Riassunto esame Diritto degli strumenti finanziari, prof Morra, libro consigliato Il diritto delle banche, Morra
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Il diritto delle banche
Capitolo VI
Perché le banche sono soggette a controlli pubblici: crisi, regolamentazione
e vigilanza
La fragilità della banca, come sappiamo, deriva innanzitutto dal fatto che essa non può rispondere
alle richieste di rimborso nel momento in cui tutti i depositanti decidono di andare a ritirare i propri
rimborsi. La banca, infatti, tiene ferma solo una piccola quantità dei soldi depositati, che vanno a
formare la riserva frazionata (serve a rispondere alle richieste di rimborso in condizioni di
normalità).
La crisi di una banca, quindi, è un elemento di cui si deve tener conto, soprattutto alla luce del
fatto che le banche sono imprese speciali interconnesse fra di loro e con gli altri soggetti
finanziari: questo vuol dire che la crisi di una banca si ripercuote non solo sui risparmiatori, ma su
tutta la collettività.
I caratteri comuni delle crisi dei vari Paesi sono:
- riduzione di produttività delle imprese, dovuto ad esempio ad un evento straordinario come la
guerra;
- venir meno della fiducia del mercato nella correttezza del meccanismo di formazione dei prezzi
di titoli e di altri valori mobiliari.
Le due più importanti crisi sono state: la crisi degli anni Trenta del ‘900 e quella del 2007-2009.
La crisi degli anni 30 del ‘900
Nella crisi finanziaria degli anni Trenta ebbe un ruolo centrale il crollo del mercato borsistico di
Wall Street nel 1929.
Si era creata una bolla speculativa, cioè un amento ingiustificato del valore dei prezzi a cui i titoli
venivano scambiati, che non corrispondevano al valore fissato dalle imprese per quei titoli.
Questo perché emettendo liquidità nel mercato, il prezzo aumenta.
Il prezzo che era salito all’improvviso incominciò a decrescere; la perdita di fiducia nella Borsa
condusse molti investitori sul lastrico e le famiglie a consumare meno, e la diminuzione
complessiva della domanda comportò la caduta dei prezzi dei beni (deflazione).
Si instaura un circolo vizioso: le imprese falliscono e i dipendenti non hanno risparmi da investire
nel mercato finanziario.
Di fronte questo scenario, il Presidente Roosevelt impose una chiusura forzata delle banche per
fermare la corsa al ritiro dei depositi.
In Europa, questo comportò anche il fallimento della banca austriaca, che contagiò anche una
grande banca tedesca. 47 di 122
Il diritto delle banche
In Italia, invece, già prima del 1929 il sistema bancario fu colpito da fenomeni d’instabilità, dovuti
alla debolezza economica, ma anche dal ripetersi di cattive gestioni e frodi da parte degli
intermediari.
La Società generale di credito mobiliare, che finanziava la costruzione d’impianti industriali
attraverso l’acquisto di azioni e obbligazioni, entrò in crisi. Tale istituto avrebbe dovuto avere una
raccolta a medio e a lungo termine, ma le sue passività erano composte in prevalenza da depositi.
Esplose lo scandalo della Banca Romana, accusata di aver duplicato il numero di serie dei suoi
biglietti.
Crollarono la Banca Generale e diverse altre banche, comprese alcune casse di risparmio.
In Italia si registrò una crisi del settore manifatturiero e le difficoltà industriali produssero effetti
negativi anche sul sistema bancario a causa del legame fra imprese e banche.
Le 3 banche miste (Credito Italiano, Banca Commerciale e Banco di Roma) erano titolari di
pacchetti azionari di controllo delle imprese e anche le imprese, a loro volta, avevano acquistato
azioni delle banche.
Questo pericoloso intreccio partecipativo era difficile da risolvere: le banche possedevano, per il
tramite delle industrie controllate, le loro stesse azioni. Il crollo del valore delle azioni delle imprese
condusse alla crisi del sistema bancario.
Le tre banche miste furono salvate, inizialmente, da un intervento pubblico, successivamente con
l’assunzione del controllo da parte dell’Iri.
La crisi del 2007-2009
La crisi finanziaria globale è iniziata nel 2007. I primi problemi si sono manifestati nel mercato
interbancario e in quello degli strumenti finanziari, come le asset backed securities emesse
nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione.
Con le cartolarizzazioni un blocco di crediti è ceduto a uno Special purpose vehicle che emette
titoli; il rimborso dei titoli è collegato a flussi rivenienti dall’incasso dei crediti.
Questa tecnica finanziaria ha origine negli Stati Uniti negli anni 70 del ‘900 e negli anni seguenti
tale tecnica fu favorita per facilitare l’acquisto delle abitazioni da parte dei cittadini.
La diffusione delle cartolarizzazioni ha creato distorsioni nel mercato del credito: la possibilità di
trasferire al mercato il rischio creditizio aveva portato le banche a scelte gestionale poco prudenti
nella concessione dei prestiti, infatti non era stata fatta una valutazione corretta del merito
creditizio e vi era un elevato rischio di mancato pagamento delle rate di rimborso dei mutui.
A questo si aggiungeva la scarsa trasparenza delle operazioni.
I titoli derivanti da una cartolarizzazione, inoltre, potevano essere oggetto di una nuova
operazione di cessione: si dava luogo a cartolarizzazioni di cartolarizzazioni. E nelle
cartolarizzazioni di secondo o terzo livello è difficile valutare i titoli emessi dal veicolo, a causa
della lontananza del sottostante. 48 di 122
Il diritto delle banche
I problemi nelle cartolarizzazioni hanno provocato tensioni nel mercato interbancario, ad esempio
è stata colpita la banca inglese Northern Rock (attraverso corsa al ritiro dei depositi) e la banca
d’investimento statunitense Bear Stearns.
La raccolta della Northern Rock era composta solo in parte da depositi, infatti per finanziare la
sua attività la banca raccoglieva fondi nel mercato interbancario. Nel momento di maggiore
incertezza del mercato interbancario e di quello dei titoli cartolarizzati, la Northern Rock ha avuto
difficolta a rifinanziare la sua operatività, subendo una crisi di liquidità.
Nel 2008 la crisi si estese. Il Governo statunitense nazionalizzò Fannie Mae e Freddie Mac: le due
agenzie erano insolventi a causa dell’incapacità dei debitori di rimborsare i mutui ipotecari. La
Bank of America acquisì la banca d’investimento Merill Lynch, che aveva accusato perdite su tali
mutui. Poi emerse la situazione di illiquidità della banca d’investimento Lehman Brothers, la quale
non beneficiò di un intervento pubblico e fu sottoposta all’ordinaria procedura concorsuale di
ristrutturazione delle imprese.
La scelta del Tesoro americano di lascia salire Lehman Brothers condusse al crollo della Borsa e
al blocco del mercato interbancario.
La Goldman Sachs e la Morgan Stanley chiesero l’autorizzazione ad operare come bank holding
companies, cioè come società al vertice di un gruppo bancario, soggette alle regole delle banche
commerciali, per poter accedere alle facilitazioni creditizie della Federal Reserve.
Sul finire del 2009, sono emersi i primi segnali di crisi dei titoli del debito sovrano. All’inizio le
tensioni hanno interessato Grecia, Irlanda e Portogallo, Paesi dove il debito pubblico era cresciuto
e che hanno incontrato difficolta ad accedere ai mercati per emettere titoli. Si è, quindi,
accresciuto il divario fra i tassi d’interesse sui titoli dei tre Paesi e i rendimenti dei titoli delle
nazioni considerate più affidabili (come la Germania).
Le ragioni del legame fra tensioni nel mercato dei titoli di debito sovrano e difficolta degli
intermediari sono:
- le banche dei Paesi che hanno registrato un aumento dello spread hanno sopportato un
aumento del costo della raccolta: hanno dovuto offrire rendimenti più elevati sulle passività far
fronte ad un accesso più difficile al mercato interbancario.
- I mercati hanno penalizzati gli intermediari dei Paesi con elevato debito pubblico, perché è
diminuita la fiducia nella loro solvibilità.
- le banche detenevano nei portafogli rilevanti quantità di titoli pubblici nazionali: quando il valore
dei titoli è sceso, a causa del pericolo default dello Stato, i bilanci elle banche ne hanno
sofferto.
- le banche usano titoli in portafoglio come collateral nelle operazioni di mercato aperto con la
Banca centrale. Il valore dei collateral è diminuito, rendendo più oneroso, per le banche dei
paesi con tensioni nel mercato dei titoli pubblici, il rifinanziamento presso la Bce. 49 di 122
Il diritto delle banche
L’intervento degli Stati a seguito delle crisi finanziarie
Di fronte tali crisi, gli Stati sono intervenuti per sostenere l’industria finanziaria in difficoltà e
contrastare gli effetti depressivi sull’economia.
Le banche centrali hanno svolto un ruolo fondamentale, sia attraverso la leva della politica
monetaria, sia attraverso interventi di sostegno di singoli intermediari in difficolta attraverso il
credito di ultima istanza.
Inoltre, gli Stati hanno sostenuto l’economia soprattutto con i salvataggi di banche e di altri
intermediari. Gli Stati hanno concesso finanziamenti straordinari oppure hanno acquisito quote di
di controllo delle banche (come ha fatto l’Iri).
La crisi ha dato luogo non solo ad interventi diretti dello STATO nell’economia, ma anche a riforme
delle regole che riguardano i sistemi finanziari.
Dopo la Grande depressione degli anni 30, infatti, si sottolineò la necessità di regole speciali e di
controlli pubblici sulle imprese bancarie. Se, da un lato, questo è indubbio, dall’altro, sono
cambiate le regole e gli assetti dei controlli pubblici nel corso del tempo.
