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L’uomo ha costruito oggetti che hanno lo scopo di significare qualcosa (segnali, spie luminose, ecc.); in
questo caso la componente comunicativa si sovrappone a quella critico-indiziaria (es. il semaforo verde può
essere decifrato anche in chiave comunicativa).
Sono prove di tipo critico-indiziario anche gli enunciati non soggetti all’alternativa vero/falso (comandi,
promesse, ordini, ecc.).
Per la valutazione di attendibilità di prove dichiarative (specie quelle assunte oralmente nell’istruzione
dibattimentale) assumono grande rilevanza una serie di indici riconducibili alla logica delle prove critico-
indiziarie: i tratti paralinguistici del discorso, le lacune, i lapsus, tutta la produzione non intenzionale che
accompagna il discorso.
• Due tipi di prove critico-indiziarie: artificiali >< naturali.
- Artificiali: congegnate dall’artificio umano allo scopo di provare (fotografia, registrazione di suoni o
immagini), proprio per questo sono in genere ad alta attendibilità (forza della rappresentazione che agevola
il passaggio dalla prova alla proposizione da provare). Ma non bisogna dimenticare che si tratta di effetti
illusori, la traccia di ciò che è stato (e che potrebbe anche essere stata contraffatta), non confondere
l’oggetto con la sua rappresentazione.
- Naturali: non congegnate allo scopo di provare (impronte digitali e tutte le cose pertinenti al reato che
siano induttivamente rilevanti per la ricostruzione della condotta criminosa).
→ Un caso particolare: intercettazione di conversazioni. Il codice la classifica come semplice mezzo di
ricerca della prova (assimilata al prelievo di un oggetto che si esegue nel corso di ispezioni e perquisizioni).
In realtà, mentre la perquisizione porta ad apprendere qualcosa che preesiste, l’intercettazione non
“preleva” la conversazione, ma ne costituisce la traccia impressa sul supporto. La traccia diventa la prova di
un evento del passato (la conversazione); con un’inferenza abduttiva, dal fatto del presente si ricava quello
del passato, dall’effetto si giunge alla causa. Ciò non toglie che l’inferenza è ad altissima attendibilità, salvo
possibili contraffazioni, tanto che spesso in questi casi la difesa ripiega su un rito negoziale per una
riduzione di pena.
Nell’intercettazione si possono isolare tre profili: quanto allo strumento che capta la conversazione,
l’intercettazione è, al tempo stesso, mezzo di ricerca e di formazione della prova; quanto al supporto
magnetico su cui è registrata è prova critico-indiziaria della conversazione stessa, formata in sede
processuale; la quale, a sua volta, è prova dichiarativa di ciò che viene in essa affermato (formata fuori dal
processo), o prova critico-indiziaria relativamente agli enunciati né veri né falsi.
• Prove dichiarative e critico-indiziarie spesso si combinano in vario modo nel processo:
- A convergenza: quando convergono verso la medesima proposizione da provare e si irrobustiscono a
vicenda, rafforzando l’esito positivo di prova. Prove insignificanti possono diventare rilevanti, anche se
nessuna può provare niente da sola.
- In sequenza: quando la prima proposizione provata diventa premessa probatoria rispetto ad una nuova
proposizione da provare e così via. La forza probatoria scema al crescere dei passaggi, perché ognuno di
essi sconta la fallibilità dei precedenti.
Quattro tipi di combinazione “a sequenza”:
1. Una prova critico-indiziaria su una dichiarazione di prova: intercettazione telefonica (prova critico-
indiziaria) di una conversazione (prova dichiarativa), o la fotocopia di un documento scritto.
2. Una dichiarazione di prova su una prova critico-indiziaria: la testimonianza di qualcuno che afferma
(prova dichiarativa) di aver visto l’imputato aggirarsi sul luogo del reato (prova critico-indiziaria del
reato).
3. Una prova critico-indiziaria su una prova critico-indiziaria: una fotografia o videoregistrazione
(prove critico-indiziarie del fatto rappresentato) che documentano la presenza dell’imputato in
prossimità del luogo del reato (prova critico-indiziaria del reato).
4. Una prova dichiarativa su una prova dichiarativa: la testimonianza indiretta, o il racconto di un
racconto.
• Se intendiamo come prova critico-indiziaria tutto ciò che non è prova dichiarativa è un guaio: critica alla
norma che abbassa il valore delle prove indiziarie (art. 192 c.p.p.), costituisce una gerarchia. Con il termine
“indizi” hanno voluto alludere ad elementi che non sono rilevanti come prove; secondo quelli che
contrappongono gli “indizi” alle “prove in senso stretto”, in quest’ultima la conclusione inferenziale si
ottiene utilizzando esclusivamente leggi logiche o scientifiche non probabilistiche, mentre nell’indizio vi è
l’applicazione di massime di esperienza, cosicché per quest’ultimo vi è carenza di validità logica. Quindi
l’indizio è visto come la prova debole, inidonea da sola a produrre risultati di certezza per via del nesso
fragile che la lega alla proposizione da provare. Il concetto di indizio esposto nell’art. 192 assume tratti
vaghi e sbiaditi; allo stesso tempo è vago il discrimine tra leggi scientifiche non probabilistiche e massime di
esperienza/leggi probabilistiche, fondato su una differenza più di grado che di qualità.
