribuzione, avremmo che il

primo 10% avrebbe il 10% ecc. (bisettrice).

Se invece non c’è equità, il primo 10% avrebbe

un’altra %, ecc. Più l’area (A) è grande, più la

distribuzione non è equa; più l’area tende a

convergere verso lo 0, più la distribuzione è equa.

La media aritmetica non tiene conto della distribuzione, mentre la mediana si, poiché la mediana è il valore

posseduto da almeno il 50% della popolazione considerata.

Il Pil non tiene conto dei beni relazionali, ovvero i rapporti sociali (lo stare bene con gli altri, ecc).

d) Il Pil può essere un indicatore di ricchezza?

Reddito e ricchezza sono due grandezze differenti. La ricchezza è uno stock/fondo, poiché calcolata in un

certo momento, mentre il reddito è un flusso, poiché calcolato su un periodo di tempo.

Non sono perciò da considerarsi sinonimi, ma sono collegati tra loro.

R ricchezza iniziale, all’inizio dell’anno

0 

R ricchezza finale, alla fine dell’anno

1

Y reddito

C consumi

R ha come punto di partenza R . Una parte di reddito iniziale non la trovo più alla fine dell’anno poiché l’ho

1 0

consumata; inoltre, una parte di valore l’ho persa durante l’anno (ammortamenti):

R ------ > R = R + Y – C – ammortamenti

0 1 0 

Se pongo il vincolo in cui la ricchezza non varia: R =R = R + Y – C – ammortamenti Y – C – ammort = 0,

0 1 0

diventando prodotto interno netto.

Reddito è la massima quantità di consumo che posso fare, lasciando il consumo invariato.

Questa impostazione ci porta ad un altro modo con cui si può fare la valutazione del Pil tenendo conto della

distruzione delle risorse naturali:

RN ricchezza naturale iniziale

0 

RU ricchezza umana iniziale

0 

DIS distruzione risorse naturali

RN + RU ----- > RN + RU = RN + RU + Y – C – ammortamenti - DIS

0 0 1 1 0 0

La grandezza che posso consumare lasciando la ricchezza inusata sarà: Y – C – ammortamenti – DIS = 0 8

Il valore massimo di consumi che posso fare lasciando la ricchezza immutata: C = Y –amm – DIS

Questo ragionamento ha un piccolo difetto di logica, infatti la ricchezza naturale all’inizio è data dalla natura

che conosco e che posso usare, non dalla ricchezza naturale vista da un punto di vista oggettivo.

Per essere precisi bisognerebbe mettere anche la scoperta di nuovi giacimenti naturali: C = Y –amm – DIS +

SCOP. Quest’ultima è la formula più precisa poiché tiene conto del Pil netto e della perdita (-) o acquisizione

di risorse naturali (+).

e) Il PIL è un indicatore di felicità?

Alcuni dicono che il PIL non può essere un indicatore di felicità, ma, nonostante questa affermazione, negli

anni ’70 hanno avuto successo gli studi del Bhutan. Venne creato l’indicatore di felicità interna lorda, che

disegnava la felicità come il rispetto della tradizione buddista.

Dalle indagini empiriche condotte negli ultimi 50 anni, è nata l’idea del “paradosso della felicità”, dato dalla

mancanza di una correlazione positiva fra il livello del PIL pro capite e felicità della collettività.

Ci sono istituti di ricerca, specialmente anglosassoni, che fanno indagini (tramite questionari) al fine di

determinare il livello di felicità. I Paesi più felici risultano essere quelli dell’America Latina.

Le determinanti del PIL

Abbiamo 3 determinanti dal lato dell’offerta e 1 determinante dal lato della domanda.

Il massimo del PIL ottenibile impiegando tutto il fattore produttivo lavoro prende il nome di “reddito di piena

occupazione” (YL), dato da: h

YL = F * H * π = L * π = F * π

Ove F indica la forza lavoro presente,

H il numero di ore di lavoro pro capite nell’arco del tempo considerato,

π la produttività oraria del lavoro di massima efficienza,

L = F * H il flusso di ore di lavoro disponibili,

h

π = π * H la produttività pro capite di massima efficienza del lavoro, nell’arco di tempo considerato.

Esempio

Il PIL italiano, relativo al 2015, è uguale a 1650 miliardi di Euro.

Il valore della popolazione in Italia è stimata a 60 milioni, ma non tutti possono concorrere all’attività

produttiva, perciò L sarà quantificato dalla forza di lavoro (persone che partecipano o vorrebbero partecipare

all’attività lavorativa). La forza lavoro (FL) è di circa 25 milioni di persone. Mediamente, un lavoratore italiano

ha una produttivit&agra

Dettagli
A.A. 2016-2017
55 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/12 Storia economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cristina.mellano di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia mondiale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Ciravegna Daniele.