Vigilanza strutturale e vigilanza prudenziale
Nell’ambito della vigilanza distinguiamo:
- vigilanza strutturale: interviene nella struttura del mercato;
- vigilanza prudenziale: controlla il grado di rischio dell’attività bancaria.
Tipici interventi strutturali sono quelli che pongono vincoli all’entrata e all’uscita dal mercato, ma
anche ai tipi di attività che possono essere svolti (es. autorizzazione all’esercizio dell’attività
bancaria).
Un altro strumento di vigilanza strutturale è rappresentato dalle regole di specializzazione
(utilizzato soprattutto in passato in Italia per distinguere le aziende di credito che operavano a
breve termine dalle aziende di credito che operavano a medio e a lungo termine).
I controlli prudenziali, invece, pongono vincoli sui rischi che gli intermediari possono assumere in
relazione alla loro situazione patrimoniale, finanziaria e organizzativa (es. limiti che stabiliscono un
determinato rapporto fra l’ammontare del patrimonio e l’ammontare dell’attivo).
Dagli anni 80 in poi sono state usate in misura maggiore le regole di vigilanza prudenziale.
La discrezionalità delle autorità
A questo si aggiunge la distinzione fra:
- regole discrezionali: attribuiscono alle autorità di controllo il potere di scegliere
discrezionalmente la regola da applicare rispetto al singolo caso;
- regole automatiche: vincolano le decisione delle autorità alla sussistenza di determinati
presupposti oggettivi. 50 di 122
Il diritto delle banche
L’ampiezza della discrezionalità incide sul grado di libertà dell’esercizio dell’attività e sulla
concorrenza del mercato bancario. L’autonomia imprenditoriale, infatti, è maggiormente
compressa quando l’autorità amministrativa può intervenire su singole scelte gestionali e quando
non sono definiti ex ante i parametri che devono essere utilizzati dall’autorità per decidere.
La discrezionalità non può essere esclusa, ci deve essere, anche se in Italia è diminuita nel corso
del tempo, soprattutto sotto la spinta europea per la creazione di un mercato unico, fondato sui
principi della cancellazione delle barriere fra gli Stati e della libera concorrenza fra le imprese.
I modelli della supervisione pubblica
Sono cambiate le autorità preposte alla supervisione.
In tutti gli ordinamenti, tali autorità devono essere distinte dall’apparto amministrativo dello Stato
e devono essere indipendenti dal potere politico. Questo per vari motivi:
- perché si richiede un’elevata competenza tecnica;
- perché si vuole limitare l’influenza dei partiti su scelte riguardanti l’attività imprenditoriale;
- perché si vuole assicurare una maggiore continuità delle scelte della supervisione;
- perché si vuole rafforzare la credibilità delle politiche di vigilanza.
Fra queste autorità, la Banca centrale ha svolto un ruolo fondamentale in tema di vigilanza, anche
se in alcuni Paesi è responsabile della vigilanza bancaria e in altri no:
- chi sostiene l’attribuzione alla Banca centrale di compiti di vigilanza, giustifica tale scelta
considerando le sue competenze professionali in materia bancaria e finanziaria.
- in opposizione vi è chi sostiene che il perseguimento dell’obiettivo della stabilità del sistema
finanziario può entrare in conflitto con quello della stabilità monetaria.
- altri, poi, affermano che la separazione dei poteri dovrebbe indurre ad una distinzione fra Banca
centrale e autorità responsabile per la supervisione.
Nel 2013, con l’approvazione del Meccanismo di vigilanza unico fra i paesi dell’area euro, si è
scelto di affidare poteri di vigilanza sulle banche significative alla Bce.
In tema di distribuzione di competenze fra autorità, distinguiamo 3 modelli:
- modello di supervisione per finalità: le autorità deputate a controllare la stabilità delle banche
sono diverse da quelle che perseguono altri obiettivi, come la trasparenza dei mercati mobiliari.
- modello di supervisione settoriale: vengono attribuiti poteri di controllo ad una sola autorità per
ogni tipo di intermediario (ad es., in Italia, tale vigilanza si applica alle imprese assicurative;
basti pensare all’Ivass).
- modello di supervisione accentrato: vi è un’unica autorità che si occupa di perseguire sia la
stabilità del sistema bancario, sia della trasparenza dei mercati mobiliari, oltre che effettuare la
supervisione pubblica su tutto il novero degli intermediari finanziari (es. nel Regno Unito la Fsa).
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Il diritto delle banche
Capitolo VII
L’evoluzione dei controlli
La prima disciplina del 1926 sottopose le aziende di credito, che raccoglievano depositi, a norme
speciali e controlli pubblici. Infatti, la legge stabilì regole minime per controllare l’accesso al
mercato e l’espansione delle aziende di credito.
Questo intervento, però, si rivelò insufficiente per affrontare la crisi degli anni 30 derivante dalla
Grande depressione.
La legge bancaria del 1936, infatti, si presentò più estesa ed adeguata.
Essa Essa precisava che la raccolta del risparmio in tutte le sue forme ha funzione di pubblico
interesse (art 1).
I compiti di vigilanza sulle banche vennero affidate a:
- Comitato dei ministri (organo politico);
- Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito.
Tali autorità vennero successivamente sostituite:
- l’ispettorato fu sostituito dalla Banca d’Italia;
- il Comitato dei ministri fu sostituito dal Cicr: comitato ristretto di ministri con competenze
specifiche in materia di economia. La legge bancaria affidava al Cicr compiti deliberativi in
materia regolamentare, su proposta della Banca d’Italia, oltre che alcuni poteri specifici, come il
parere in merito alle proposte della Banca d’Italia sull’adozione di provvedimenti di
amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa.
La Banca d’Italia ha rappresentato l’istituzione più importante nel sistema dei controlli pubblici
sulle banche.
La legge bancaria del 1936 si limitava ad attribuire dei poteri di controllo alle autorità, senza
prevedere le finalità che questi poteri dovevano perseguire.
Una legge che non prevede tali finalità non è coerente con il principio di coretto funzionamento
delle amministrazioni.
Questo assetto di poteri ha comportato un’accentuata elasticità delle norme ed ha rappresentato
un punto di forza per la normativa bancaria, consentendo l’aggiornamento degli strumenti di
vigilanza nel tempo.
La mancanza di indicazioni sugli obiettivi da perseguire è rimasta anche dopo la nascita della
Costituzione che, all’art 47, afferma che”la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le
sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”.
La norma rappresenta la legittimazione dei sistemi di controlli pubblici e fornisce un’indicazione
generale sui modi in cui il risparmio deve essere tutelato. 52 di 122
Il diritto delle banche
Come sappiamo, il sistema bancario influisce su tutta la collettività e non riguarda solo i
risparmiatori, quindi il sistema di controlli pubblici non è giustificato solo dall’esigenza di tutelare i
piccoli risparmiatori, ma mira a garantire la stabilità finanziaria.
Infatti, all’indomani della crisi degli anni ’30, la stabilità finanziaria rappresentava l’obiettivo
principale dell’ordinamento, tanto che alla luce di questa era sacrificata la libertà d’iniziativa
economica.
La stabilità veniva perseguita attraverso provvedimenti discrezionali che limitavano l’autonomia
imprenditoriale delle banche. Le autorità, infatti, limitavano la concorrenza, affermando che la
competizione eccessiva avrebbe portato all’instabilità.
A questo scopo, vennero introdotti controlli molto rigidi, che appunto rendevano quasi del tutto
inesistente la concorrenza.
Tali controlli erano:
- controlli sull’accesso al mercato: autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria;
autorizzazione all’acquisto di partecipazioni rilevanti; apertura di sportelli (oggi irrilevanti).
- controlli sull’attività: vincoli di specializzazione e autorizzazioni caso per caso sui principali atti
di gestione.
- controlli sull’uscita dal mercato: gestione della crisi.
Tali controlli erano espressione di una vigilanza strutturale, caratterizzata da vincoli di
specializzazione e autorizzazioni sui principali atti di gestione.
I vincoli di specializzazione erano due:
- fra attività a breve termine (aziende bancarie) e attività a medio e lungo termine (istituti di
credito speciale, i quali non raccoglievano in forma di deposito e avevano vincoli operativi, cioè
ogni settore si occupa di una specifica disciplina);
- separatezza fra banca e industria: nessuna banca poteva essere comprata da un industria e
nessuna industria poteva comprare quote significative nel capitale di un’impresa bancaria. Una
volta che la banca pubblica fu trasformata in spa, la legge Amato stabilì che nessun industriale
poteva acquistare il 15% o comunque il controllo di una banca. a differenza del resto del
mondo dove vi era la banca universale, e soprattutto la banca mista. In Italia non c’era il
modello della banca mista ed era la Banca d’Italia che autorizzava la banca ad acquistare
partecipazioni in industria (oggi la banca d’Italia non può negare tale autorizzazione a propria
discrezionalità, perché servono chiare motivazioni).
Alcuni poteri della Banca d’Italia, nati come strumenti di vigilanza, sono stati usati come strumenti
di politica monetaria. Si introdusse:
- la riserva obbligatoria: oggi è uno strumento di politica monetaria. La banca d’Italia poteva
imporre alle banche di depositare presso di lei una certa quota della raccolta in depositi. È uno
strumento di politica monetaria perché se innalziamo la riserva obbligatoria (es. dal 10 al 20%),
riduciamo la massa monetaria in circolazione in quanto viene imposto a tutte le banche (è una
misura generale). Sembrava essere uno strumento di vigilanza perché più innalziamo la riserva
più stiamo sicuri che la banca non fallisca, invece non é così. 53 di 122
Il diritto delle banche
- il massimale sugli impieghi (anche questa era una misura generale): la banca non poteva fare
prestiti sopra un certo ammontare. Oggi non esiste più e ci sono le operazione di mercato
aperto.
