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RIASSUNTO “TRADIZIONI RELIGIOSE E TRADIZIONI COSTITUZIONALI. L’ISLAM E L’OCCIDENTE” (DECARO)
innovabile dall’uomo. Le fonti della shari’a, oggetto unico di studio della scienza giuridica dei fuqah
(esperti del diritto), comprendono dunque il Corano, la sunna (la “tradizione”, derivante dagli hadith, ossia
dall’insieme dei detti e dei fatti del Profeta, o anche dalla tacita approvazione da parte sua di un certo
comportamento), l’ijma’ (il consenso della umma, impersonificata dai dotti, ossia dagli imam) e il qiyas
(regole dedotte per analogia dai fuqah in caso di assenza di precise previsioni sciaraitiche). Parallelamente
alla shari’a, che riguarda la legge rivelata, vi è il fiqh, vale a dire la “scienza del diritto religioso dell’Islam”,
che individua la facoltà umana di applicazione/interpretazione dei precetti divini; uno dei principali metodi
di interpretazione della shari’a, all’interno delle procedure del fiqh, è l’ijtihad (“sforzo”, “applicazione”), il
quale qualifica un’opera di interpretazione effettuata da parte di religiosi autorizzati a partire dalle fonti
scritturali. Accanto al vero diritto musulmano, il fiqh, col tempo di è sviluppato il qanun, una legislazione
“laica” limitata all’ambito amministrativo: più nello specifico, la dialettica fra shari’a e siyasa condiziona il
processo interpretativo (fiqh) delle regole sciaraitiche, favorendo progressivamente l’affermazione di un
crescente potere normativo (qanun) del principe sino allo sviluppo del moderno qanun statuale. Da quanto
detto finora ne deriva una teorizzazione del diritto musulmano come: a) confessionale; b) personale; c)
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extrastatuale; d) apparentemente immutabile .
Una condizione speciale è riconosciuta ai cristiani e agli ebrei in quanto “gente del Libro”, cioè membri
effettivi della grande famiglia monoteista; a loro viene riconosciuto il titolo di dhimmi, e godono di piena
autonomia per quanto attiene le questioni di rilevanza privatistica (matrimoni, divorzi, ecc…), in cambio del
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versamento di un tributo annuale pro capite denominato jizya ; in caso di conflitto tra ordinamenti o di
controversie interconfessionali è tuttavia prevista la prevalenza della legge islamica. La disciplina di tale
istituto si ritrova anche nella Carta di ‘Umar, secondo califfo “ben guidato” (634-44); nel 2004, la Carta
araba dei diritti dell’uomo segna il passaggio dalla distinzione fra fedeli, dhimmi e miscredenti all’universale
concetto di cittadino.
LE PROSPETTIVE DEL METODO COMPARATO NELLO STUDIO DEL DIRITTO ISLAMICO:
secondo Noseda, arabista di fama internazionale, la colpa dell’Occidente sta nella sua mancanza di curiosità,
nel non aver compreso (cum prehendere, prendere con sé) il mondo islamico, a differenza di quanto accade
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in molti paesi arabi . Il metodo comparato, nella sua duplice natura di strumento utile a individuare soluzioni
per i problemi giuridici interni e a soddisfare la curiosità dei ricercatori, può rivelarsi utile a colmare questa
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lacuna. Seguendo la metodologia evolutiva di An-Na’im, i testi sacri possono essere analizzati e interpretati
tenendo conto del quadro storico in cui si sono affermati; il Corano e la sunna, ad es., presentano due livelli
molto differenti del messaggio islamico, corrispondenti alle due fasi della vita di Maometto: il periodo della
Mecca, nel quale rilevano principalmente precetti religiosi e morali del Corano e, soprattutto, della sunna, e
il periodo di Medina, nel quale sono le norme politiche e giuridiche a prevalere.
5 In realtà, grazie soprattutto all’ijtihad e alla siyasa, i principi coranici sono stati interpretati, anche se non formalmente innovati,
dando vita a una pluralità di modelli di convivenza fra ordinamento statale e religione: “mentre si ritiene che il nucleo stabile
(Basic Code) sia stato definito una volta per tutte da Dio, rivelato nel Corano e realizzato dal Profeta in modo esemplare, le norme
positive, inveve, sono elaborate dalla ragione umana sulla base dei testi autorizzati che sono il Corano e la sunna […] Esse
abbisognano di uno sforzo interpretativo disciplinato (ijtihad) […] (i)n questo processo interpretativo, grande sforzo è fatto per
non separare nessuna norma dal Codice Fondamentale, perché ogni ramo (furu’, ossia le applicazioni, ndr) reciso dall’albero
(usul, ossia le “radici” del diritto, ndr) si trasforma in legno morto. Questo grande sforzo […] sollecita le comunità islamiche a
vivere secondo lo stato di diritto, che è radicato nel Basic Code, ma non è confinato in nessuna scuola giuridica (madhab) o in
nessun metodo (minhaj)”.
6 Il prelievo delle jizya si configura come un giusto corrispettivo all’esenzione dall’obbligo di servizio militare per i non
musulmani.
7 Discorso del 2005 presso l’Università Al-Azhar del Cairo, uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’Islam sunnita.