Come classificare la prova testimoniale in questo paradigma? Generalmente come prova in senso stretto,
ma se si bada all’inferenza che dalla dichiarazione consente di passare al fatto dichiarato, non si può certo
definirla fondata “scientificamente”. Se c’è una prova debole è proprio quella narrativa, basata sui ricordi,
che a loro volta possono venire influenzati dalle convinzioni e dalle aspettative che possono condizionare
persino i sensi della vista e dell’udito.
Una seconda prospettiva distingue tra prove rappresentative (o dirette) e prove indiziarie (o indirette, o
logiche).
Prova rappresentativa (diretta) = verte direttamente sul fatto oggetto del processo, escludendo passi
induttivi intermedi.
Prova indiziaria (indiretta/logica) = verte su un fatto secondario da cui si possa induttivamente risalire a
quello principale (es. testimonianza di Tizio sul fatto che Caio si aggirasse sul luogo del delitto) e, di
conseguenza, è posta a una doppia valutazione di attendibilità e rilevanza probatoria del fatto.
→ Tre critiche:
1. Aggettivo “rappresentative” per le prove è improprio, escluderebbe tutte le dichiarazioni perché il
linguaggio non può rappresentare nulla, ma solo trasmettere significati; includerebbe invece prove
come fotografie o videoregistrazioni, o altre prove (termine troppo vago).
2. Se intesa come prova indiretta, con “prova indiziaria” in realtà si designa l’unione di due o più
prove disposte a sequenza o ad incastro. Essa soggiace a due valutazioni perché sono due in realtà
le prove di cui si compone.
3. Gli indizi “gravi, precisi e concordanti” di cui parla l’art. 192 c.p.p. non corrispondono alle prove
indirette: ad es., l’intercettazione di una conversazione tra imputati che parlano esplicitamente del
reato commesso è una prova indiretta, ma difficilmente si potrebbe definire come un semplice
“indizio”. L’indizio non è caratterizzato dal doppio passo inferenziale in cui si risolve la prova
indiretta (sequenza di due prove), ma la debolezza del secondo passo, che indica (da qui “indizio”)
in modo non univoco il fatto da provare.
• Proposizioni da provare → Finali >< Intermedie
Finali = già individuate dal legislatore come oggetto di prova.
Intermedie = in cui può articolarsi la sequenza probatoria.
Proposizioni finali → Proposizione principale >< Proposizioni incidentali
Principale = rappresentata dalla colpevolezza.
Incidentali = costituite da altri temi di prova su cui il giudice può essere chiamato a decidere (es. pericula
libertatis e gravi indizi di colpevolezza).
Relativismo probatorio = ciò che è prova sul tema x, può non esserlo sul tema y. Il tenore delle proposizioni
finali contribuisce a definire il materiale probatorio utilizzabile a fini decisori.
Ciò che è valutabile come prova nei riguardi di un imputato, può non esserlo nei confronti di un altro.
Quindi le proposizioni finali devono essere ben individuate, espresse in termini empiricamente verificabili e,
poiché concretizzano le fattispecie astratte contenute nella legge (specificandone le coordinate spazio-
temporali), analogo impegno definitorio grava anche sul legislatore.
È facile identificare la proposizione principale (ossia la colpevolezza), ma le proposizioni relative a temi
incidentali non sono sempre agevoli da ricavare dalla legge. Se non si identifica con chiarezza l’oggetto del
giudizio (“cosa provare”), è inutile interrogarsi sulla regola da seguire perché la prova sia raggiunta (“come
provare”).
Per individuare la proposizione da provare bisogna trovare il termine marcato di ogni alternativa decisoria:
ad es., è indubbio che nell’alternativa condanna/proscioglimento il termine marcato sia la condanna, che
contiene appunto l’affermazione della colpevolezza, mentre il termine consequenziale sia il
proscioglimento.
Una volta identificata la proposizione da provare, la regola di giudizio è molto semplice: salvo espressa
deroga, nessuna proposizione che costituisca tema (principale o incidentale) del processo può essere
affermata dal giudice se non ne sia data la prova piena, quindi “oltre ogni ragionevole dubbio”, in tutte le
sue componenti. È una regola logica che non esige d’essere codificata; l’intervento del legislatore ha senso
solo se si intende deviare in sede processuale dalla regola esposta, modificando lo standard probatorio (ad
es. per la prova delle cause di giustificazione) o convertendo un fatto costitutivo in un fatto impeditivo (ad
ed. per le esigenze cautelari, relativamente ad alcuni gravi delitti).
Onere della prova
• = nel processo penale se ne può parlare come di “rischio per la mancata prova”; la
parte “onerata” della prova è quella a cui riesce sfavorevole la decisione in caso di mancata prova della
proposizione da provare. La prova è validamente assunta a prescindere da chi l’abbia prodotta (accusa,
difesa o giudice).
Chi è che ha l’onere della prova nel processo penale? L’accusa ha l’onere di provare i fatti che costituiscono
reato (fatti costitutivi), perché la mancata o insufficiente prova implica la pronuncia dell’assoluzione. La
difesa ha l’onere di provare i fatti che estinguon