- il vincolo di portafoglio: le banche erano obbligate ad investire una parte della raccolta in titoli
indicati dall’autorità creditizia.
L’evoluzione della supervisione sulle banche in Italia dagli anni 80 del 900
Dalla vigilanza strutturale siamo passati alla vigilanza prudenziale.
Per garantire maggiore efficienza si favori l’accesso a nuovi intermediari bancari, ma si
abbandonarono anche strumenti di vigilanza e vincoli che rendevano il mercato bancario
ingessato (anche perché in europea non c’erano tutti questi vincoli).
Con la prima direttiva di coordinamento in materia bancaria (dir 77/780/CE) recepita in Italia solo
nel 1985, furono ridotti i vincoli all’accesso al mercato del credito: da quel momento in poi
l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria deve essere concessa in presenza di requisiti
oggettivi, stabiliti in maniera uniforme per tutti i Paesi aderenti alla Comunità europea.
Con la seconda direttiva di coordinamento del 1989 vennero abrogati i vincoli di specializzazione
temporali ed operativi; l’unico vincolo rimasto del precedente impianto normativo era la
separatezza proprietaria fra banca e industria, abrogato nel 2008.
La cancellazione dei principali controlli strutturali e la limitazione della discrezionalità delle autorità
di vigilanza hanno consentito l’attenuazione dei controlli sull’espansione territoriale delle banche.
Agli inizi degli anni 90 è stato introdotto il principio del SILENZIO ASSENSO per il rilascio
dell’autorizzazione; il potere della Banca d’Italia di negare l’autorizzazione all’apertura di
succursali è stato circoscritto ai casi in cui i programmi di espansione territoriale delle banche non
risultassero compatibili con le condizioni tecnico-organizzative aziendali.
L’accordo di Basilea del 1988 e il coefficiente di solvibilità
Gli strumenti di vigilanza prudenziale hanno avuto origine nell’accordo sottoscritto a Basilea, che
imponeva il coefficiente di solvibilità: è una regola matematica che obbliga le banche ad avere un
rapporto pari all’8% fra il patrimonio (capitale sociale + riserve) e il complesso delle attività
ponderate al rischio di perdita per inadempimento dei debitori.
Infatti, le autorità si resero conto della necessità di affermare regole patrimoniali uniformi a livello
internazionale, innanzitutto per evitare una concorrenza al ribasso nella scelta di regole prudenziali
che avrebbe potuto comportare instabilità.
Inoltre, le regole di patrimonializzazione minima permetteva di costituire un cuscinetto di
sicurezza, con delle riserve da utilizzare in caso di perdita, evitando che una situazione di
illiquidità si trasformi in insolvibilità vera e propria provocando crisi sistemiche globali.
I coefficienti di solvibilità hanno anche la funzione di limitare il moral hazard di azionisti e
amministratori delle banche, perché aumentano le risorse finanziarie che essi devono investire
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Il diritto delle banche
nelle banche e che possono andare perdute nel caso in cui gestioni eccessivamente rischiose
portino al fallimento dell’intermediario.
Se una banca ha poco capitale, i costi del fallimento sono pagati dai depositanti e, più
precisamente, dai sistemi di assicurazione dei depositi. Di conseguenza, in condizioni di bassa
capitalizzazione, gli amministratori bancari preferiscono politiche di gestione rischiose, che in
caso di successo portano ad alti rendimenti.
Ecco perché tali coefficienti inducono ad una gestione prudente; l’8%, infatti, serve a stabilire una
franchigia.
Più i prestiti sono rischiosi, più il capitale viene aumentato.
Il tub del 1993
Nel 1993, il legislatore cercò di riordinare la disciplina bancaria con il testo unico bancario, che
ancora oggi rimane la disciplina di riferimento.
L’impianto della supervisione pubblica rimane inalterato, infatti le autorità non cambiano e
continuano ad avere poteri discrezionali e non vengono definiti in concreto gli strumenti di
vigilanza.
Il tub, poi, ha abrogato molte leggi speciali ed ha sostituito la legge del 1936.
All’art 5 tub sono state definite le finalità che le autorità preposte al controllo devono perseguire e
sono: la stabilità, l’efficienza, la competitività del sistema finanziario, la sana e prudente gestione,
l’osservanza delle disposizioni in materia creditizia.
La concorrenza è un obiettivo che si pone a metà strada:
- è presupposto per un sistema efficiente
- e, nel lungo periodo, anche per la sua stabilità.
Alla luce della concorrenza si può leggere il richiamo alla competitività e l’emanazione della
disciplina antitrust, che comprende le imprese bancarie.
In questa logica si spiegano anche gli obblighi di trasparenza imposti fra banca e cliente,
soprattutto la pubblicità ex ante dei prezzi dei servizi bancari, al fine di migliorare l’efficienza del
sistema bancario.
Alla luce di queste finalità, la concorrenza non può essere limitata; anzi, il tub, proprio per
preservarla, delimitata i poteri delle autorità in materia di rilascio dell’autorizzazione per l’accesso
al mercato.
Fra gli obiettivi abbiamo anche la sana e prudente gestione:
- sana: non ci devono essere conflitti d’interesse;
- prudente: attività coerente alla struttura finanziaria ed organizzativa, cioè l’attività bancaria deve
essere svolta secondo un apprezzamento consapevole dei rischi.
Infine, fra le finalità abbiamo l’osservanza delle disposizioni in materia creditizia: vuol dire limitare
il controllo delle autorità creditizie al rispetto delle norme attinenti solo all’ordinamento bancario;
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Il diritto delle banche
invece, queste autorità non possono esercitare un controllo generale sulla legittimità dell’operato
degli intermediari.
L’art 5 non prevede una gerarchia fra le finalità della vigilanza, infatti il contemperamento degli
interessi spetta alla discrezionalità delle autorità creditizie, che devono esercitarlo nel rispetto dei
principi generali dell’attività amministrativa.
La definizione delle finalità permette anche di distinguere fra funzioni di vigilanza e funzioni di
politica monetaria.
Con l’emanazione del tub, infatti, le funzioni di vigilanza della Banca d’Italia sono state scisse da
quelle di politica monetaria: inizialmente, con l’art 147 tub, era consentito alla Banca d’Italia
esercitare funzioni di politica monetaria (riserva obbligatoria, vincolo di portafoglio e massimale
sugli impieghi); oggi, invece, queste potestà sono state inserire in un distinto provvedimento
legislativo e la politica monetaria fa capo ad organismi europei di cui fa parte anche la Banca
d’Italia.
L’evoluzione degli strumenti prudenziali negli anni Novanta
Le regole di patrimonializzazione, introdotte dal Comitato di Basilea del 1988, precisano che
l’adeguatezza patrimoniale, anche se importante, non è l’unico fattore che garantisce la solidità
delle banche.
Innanzitutto, l’obiettivo delle autorità creditizie non è quello di stabilire un ammontare ottimo di
patrimonio, ma solo una soglia minima al di sotto della quale la banca non può operare.
Il coefficiente patrimoniale, però, fornisce solo un indizio della solidità della banca, ma
quest’ultima dipende anche da altri fattori.
In un’ottica prudenziale, infatti, la Banca d’Italia deve tener conto, oltre che dell’adeguatezza
patrimoniale, del contenimento dei rischio, delle partecipazioni detenibili, dell’organizzazione e dei
controlli interni.
Dopo l’emanazione del tub sono state introdotte regole che prevedono altri requisiti patrimoniali,
oltre il coefficiente di solvibilità: è stato imposto alle banche il rispetto di un requisito patrimoniale
minimo a fronte dei rischi di mercato ed è stato anche stabilito un requisito patrimoniale minimo
complessivo.
Poi sono state introdotte regole sull’organizzazione, cioè l’esigenza di garantire un’organizzazione
adeguata ad un efficace controllo dei rischi. Addirittura, l’autorità di vigilanza non si limita a
verificare il rispetto delle regole prudenziali, ma estende i suoi controlli alla qualità della gestione.
Nel sistema dei controlli assume importanza la vigilanza informativa, con la quale la banca può
essere posta sotto controllo attraverso indicatori riguardanti la patrimonializzazione, i rischi
assunti, la redditività, la liquidità e l’organizzazione.
La situazione complessiva della banca, inoltre, è necessaria anche nell’ambito dei controlli di tipo
autorizzato (la Banca d’Italia, prima di rilasciare l’autorizzazione, controllo il patrimonio, la qualità
dei soggetti, la capacità di rimanere sul mercato). 56 di 122
Il diritto delle banche
L’accordo di Basilea del 2004
Alla luce di diverse critiche all’accordo di Basilea nel 1988, si arriva all’accordo di Basilea del
2004, fondato su tre pilastri: i requisiti patrimoniali minimi, il controllo prudenziale
dell’adeguatezza patrimoniale e la disciplina del mercato.
Il primo posto riguarda i meccanismi che garantiscono livelli di patrimonializzazione minimi in
rapporto all’attività, attraverso più precisi meccanismi di definizione.
A differenza di Basilea 1, che considerava solo il rischio di credito (cioè il rischio derivante da un
eventuale inadempimento o ritardo da parte dei debitori nel restituire il prestito), Basilea 2 estende
il novero dei rischio, considerando anche:
- il rischio di mercato: dipende dall’andamento del mercato di capitali;
- il rischio operativo: dipende da eventi esterni ed eccezionali (es. terremoto).