8 Per nulla dissimile, nei suoi aspetti principali, dal metodo storico-comparativo, sia in prospettiva diacronica che sincronica. Esso
parte dall’assunto fondamentale che l’esistenza di differenti contesti normativi presupponga altrettanti sistemi culturali, la cui
valutazione dipende dalle caratteristiche e dalla struttura degli ordinamenti analizzati; perciò, questa metodologia consente di
cogliere al meglio lo sviluppo e l’elaborazione del diritto islamico nei vari contesti storici e geografici, ossia il diverso grado di
interazione tra shari’a (diritto di origine divina) e siyasa (funzione politico-governativa), che ha storicamente finito per orientarne
l’interpretazione, in un rapporto di mutua e reciproca influenza e interazione, seppur nei limiti fissati dalla shari’a stessa. 2
RIASSUNTO “TRADIZIONI RELIGIOSE E TRADIZIONI COSTITUZIONALI. L’ISLAM E L’OCCIDENTE” (DECARO)
COMPARABILITÀ E LINGUAGGIO: pare opportuno domandarsi se le categorie del costituzionalismo di
matrice liberale abbiano favorito vie di comunicazione con i paesi a forte tradizione musulmana, o se
abbiano condotto a una forzosa sovrapposizione delle categorie costituzionali occidentali alle realtà storico-
giuridiche islamiche, portando a classificazioni dalla scarsa validità scientifica dei fenomeni normativi
osservati a causa di pregiudizi di tipo assiologico-valutativo. Molte delle problematiche emerse nella storia
del mondo musulmano non sono poi tanto diverse da quelle che hanno caratterizzato il processo di
formazione del costituzionalismo occidentale, nel suo rapporto fra autorità e libertà. Vi sono correnti di
pensiero che sostengono una “versione” della shari’a conciliabile con il riconoscimento e la protezione degli
occidentali international constitutional rights.
L’ISLAM DEL XXI SECOLO E GLI INTERNATIONAL HUMAN RIGHTS :
GLI ISLAM, IL PRINCIPIO DI LAICITÀ E LA TUTELA DEI DIRITTI INDIVIDUALI: tesi di una forma
di “illuminismo islamico”, in grado di venire a patti con questioni come il laicismo, la democrazia e la
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modernità, superando il problema dell’identificazione tra religione, politica e diritto nell’Islam .
I DIRITTI UMANI E IL FUTURO DEI SISTEMI “ISLAMICI”: la DUDU del 1948 fu approvata dall’AG
dell’ONU con 48 voti favorevoli, 8 contrari e 2 astenuti; i paesi a maggioranza musulmana erano 10 sui 58
allora membri ONU, con l’Arabia Saudita che si astenne, lo Yemen assente ed Egitto, Turchia, Iraq, Libano,
Siria, Afghanistan, Iran e Pakistan che votarono a favore. Molti sostengono l’incompatibilità della DUDU
con i principi sanciti dal diritto islamico: nell’Islam prevale una visione confessionale dei diritti dell’uomo,
mentre i fundamental rights occidentali danno la priorità all’essere umano in quanto tale; la DUDU ad es.
riconosce la personalità giuridica come elemento imprescindibile per l’esercizio dei diritti e delle libertà;
nella tradizione musulmana, invece, il fondamento del diritto è la personalità divina, con Dio che è
“soggetto ultimo dei diritti, cui corrispondono doveri da parte dell’uomo, ed è la volontà di Dio che
determina i diritti e i doveri che intercorrono tra gli uomini”: la shari’a, in quanto manifestazione della
volontà di Dio, costituisce la giustificazione dei diritti e dei doveri, ed è considerata perciò universale e
normativa. A questo divario si aggiungono differenze sui diritti specifici; il diritto musulmano, ad es., si
articola mediante relazioni non compatibili col principio di uguaglianza: gli esseri umani sono tutti uguali
davanti a Dio, ma davanti alla legge vi sono differenze tra uomo e donna e tra musulmano e non musulmano.
LE CARTE DEI DIRITTI NELL’ISLAM: il primo tentativo di codificazione risale alla DUDU nell’Islam
del 1981, su iniziativa del Consiglio islamico d’Europa; tale Carta risulta però “universale” solo nella misura
in cui riferisce diritti e doveri fondamentali all’universalità della umma islamiyya, in conformità con la
shari’a: la versione in lingua araba di ogni articolo è affiancata dalla corrispondente citazione del Corano o
dal richiamo alla sunna profetica, così da conferirgli una cornice di legittimità teologia; tale richiamo
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sparisce nelle versioni in francese e in inglese, destinate al pubblico e agli operatori occidentali .
Il secondo tentativo è la cd “Dichiarazione del Cairo”, voluta dall’OCI nel 1990; il linguaggio utilizzato è
prettamente giuridico, non dissimile dal quello della DUDU del 1948, ma dal punto di vista dei contenuti
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materiali non ci si discosta dalla Dichiarazione del 1981 . L’elemento di maggiore novità è la chiara presa di
posizione contro il colonialismo, seguita dal riconoscimento ai popoli del diritto di autodeterminazione;
anche in questo caso, tuttavia, la disposizione termina con un richiamo ai precetti islamici, segno evidente
dell’antico risentimento nei confronti del mondo occidentale, una “rabbia” (B. Lewis) che spesso assume le
forme di una orgogliosa rivendicazione della propria identità religiosa e, conseguentemente, della differenza
9 Non che il sistema normativo occidentale non abbia lacune a riguardo: la questione del velo e la cd “laicità militante” (laicité de
combat) in Francia, la simbologia religiosa nel linguaggio politico americano, la questione del crocefisso e molte norme in Italia…
10 La versione occidentale dell’art. 3, ad es., recita “(t)utti gli uomini sono uguali secondo la legge”, mentre nella versione araba
si dice che “(t)utti gli uomini sono uguali davanti alla legge islamica”. L’uso del termine shari&rsq