Rispetto a quanto previsto dal precedente Accordo, le regole di Basilea 2 sul patrimonio
restano invariate nella definizione di coefficiente patrimoniale e nella misura minima dell’8%. Le
differenze intervenute nella misurazione delle attività ponderate al rischio, attraverso l’introduzione
di nuovi metodi più puntuali per la valutazione della rischiosità, associano più strettamente il
patrimonio di vigilanza al merito creditizio delle esposizioni, quindi alla misura effettiva del rischio
sopportato. Si consente alle banche, infatti, il giudizio di rating (il rating è l'insieme di procedure di
analisi e di calcolo grazie al quale una banca valuta quanto un cliente sia rischioso e quanto sarà
produttivo in futuro, se gli venisse concesso il credito che chiede).
Il secondo pilastro si concentra sugli aspetti qualitativi della gestione, infatti vi rientra il controllo
prudenziale dell’adeguatezza patrimoniale:
- le banche devono dotarsi di una struttura organizzativa di gestione dei rischi, che conto anche
dei rischi non presi in considerazione nei requisiti minimi e del possibile impatto di situazione
congiunturali avverse;
- l’Autorità di vigilanza formula un giudizio complessivo sulla banca e attiva misure correttive,
valutando il procedimento interno di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale la capacità
degli intermediari di assicurare la conformità ai requisiti patrimoniali obbligatori.
Il terzo pilastro è rappresentato dai controlli del mercato. Tale obiettivo viene perseguito attraverso
la richiesta di una maggiore trasparenza informativa da parte delle banche, concernente la
pubblicazione di un articolato set di dati in materia di valutazione dei rischi e di procedure
gestionali.
La disciplina del mercato rimane comunque uno strumento complementare rispetto ai controlli
prudenziali.
La vigilanza dopo la crisi finanziaria del 2007
La crisi finanziaria del 2007 ha reso indispensabile una profonda riflessione sull’assetto
regolamentare e sulla supervisione del settore finanziario. 57 di 122
Il diritto delle banche
Il Comitato di Basilea, nello sforzo continuo di rinforzare lo schema di regolamentazione bancaria,
è pervenuto alla definizione di un nuovo assetto regolamentare denominato Basilea 3.
Il dibattito si è incentrato su alcune caratteristiche del sistema finanziario che lo avevano reso
fragile e sull’incapacità della regolamentazione di evitare il propagarsi della crisi.
Innanzitutto, è stato dibattuto l’innalzamento dei requisiti patrimoniali, soprattutto alla luce di
garantire la stabilizzazione del sistema finanziario.
Le soluzione approvate in Basile 3, però, mantengono il requisito patrimoniale complessivo
dell’8% e confermano il sistema per il calcolo della rischiosità dell’attivo, prevedendo un notevole
rafforzamento del patrimonio delle banche.
I correttivi introdotti da Basilea 3, invece, riguardano gli strumento che possono essere computati
nel patrimonio, l’innalzamento dei requisiti minimi riferirti agli elementi del patrimonio di migliore
qualità, il sistema delle ponderazioni, un metodo di calcolo più severo.
L’innalzamento della patrimonializzazione deriva anche dall’imposizioni di buffers di capitale che
vengono aggiunti al patrimonio complessivo per fronteggiare i rischi dell’attivo:
- la riserva di conservazione del capitale: impone alle banche di avere un ammontare aggiuntivo
al capitale rispetto al requisito patrimoniale complessivo calcolato a fronte dei rischi del proprio
attivo, cui è possibile attingere in caso di crisi del mercato.
- riserva anticiclica: per contenere i rischi derivanti da un aumento eccessivo del credito nei
periodi di espansione economica.
- richiesta di una dotazione patrimoniale specifica per le banche di grandi dimensioni: a causa
delle conseguenza negative che il loro fallimento potrebbe comportare all’intero sistema
economico.
- riserva di capitale a fronte del rischio sistemico, che può essere imposto agli Stati membri.
Una novità è l’introduzione di un coefficiente di leva finanziario (rapporto fra capitale e riserve e il
totale delle attività), cioè un vincolo patrimoniale non ponderato per il rischio, al fine di limitare
l’eccesso indebitamento.
Altra novità è prevista in materia di risanamento e risoluzione: le banche devono avere un
ammontare minimo di passività che possono essere soggette a riduzione o conversione in azioni
nell’ambito delle procedure di gestione della crisi di una banca (bail-in).
L’ammontare del patrimonio che le banche devono detenere non è determinato solo da
disposizioni regolamentari generali, ma anche in funzione dell’esito del controllo prudenziale
svolto dall’autorità di vigilanza in applicazione del secondo pilastro di Basilea 2.
L’autorità di vigilanza può imporre alla banca di detenere fondi propri superiori ai minimi
regolamentari sulla base di alcuni presupposti, come il mancato rispetto delle regole di vigilanza
prudenziale o il pericolo del loro mancato rispetto.
Altro tema dibattuto sono stati i vincoli di specializzazione. 58 di 122
Il diritto delle banche
Si è contrastata la banca universale, innanzitutto perché l’esercizio congiunto di attività bancaria
tradizionale e attività d’investimento comporterebbe una crescita esagerata della banca, e gli
intermediari troppo grandi sono difficili da controllare.
Inoltre, questo comporterebbe anche un eccessivo intervento pubblico nelle crisi. Secondo tale
impostazione, dovrebbe essere salvate solo le banche che, raccogliendo risparmio con il
deposito, possono essere soggette ad una crisi di panico fra i risparmiatori (corsa agli sportelli).
Esse devono essere salvate perché svolgono attività d’intermediazione tradizionale, che è
fondamentale nei sistemi economici; invece, l’attività nei mercati mobiliari (definita speculativa)
può essere lasciata ai normali meccanismi del mercato, anche in situazioni di crisi.
Alcuni Paesi, però, hanno mostrato dei dubbi riguardo l’efficacia di queste regole, tenendo conto
anche che sono entrati in difficoltà molti intermediari che operavano solo nel settore
dell’intermediazione mobiliare (es. Lehman Brothers).
Ecco che i vincoli di specializzazioni sono stati introdotti solo in alcuni Paesi, come Stati Uniti e
Regno Unito.
In Europa, la Commissione europea ha proposta una riforma per assicurare la distinzione fra
l’attività bancaria tradizionale (raccolta di depositi ed erogazione del credito) e quella di trading in
conto proprio e altre tese a garantire un’adeguata valutazione dei rischi derivanti dall’attività di
trading per conto di terzi.
Fino ad oggi, le regole di specializzazione sono state limitate a quei sistemi dove è sviluppata
l’attività di intermediazione mobiliare; le proposte regolamentari europeo prevedono l’applicazione
di regole di specializzazione solo alle banchi di grandi dimensioni.
Altro dibattito ha riguardato i limiti all’operatività e i divieti all’innovazione finanziaria, soprattutto le
operazioni di cartolarizzazione.
In realtà, si è ritenuto che la vera soluzione non è quella di vietare, ma di disincentivare un uso
distorto dei prodotti finanziari, come è avvenuto con le nuove regole sulle cartolarizzazioni.
In particolare, il principale problema delle cartolarizzazione è quello di consentire al mutuante di
non conservare i rischi nel bilancio, e questo non solo indebolisce gli incentivi ad effettuare una
corretta valutazione del merito creditizio, ma abbassa anche la qualità dei prestiti. Per limitare
questo problema è stato imposto all’originator di coprire in via prioritaria le perdite prodotte
dall’attività cartolarizzata attraverso la sottoscrizione di junior notes subordinate nel rimborso. In
quest’ottica, l’accordo di Basilea 3 ha previsto un obbligo di retention di parte degli attivi ceduti
nelle cartolarizzazioni.
Altro problema creato dalle cartolarizzazione è stato quello di generare informazioni asimmetriche
nel mercato, a causa della complessità della catena di prodotti finanziari coinvolti nelle operazioni.
Nell’accordo di Basile 3, infatti, sono stati introdotti degli incentivi per favorire una corretta
valutazione del rischio dei titoli derivanti dalle cartolarizzazioni nel calcolo del patrimonio
regolamentare degli intermediari. In particolare, è stata prevista una penalizzazione nella
valutazione dei titoli di ricartolarizzazioni nel calcolo del patrimonio di vigilanza da detenere a
fronte dell’attivo ponderato per il rischio. 59 di 122
Il diritto delle banche
Poi è sorta l’esigenza di limitare le remunerazioni degli amministratori, in quanto esiste un conflitto
fra il beneficio che gli amministratori ottengono nel breve periodo e l’interesse ad una sana e
prudente gestione della banca nel lungo periodo.
Per evitare il conflitto di interesse, la normativa europea ha fissati dei limiti alle remunerazioni
incentivanti (cioè basate su strumenti finanziari (stock options) o collegati alla performance
azionale) per garantire che la remunerazione dei top manager sia valutata, in modo approfondito e
trasparente, dagli organi societari competenti.
Quindi, il quadro generale non modifica la vigilanza prudenziale degli anni Novanta, ma
semplicemente Basilea 3 introduce dei correttivi e delle nuove regole a fronte dei rischi di liquidità.
La crisi finanziaria 2007-2008, infatti, aveva sottolineato che un buon sistema di supervisione è
rappresentato anche da regole che consentono una liquidazione ordinata delle banche in caso di
dissesto.
La diversità dei vari ordinamenti nazionali, però, ha comportato delle difficolta in materia di
gestione della crisi di banche operanti a livello internazionale. Ecco perché sono stati proposti
tentativi di armonizzazione.
La mancanza di regole comuni nella gestione della crisi, inoltre, ha comportato disparità di
trattamento fra i risparmiatori, alternano le condizioni concorrenziali all’interno del mercato
europeo. Inoltre, la maggior parte degli Stati ha cercato di salvare le banche in difficolta con
risorse pubbliche.
Ma, i Governi europei, pur affermando che l’intervento pubblico in caso di crisi sistemiche è
inevitabile, hanno cercato di limitare il peso sopportato dai contribuenti.
La necessità di queste nuove regole in materia di gestione della crisi ha favorito un’accelerazione
del processo di armonizzazione fra i Paesi dell’UE, infatti nel 2014 è stata approvata la direttiva
che stabilisce un regime uniforme per il risanamento e la risoluzione delle banche.
Poi, il progetto della Banking Union ha dedicato ampio spazio alle crisi istituendo un Meccanismo
di risoluzione unico delle banche.
La vigilanza dopo la crisi dei debiti sovrani del 2009-2012
Uno dei dibattiti maggiormente affrontati è stato quello di rafforzare il ruolo delle istituzioni
europee. Sono nate quattro autorità:
- il Comitato europeo per il rischio sistematico, con poteri macro-prudenziali;
- tre autorità settoriali dedicate alla vigilanza micro-prudenziale su banche, intermediari mobiliari,
assicurazioni e fondi pensione.
Nonostante si è voluto garantire un processo di armonizzazione delle regole bancarie a livello
europeo, la riforma ha cercato un compromesso: ha lasciato molti poteri in capo alle singole
autorità nazionali che hanno autorizzata la relativa banca all’esercizio dell’attività. 60 di 122
Il diritto delle banche
La scelta della Commissione di varare un progetto di Unione bancaria è stata determinata dalla
crisi dei debiti sovrani in Europa.
La Commissione ha affermato che Paesi che condividono una moneta unica devono accentrare
anche le competenze di supervisione sulle banche.
Quindi, la decisione di creare un sistema bancario unitario in Europa derivano non solo dalla
necessità di garantire la solidità del sistema bancario e la stabilità finanziaria, ma anche dalla
necessità di ristabilire la fiducia nell’euro dopo la crisi dei debiti sovrani.
La proposta della Commissione si basa su tre pilastri:
- meccanismo di vigilanza unico;
- meccanismo unico per la risoluzione delle banche in crisi;
- armonizzazione e rafforzamento dei sistemi di garanzia dei depositi.
Il Regno Unito non ha aderito al progetto della Banking Union. 61 di 122
Il diritto delle banche
Capitolo VIII
Le autorità del settore bancario
Il comitato di Basilea
Il Comitato di Basilea nasce su iniziativa dei governatori delle banche centrali dei Paesi
appartenenti al G10, in seguito al fallimento di una banca tedesca, in quanto si percepirono le
conseguenze che la crisi di un intermediario bancario avrebbe potuto comportare a livello globale.
Oggi, il Comitato è formato dai rappresentanti delle autorità di vigilanza bancaria e delle banche
centrali di molti più Stati rispetto a quelli aderenti in origine; si riunisce a Basilea presso la Banca
dei regolamenti internazionali.
Il Comitato stabilisce linee guida e standard di vigilanza che gli operatori bancari devono seguire.
Tali indirizzi costituiscono il soft law, ossia influenzano le scelte regolamentari dei vari Paesi al fine
di creare un sistema di regole omogeneo, ma che non ha natura vincolante. Non sono diretti ai
cittadini o alle imprese, ma agli organi politici e alle autorità nazionali competenti titolari di
capacità normativa.
Tali standard sono stati poi trasferiti in direttive dell’Unione.
Il Financial stability board
Il Financial stability board ha origine dal G20 tenutosi a Londra nel 2009, ha sostituito il Financial
stabilita forum e nasce per migliorare il coordinamento e lo scambio di informazioni fra le diverse
istituzioni responsabili della stabilità finanziaria dei Paesi industrializzati.
Ad esso spetta il compito di fissare standard regolamentari comuni e di verificare la corretta
applicazione delle regole, nonché di creare un sistema di preallarme per avvisare la comunità
internazionale di una situazione di instabilità finanziaria.
Anche questi standard possono essere ricondotti nell’ambito della soft law.
I controlli pubblici in Europa
La realizzazione del mercato unico in campo bancario ha come obiettivo l’avvicinamento delle
normative degli Stati membri dell’UE.
Il Trattato di Roma aveva come obiettivo quello di abolire le restrizione per favorire la libera
circolazione di persone, merci, servizi e capitali. Ma solo con l’Atto unico europeo si afferma una
nuova filosofia di integrazione dei sistemi normativi europei, con l’affermazione del mutuo
riconoscimento e dell’equivalenza negli altri Paesi delle regole stabilite in un singolo Paese
dell’Unione.
La seconda direttiva di coordinamento in materia bancaria stabiliva una regola di armonizzazione
minima e affermava il principio del mutuo riconoscimento: 62 di 122
Il diritto delle banche
- armonizzazione minima, perché una volta recepita la direttiva bisogna rispettare solo una regola
minima comune, al di sotto della quale non si può scendere; ogni paese, però, potrebbe
scegliere una regola più severa. Questo meccanismo avrebbe favorito armonizzazione tramite
un meccanismo di competizione fra gli ordinamenti.
- home country control, grazie al quale le banche possono operare in tutto il territorio europeo
sulla base dell’autorizzazione del Paese d’origine e sono soggette al controllo delle autorità di
quest’ultimo.
Il principio del mutuo riconoscimento, però, ha un limite nel tutelare l’applicazione delle regole
d’interesse generale del Paese ospitante.
Per consentire una vigilanza efficace, vennero previsti meccanismi di cooperazione multilaterale
fra le autorità dei Paesi interessati.
Nel caso di operatività in più Paesi europei attraverso filiazioni, cioè banche nazionali vigilate in via
principale dalle autorità del Paese dove sono insediate, la vigilanza consolidata, cioè sul gruppo
nel suo insieme, è affidata alle autorità del Paese i cui è insediata la capogruppo.
Nonostante la creazione di un mercato unico bancario, rimaneva importanti differenza di regole
dei vari Paesi europei.
Per accelerare il processo di armonizzazione, il “Rapporto dei saggi” promosse la nascita di nuovi
organismi con competenze specifiche di ausilio alla Commissione.
Lo scopo era quello di ridurre la discrezionalità delle autorità nazionali nel recepimento della
normativa europea, infatti venne stabilita una regola di armonizzazione massima, cioè gli Stati, nel
recepire la direttiva, non possono stabilire regole diverse, neppure se più severe di quelle europee.
La riforma lasciò intatto il sistema delle competenze per la supervisione, vene solo rafforzato
l’obiettivo della cooperazione fra le autorità.
Un passo avanti si ebbe con la direttiva del 2006, che ha trasferito nell’ordinamento europeo i
principi stabiliti dall’accordo di Basilea 2: viene mantenuto il principio dell’home country control,
ma si stabilisce che per ogni gruppo bancario con filiazioni in più Stati europei debba essere
costituito un collegio di supervisori composto da rappresentati delle autorità nazionali, soprattutto
per favorire lo scambio di informazioni.
La crisi finanziaria del 2007 ha dato luogo ad una nuova riforma, modificando la precedente
architettura della supervisione pubblica.
Il Sistema europeo di vigilanza finanziaria comprende 4 nuove istituzioni europee:
- il Comitato europeo per il rischio sistematico, che ha poteri di carattere macro-prudenziale;
- tre autorità dedicate alla vigilanza micro-prudenziale: l’autorità bancaria europea; l’autorità
europea degli strumenti finanziari e dei mercati; l’Autorità europea delle assicurazioni e delle
pensioni aziendali e professionali. Per il loro coordinamento è istituito il Comitato congiunto
delle autorità europee di vigilanza.
Tale sistema non prevede l’accentramento dei poteri di vigilanza in capo ad autorità europee
sovraordinate a quelle degli Stati membri, infatti continua a valere il principio dell’home country
control. 63 di 122
Il diritto delle banche
Nel settembre 2012, la Commissione europea va verso la Banking Union, limitata ai Paesi
dell’area dell’euro e agli altri Stati membri intenzionati ad aderirvi.
Tale scelta è dettata dal fatto che, in seguito alla crisi finanziaria, si era creato un pericoloso legale
fra rischio del debito sovrano e debolezze del sistema bancario. Di conseguenza, in Paesi che
condividono una moneta unica, è importante anche accentrare le competenze di supervisione
sulle banche.
La Commissione europea ha approvato un progetto fondato su tre pilastri:
- Meccanismo di vigilanza unico;
- Meccanismo di risoluzione unico;
- Sistema armonizzato di assicurazione dei depositi.
Il Comitato europeo per il rischio sistematico
Il Comitato europeo per il rischio sistematico è un organismo senza personalità giuridica,
insediato presso la Bce ma indipendente. Il principale organo decisionale è il Consiglio generale.
Ha il compito di ridurre la possibilità di rischi sistemici, di migliorare la resistenza del sistema
finanziario, di favorire la stabilità finanziaria e di mitigare gli effetti di un’eventuale situazione di
instabilità.
Il Cers può emanare raccomandazioni, che vengono inviate al Consiglio europeo o alla
Commissione europea.
Non esiste un potere sanzionatorio, infatti se si rileva un rischio per l’integrità e il funzionamento
del mercato finanziario, il Cers deve avvisare il Consiglio europeo, che attiva un apposito
procedimento per definire la situazione di emergenza.
L’Autorità bancaria europea
L’Autorità bancaria europea è un’agenzia europea istituita con regolamento del Consiglio europeo.
I principali organi sono: il presidente; il direttore esecutivo; il Consiglio delle autorità di vigilanza, il
quale definisce le politiche decisionali dell’autorità; i rappresentanti della Commissione europea,
del Cers, della Bce e di altre due autorità di settore europee.
L’Abe ha diversi compiti:
- risolvere i casi di disaccordo fra i supervisori nazionali, quando si richiede un coordinamento;
- assicurare un’applicazione uniforme delle regole dell’Unione;
- svolgere un ruolo di coordinamento in situazioni di emergenza;
- potere di controllo sull’attuazione delle regole europee nei singoli ordinamenti.
Il ruolo più importante è quello regolamentare, attraverso il quale l’Abe redige un single rulebook
della supervisione bancaria in Europa. In realtà, non si tratta di un potere regolamentare
autonomo, ma queste proposte devono essere sottoposte all’approvazione della Commissione
europea per acquisire valore giuridico. 64 di 122
Il diritto delle banche
Il potere regolamentare, però, rimane rilevante, in quanto la Commissione può modificare le
proposte dell’Abe solo in casi limitati.
Poi, l’Abe coordina i lavori dei collegi, per rafforzare la supervisione e l’applicazione di regimi
uniformi di vigilanza prudenziale dei gruppi bancari europei. L’Abe, inoltre, svolge un ruolo di
mediazione giuridicamente vincolante per risolvere le controversie fra le autorità competenti.
L’Abe può intervenire per coordinare gli interventi in caso di gestione della crisi a livello europeo e
può partecipare nello sviluppo e nel coordinamento i piani di risanamento e di risoluzione di
imprese bancarie in crisi per limitare l’impatto sistemico di un fallimento.
Essa ha anche poteri in materia di sistemi di garanzia dei depositi.
L’Abe, inoltre, monitora i rischi e analizza, attraverso gli stress test, la solidità delle banche e la
stabilità del sistema nel suo insieme.
L’Abe ha il potere di vietare alcune attività, per proteggere i consumatori e tutelare il buon
funzionamento dei mercati.
A seguito del Mvu, l’Abe ha mantenuto i suoi poteri, infatti continua a svolgere un ruolo principale
in campo normativo, contribuendo a creare un corpo unico di norme valido per tutti gli Stati
membri e per rafforzare la vigilanza in tutta l’Unione.
Il meccanismo di vigilanza unico fra i Paesi dell’area dell’euro
Il regolamento UE n. 1024/2013 stabilisce un Meccanismo di vigilanza unico per le banche
dell’area euro (gli altri Stati membri possono aderirvi attraverso accordi di cooperazione
rafforzata), senza creare una nuova autorità di vigilanza europea, ma semplicemente disciplinando
l’esercizio unitario della vigilanza sulle banche da parte della Bce e delle autorità nazionale.
Anche se sussiste un coordinamento fra queste funzioni, la Bce ha un ruolo preminente, infatti è
quest’ultima responsabile dell’efficace funzionamento del Mvu; questo per due motivi:
- sia per evitare di creare un nuova autorità di vigilanza europea, che avrebbe avuto sicuramente
poteri discrezionali più limitati rispetto alla Bce;
- sia perché la Bce già è un’istituzione con una reputazione già consolidata sui mercati finanziari.
L’Unione bancaria ha adottato un criterio quantitativo che permette di sottoporre le banche
significative (cioè quelle che superano determinati requisiti patrimoniali) alla vigilanza diretta da
parte della Bce; invece, le banche non significative sono sottoposte alla vigilanza diretta delle
autorità di vigilanza nazionali e alla vigilanza indiretta della Bce.
Anche nell’esercizio diretto della vigilanza da parte della Bce sulle banche significative, esiste un
ausilio da parte delle autorità nazionali (come la Banca d’Italia). Questo perché, di fatto, la Bce ha
difficoltà nell’andare a garantire l’applicazione della normativa nazionale, infatti questo
meccanismo unico di vigilanza deve comportare un intreccio di regole nazionali e sovranazionali.
Questa collaborazione avviene attraverso un continuo scambio di informazioni fra la Banca d’Italia
e la Bce. 65 di 122
Il diritto delle banche
I poteri della Bce si limitano comunque alla vigilanza prudenziali sulle banche, quindi alle autorità
nazionali spettano tutte quelle materia non riconducibili direttamente a questa materia (es.
protezione dei consumatori; contrasto al riciclaggio; servizi di pagamento).
L’art 4 del regolamento elenca i compiti che spettano alla Bce: autorizzazione all’esercizio
dell’attività bancaria e all’acquisizione di partecipazione al capitale delle banche; controllo sul
rispetto dei requisiti prudenziali; segnalazione e informativa al pubblico di tutte queste
informazioni.
La Bce deve assicurare il rispetto delle regole del governo societario, come: il controllo dei
requisiti di professionalità e di onorabilità delle persone preposte all’amministrazione delle
banche; le norme sulla gestione del rischio; il controllo interno; le politiche di remunerazione e la
valutazione dell’adeguatezza del capitale interno.
La Bce effettua valutazioni prudenziali per garantire che i meccanismi e le strategie delle banche
siano adatti per una gestione solida e per coprire i rischi. A questo scopo può imporre obblighi
specifici in materia di fondi propri aggiuntivi, requisiti informativi e di liquidità.
La Bce ha anche poteri di vigilanza relativi ai piani di risanamento e alle misure di intervento
precoce; può prevedere cambiamenti strutturali per prevenire il fallimenti, ad esclusione dei poteri
di risoluzione.
La Bce esercita una vigilanza consolidata e supplementare:
- esercita la vigilanza su base consolidata sulle imprese madri stabilite in uno Stato membro
partecipante al Mvu;
- partecipa ai collegi delle autorità che esercitano la vigilanza su base consolidata sulle imprese
madri non stabilite in uno degli Stati membri partecipanti al Mvu e svolge il ruolo di
coordinatore del collegio;
- partecipa alla vigilanza supplementare dei conglomerati finanziari in relazione agli enti creditizi
che ne fanno parte e può essere nominata coordinante per un conglomerato finanziario in
conformità ai criteri fissati nel diritto dell’Unione.
La Bce esercita una vigilanza informativa ed ispettiva, infatti ha il potere di:
- acquisire informazioni delle banche e degli altri soggetti al fine di analizzare la situazione
finanziaria delle banche;
- effettuare ispezioni in loco.
Un discorso a parte per le valutazioni prudenziali su aspetti della gestione delle banche che sono
previsti dagli ordinamenti nazionali (tub), ma non nella normativa dell’Unione.
Trattandosi di poteri attribuiti alle autorità di vigilanza dal tub, senza una base normativa europea,
questi continuano a spettare alle autorità nazionali. Alla Bce vengono trasferiti i compiti
espressamente delineati dal regolamento UE che coincidono con i controlli affidati alle autorità
nazionali dalla disciplina europea. Quindi, considerando che la vigilanza prudenziale sulle banche
significative spetta alla Bce, le autorità nazionali quando esercitano i poteri previsti dal tuo
dovranno attenersi alle istruzioni della Bce. È il caso di: 66 di 122
Il diritto delle banche
- accertamento su modifiche statutarie;
- operazioni di concentrazione;
- cessione di attività e passività in blocco;
- autorizzazioni in materia di partecipazioni detenibili.
Poi, i controlli e l’applicazione di strumenti macroprudenziali e ogni altra misura che miri ad
affrontare i rischi sistemici costituiscono una competenza condivisa fra autorità competenti
nazionali e Bce.
La Bce ha compiti importanti nella situazione che prende la crisi di una banca, cioè compiti di
vigilanza in materia di piani di risanamento e di misure d’intervento precoce qualora la banca non
soddisfa o rischia di violare i requisiti prudenziali; sono esclusi i poteri di risoluzione.
Alla Bce spetta il potere di imporre sanzioni amministrative pecuniarie.
La Bce incontra un limite solo in materia di vigilanza regolamentare.
Un aspetto importante del Mvu, infatti, è la scissione fra la funzione regolamentare e la funzione di
controllo operativo con l’attribuzione ad autorità diverse: l’Abe è autorità di regolazione, mentre la
Bce è autorità di vigilanza.
La Bce, però, può adottare raccomandazioni nel quadro delle norme adottate dall’Abe e dalla
Commissione e può adottare regolamenti solo nella misura in cui questo sia necessario per
organizzare o precisare le modalità di assolvimento dei suoi compiti (regolamenti organizzativi
della funzione).
Quindi, il processo di formazione delle regole europee rimane in capo ad organismi diversi
preposti a tal fine, come l’Abe.
Con il Mvu, sono state ampliate le potestà regolamentari della Bce, infatti quando il diritto
dell’Unione attribuisce opzioni regolamentari agli Stati membri, la Bce deve applicare il diritto
nazionale, ma quando esso attribuisce opzioni alle autorità competenti, l’esercizio di queste
spetta alla Bce.
Per evitare conflitti di interesse, si è impedita la possibilità di affidare le funzioni di politica
monetaria e quelle di vigilanza alle stessa autorità.
Questo permette di evitare che sia la stessa autorità a dover valutare se una decisione presa per
tutelare la stabilita del sistema finanziario possa essere considerata corretta sul piano della
politica monetaria.
Questo ha permesso di adottare una soluzione che tiene conto di due esigenze:
- prevede strumenti in grado di risolvere possibili situazioni di conflitto di interesse fra la politica
monetaria e la vigilanza;
- il Consiglio direttivo della Bce viene qualificato come l’unico organo cui spetta il potere
decisionale. 67 di 122
Il diritto delle banche
A questo proposito, è stato creato il Consiglio di vigilanza, che svolge un ruolo fondamentale
nell’assunzione di provvedimenti, ma la parola finale spetta sempre al Consiglio direttivo della
Bce, attraverso un meccanismo di silenzio-assenso.
La pianificazione e l’esecuzione dei compiti di vigilanza spettanti alla Bce sono di competenza del
Consiglio di vigilanza, formato da un presidente, un vicepresidente, quattro membri rappresentanti
della Bce e un rappresentante di ogni autorità nazionale.
Il Consiglio di vigilanza propone le decisioni al Consiglio direttivo che può solo opporsi (entro il
termine perentorio di 10 giorni), rimettendo la questione al Consiglio. Nel caso di mancata
opposizione, il provvedimento è formalmente adottato dalla Bce.
In caso di obiezioni, il Consiglio direttivo deve dare motivazioni, in particolare facendo riferimento
alle questioni di politica monetaria.
In alcuni casi, le ragioni di politica monetaria sembrano prevalere sulle ragioni di vigilanza. Infatti,
viene affermato il principio secondo cui la Bce esercita i poteri di vigilanza senza recare
pregiudizio ai compiti di politica monetaria e senza interferire con questi compiti, ma non si
afferma il principio opposto, secondo cui le decisioni di politica monetaria non devono interferire
con quelle di vigilanza.
Nel procedimento possono intervenire anche altri due organi: il Gruppo di esperti di mediazione e
il Comitato amministrativo per il riesame.
Il Gruppo di mediazione, composto da un membro per ogni Stato partecipante, risolve eventuali
divergenze di opinioni fra le autorità competenti degli Stati membri se il Consiglio direttivo si
oppone ad un progetto del Consiglio di vigilanza.
La Commissione amministrativa del riesame, invece, è composta da 5 membri nominati in seguito
a selezione pubblica fra soggetti che presentano conoscenze ed esperienza professionale nel
settore bancario. Non vi può far parte il personale in servizio presso la Bce od ogni altra autorità di
vigilanza, in quando si vuole garantire l’indipendenza dell’organo.
La Commissione, su istanza del soggetto interessato da un provvedimento di vigilanza della Bce,
valuta la conformità procedurale e sostanziale del provvedimento al regolamento UE e può
chiedere al Consiglio di vigilanza delle modifiche. Il Consiglio non è tenuto a seguire il parere della
Commissione.
Il ricorso alla Commissione non preclude la possibilità per l’appellante di rivolgersi alla Corte di
giustizia europea.
La Commissione decide in termini procedurali vincolanti; valuta l’ammissibilità del ricorso; limita il
suo esame al petitum dell’appellante; può chiedere la sospensione del provvedimento della Bce;
motiva le sue decisioni; decide a maggioranza.
L’attività di revisione della Commissione è un’attività di revisione amministrativa interna, che mira
a due obiettivi:
- ridurre il costo dell’appello per le persone o imprese che lamentano una lesione ad un proprio
diritto da parte dell’autorità di vigilanza; 68 di 122
Il diritto delle banche
- proteggere l’interesse pubblico dell’amministrazione ad operare nel rispetto della legge ed
evitare di dare attuazione ad atti che potrebbero essere invalidati dalla Corte di giustizia.
I rapporti fra Bce e autorità nazionale competenti
Il coordinamento dei poteri fra Bce e autorità nazionali competenti si basa sue due principi:
- la Bce è responsabile del funzionamento efficace e coerente del Mvu;
- la Bce e le autorità nazionali devono cooperare in buona fede e hanno l’obbligo di scambiarsi
informazioni.
Il primo criterio per la distribuzione del potere è un criterio quantitativo: le banche significate
soggette alla vigilanza della Bce; le banche meno significative soggette alla vigilanza delle autorità
nazionali.
Per capire quali sono le banche significative e le banche meno significative esistono diversi criteri:
- il primo guarda alla dimensione di una banca;
- il secondo affida alle autorità competenti nazionali il compito di valutare l’importanza della
banca nell’economica dello Stato;
- il terzo riguarda la rilevanza delle attività cross border, cioè non rileva la dimensione della
banca, ma la circostanza che essa operi in più di uno Stato membro con società giuridicamente
distinte ma controllate.
Inoltre, sono assoggettate alla vigilanza della Bce le banche che hanno ricevuto assistenza
finanziario dal Meccanismo europeo di stabilità.
Un ultimo criterio prevede che almeno le tre istituzioni bancarie più rilevante di ogni Paese (a
prescindere se abbiano le dimensioni di una banca significativa) debbano essere comprese
nell’elenco delle banche significative.
Si può notare come il peso della Bce nel sistema finanziario europeo sia notevole. A maggior
ragione se consideriamo che la Bce può esercitare anche una vigilanza diretta sulle banche meno
significative, per garantire più elevati standard di vigilanza prudenziale.
Inoltre ci sono materia che spettano esclusivamente alla Bce, a prescindere da qualsiasi
distinzione, come l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria e l’acquisto di partecipazioni
nel capitale delle banche.
Poi, nei confronti delle banche meno significative, la Bce definisce i criteri generali dell’azione di
vigilanza; può avocare a sé in qualsiasi momento la vigilanza; può emanare regolamenti,
orientamenti e istruzioni geniali alle autorità nazionali.
Anche le autorità nazionali possono incidere sulla vigilanza delle banche significative. Le autorità
nazionali, infatti, partecipano al processo decisionale della Bce attraverso i loro rappresentanti al
Consiglio di vigilanza; partecipano alla revisione periodica della situazione finanziaria delle banche
significative e alla selezione del personale e alla nomina degli ispettori.
Quindi si tratta di una forte integrazione fra gli organismi nazionali e gli organismi europei. 69 di 122
Il diritto delle banche
Le autorità competenti nazionali
Il CICR
Il Cicr è presieduto dal ministro dell’Economia e delle Finanze ed è composto da ministri; alle
riunioni partecipa il governatore della Banca d’Italia.
Il Cicr non ha una propria struttura amministrativa, ma si avvale della Banca d’Italia.
Inizialmente, si diceva che avesse funzioni di alta vigilanza in materia di credito e di tutela del
risparmio; in realtà, questa espressione è molto vaga e rende difficile individuare la natura del Cicr.
Il Cicr ha compiti deliberativi in materia regolamentare, in alcuni casi su proposta della Banca
d’Italia. Ma, nel 2015 sono state cancellati i suoi poteri normativi riguardanti la vigilanza
prudenziale.
Il tub, però, ha conservato i poteri regolamentari ai fini dell’implementazione delle norme sulla
riserva di raccolta del risparmio in favore delle banche, sulla trasparenza bancaria e su altre
misure riguardanti l’attività negoziale delle banche.
Al di fuori della funzione normativa, il Cicr decide in merito ai reclami contro i provvedimenti della
Banca d’Italia adottati nell’esercizio dei poteri di vigilanza (strumento inutilizzato).
Nell’attuale contesto normativo non c’è stazione per funzioni di indirizzo politico sul sistema
bancario, quindi si è sempre dibattuto sulla natura del Cicr: organo politico (rappresentava un
residuo della matrice fascista: avere politici che sovraintendono l’attività bancaria), ma anche
esercita poteri amministrativi. In ogni caso, il Cicr deve indirizzare i suoi poteri sempre alle finalità
stabilite nell’art 5 tub.
Il ministro dell’Economia e delle Finanze
È stato cancellato il potere del ministro di emanare il decreto di irrogazione delle sanzioni
amministrativa, che oggi è di competenza esclusiva della Banca d’Italia..
Il ministro dell’Economia e delle Finanze ha compiti regolamentari, circoscritti a specifiche
materie. La sua principale potestà normativa riguarda i requisiti di onorabilità, professionalità e
indipendenza degli esponenti aziendali e i requisiti dei partecipanti al capitale.
Il ministro ha poteri sostitutivi del Cicr in caso di urgenza ed ha poteri in materia di gestione di
crisi di banche. Il ministro, però, non interviene più per disporre l’amministrazione straordinaria,
che spetta esclusivamente alla Banca d’Italia, ma ha conservato il potere di emanare il decreto di
liquidazione coatta amministrativa.
Il ministro, inoltre, può approvare il provvedimento con cui la Banca d’Italia dispone l’avvio alla
risoluzione di una banca in dissesto.
La Banca d’Italia
La Banca d’Italia ricopre il ruolo più importante per quanto riguarda i controlli pubblici sulle
banche a livello nazionale. Essa include in sé una pluralità di potestà, sia quella di Banca centrale
e quella di vigilanza, e gode di una invidiabile reputazione di indipendenza e di rigore tecnico
conquistati nel tempo. 70 di 122
Il diritto delle banche
Con l’emanazione del tub, come sappiamo, sono state scisse le funzioni di vigilanza e di politica
monetaria, quindi non c’è più confusioni fra le funzioni della Banca d’Italia: le funzioni di politica
monetaria sono svolte sulla base di regolamenti del Consiglio europeo e della Bce.
Per perseguire gli obiettivi di politica monetaria, le banche centrali analizzando l’andamento e la
rischiosità del sistema finanziario nel suo complesso, ed è un’attività utile anche all’esercizio della
funzione di vigilanza.
In quanto Banca centrale, la Banca d’Italia ha compiti che riguardano il sistema dei pagamenti.
La Banca d’Italia e i suoi organi hanno sempre goduto di indipendenza; i suoi organi sono: il
governatore, il Direttorio, il direttore generale e tre vice direttori generali. L’indipendenza del
governatore è assicurata anche dal procedimento di nomina, che coinvolge più poteri dello Stato.
Al Direttorio, invece, spettano i poteri riguardanti la tutela del risparmio e dell’esercizio del credito;
decide in modo collegiale.
La Banca d’Italia assicura la trasparenza attraverso la pubblicità preventiva dei principi e dei criteri
della sua attività di vigilanza. Inoltre, riferisce sul proprio operato al Parlamento e al Governo
attraverso una relazione semestrale sulla propria attività.
La Banca d’Italia svolge un importante ruolo nella regolamentazione secondaria in materia di
vigilanza, infatti applica i regolamenti e le decisioni europee.
La Banca d’Italia emana istruzioni, detta disposizioni di carattere particolare ed emana
regolamenti nei casi previsti dalla legge.
Le regole di attuazione delle direttive europee sono “disposizioni di vigilanza prudenziale per le
banche”: è un’attività che, anche se sembra di natura amministrativa, per l’ampiezza dei contenuti
e l’ambito dei destinatari, è dia natura regolamentare.
Tali disposizioni sono accompagnate da una relazione che illustra le conseguenze sull’attività delle
imprese, degli operatori e sugli interessi degli investitori e dei risparmiatori.
In tali atti, le autorità devono tener conto del principio di proporzionalità, cioè devono garantire
l’esercizio di un potere adeguato al raggiungimento del fine col minor sacrifico degli interessi dei
destinatari.
La Banca d’Italia ha molti poteri di vigilanza:
- rilascia autorizzazioni;
- adotta provvedimenti di carattere particolare;
- chiede informazioni alle banche;
- può effettuare ispezioni;
- può irrogare sanzioni amministrative.
La Banca d’Italia ha anche poteri in materia di gestione della crisi di intermediari: decide
sull’amministrazione straordinaria; effettua la proposta al ministro dell’Economia e delle Finanze
per la disposizioni di liquidazione coatta amministrativa; assume il provvedimento che dispone
71 di 122
Il diritto delle banche
l’avvio della risoluzione di una banca; ha compiti di direzione e controllo delle procedure di
gestione della crisi.
La Banca d’Italia stabilisce i criteri da seguire nella sua azione, nel rispetto delle finalità stabilite
dall’art 5 tub; i suoi atti devono essere scritti e motivati.
Essa individua e pubblicizza preventivamente i provvedimenti, i termini del procedimento e i
motivi della decisione.
La Banca d’Italia gode di ampia discrezionalità nell’esercizio delle sue funzioni. Alla Banca d’Italia,
infatti, spetta di apprezzare in concreto il bene, contemperando le finalità stabilite dall’art 5 tub,
purché le sue valutazioni siano ragionevoli, logiche e coerenti.
Tale discrezionalità è supportata dalle sue elevate conoscenze e capacità tecniche, anche in sede
giurisprudenziale.
Gli atti della Banca d’Italia sono opponibili da parte dell’autorità giudiziaria amministrativa per
violazione di legge ed eccesso di potere; competente è il Tribunale amministrativo regionale del
Lazio.
L’attività di vigilanza della Banca d’Italia è soggetta al segreto d’ufficio.
I pubblici ufficiali, infatti, devono riferire solo al Direttorio tutte le irregolarità, ma il segreto non può
essere opposto all’autorità giudiziaria.
Il segreto d’ufficio è opponibile alle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del ministro
dell’Economia e delle Finanze.
Altra eccezione è l’opponibilità del segreto d’ufficio alle altre autorità amministrative preposte al
controllo del settore finanziario (Consob; Covip; Agcm; Ivass).
La Banca d’Italia, inoltre, deve collaborare con le autorità competenti degli Stati membri.
La Consob e l’Agcm
Le banche sono soggette anche ad altri controlli pubblici:
- la Consob controlla l’attività esercitata nei mercati mobiliari e dalle banche quotate;
- l’Agcm verifica il rispetto delle regole antitrust.
Il sistema normativo prevede una ripartizione fra le autorità in base alle finalità pubbliche
perseguite (modello per finalità).
L’art 5 tuf, infatti, stabilisce che la Banca d’Italia è competente per il contenimento del rischio, la
stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione; mentre, la Consob è competente per la
trasparenza e la correttezza dei comportamenti.
Le banche sono soggette alle regole del tuo e ai controlli della Consob se prestano servizi
d’investimento, se hanno azioni o altri titoli quotati, se sollecitano il pubblico risparmio. Solo i
depositi bancari, nella forma tradizionale del contratto civilistico, sono esclusi dall’applicazione
del tuf; invece, gli strumenti finanziari emessi dalle banche, come le obbligazioni, sono soggetti a
tali regole. 72 di 122
Il diritto delle banche
Vi è un’eccezione per quanto riguarda la divisione per finalità delle autorità preposte al settore
finanziario. Le norme sulla trasparenza delle condizioni contrattuali dei prodotti bancari (come il
conto corrente) sono contenute nel tub; alla Banca d’Italia sono affidati i controlli sul loro rispetto.
La competenza della Banca d’Italia è stata prevista per il legislatore ha ritenuto che tali norme
siano importanti a favorire la concorrenza fra le banche, infatti sono uno strumento utile a
perseguire i fini dell’art 5 tub (l’efficienza del sistema).
Al principio di divisione per finalità risponde anche l’Autorità garante della concorrenza e del
mercato, che applica alle banche le regole antitrust per quanto riguarda il divieto di accordi lesivi
della concorrenza, di abuso di posizione dominante e di divieto di operazioni di concentrazione
che ostacolino la concorrenza.
Il principio di divisione per finalità, però, vede delle eccezioni se guardiamo ad altri operatori
riconoscibili al settore finanziario, infatti per le imprese assicurative esiste un modello di
supervisione per soggetto, cioè per tipo d’impresa, e per i fondi pensione esiste una vigilanza
strutturale.
Recentemente, l’ordinamento ha favorito un modello di vigilanza per finalità e la legge a tutela del
risparmio, oltre che trasferire le competenze a tutela della concorrenza sulle banche dalla Banca
d’Italia all’Antitrust, ha modificato alcune disposizioni del tub e del tuf per evidenziare la
distinzione di competenze fra la Banca d’Italia e la Consob.
Coordinamento e cooperazione fra autorità nazionali preposte al settore finanziario
La presenza di più autorità preposte al settore finanziario pone problemi di coordinamento:
l’attività di un intermediario può essere rilevante ai sensi di più regole e, quindi, essere soggetta al
controllo di più autorità (es. l’organizzazione delle banche e delle Sim: rileva sia per assicurare la
sana e prudente gestione, affidata alla Banca d’Italia, sia per garantire la correttezza dei
comportamenti degli intermediari quando prestano servizi d’investimento, affidata alla Consob).
La legge disciplina le modalità di coordinamento di procedimenti di competenza di diverse
autorità.
In alcuni casi, gli interessi pubblici affidati ad un’autorità possono essere in conflitto con gli
interessi di cui si preoccupa un’altra autorità (es. la diffusione di informazioni sul mercato di una
banca in difficoltà potrebbe comportare problemi per la sua stabilità).
Nel nostro ordinamento, la legge stabilisce le condizioni secondo cui l’interesse pubblico deve
prevalere comportando la disapplicazione di altra parte dell’ordinamento finanziario.
I poteri delle regioni
L’ordinamento italiano ha stabilito alcune potestà normative e amministrative delle regioni a
statuto speciale nei confronti di banche; poteri limitati al territorio regionale.
Con la riforma costituzionale del 2001 è stata attribuita potestà legislativa concorrente a tutte le
regioni per le banche a carattere regionale. 73 di 122
Il diritto delle banche
In realtà, i poteri regionali sono stati notevolmente ridotti, infatti lo stesso art 117 Cost. Riserva
allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela del risparmio.
In più, si dubita di tali poteri affidati alle regioni dato che il diritto dell’Unione prevede l’attribuzione
ad autorità europee di poteri di regolazione e di vigilanza.
L’art 159 tub afferma che le valutazioni di vigilanza sono riservate alla Banca d’Italia e individua
alcune materie in cui possono essere esercitati i poteri delle regioni a statuto speciale previo
parere vincolante della Banca d’Italia (es. autorizzazione per l’esercizio dell’attività bancaria,
modiche statutarie, fusioni e scissioni), anche se oggi, alla luce del Mvu, si ritiene che le potestà
della Banca d’Italia sono trasferite alla Bce. 74 di 122
Il diritto delle banche
Capitolo IX
La vigilanza
L’art 14 tub afferma che l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività bancaria é legata ad alcuni
requisiti: forma giuridica, capitale minimo iniziale, requisiti soggettivi.
Il primo requisito é quello della forma giuridica.
I tipi societari ammessi sono la società per azioni o la società cooperativa a responsabilità
limitata.
Per le spa si applicano le norme del diritto societario. L’adozione del modello di spa consente di
abbandonare l’idea che le banche possano essere strumento d’intervento pubblico nell’economia,
consentendo invece l’afflusso di denaro in determinati settori ritenuti strategici per lo sviluppo del
Paese.
L’interesse sociale è l’interesse comune dei soci.
L’altra forma ammessa è la società cooperativa, in cui rientrano le banche popolari e le banche di
credito cooperativo.
Le banche popolari sono costituite in forma di società cooperative a responsabilità limitata, quindi
perseguono scopo mutualistico. Lo scopo, quindi, non è dato dal profitto, ma dal vantaggio che i
soci perseguono dalle attività con i terzi.
Ci sono deroghe disciplina societaria: la partecipazione, infatti, può esser rappresentata da quote
o da azioni.
Il capitale sociale iniziale deve essere pari a:
- 10 milioni di euro per le banche costituite in forma di spa e per le banche popolari;
- 5 milioni di euro per le Bcc.
Procedura di autorizzazione e revoca dell’autorizzazione
Si è passati da una valutazione soggettiva, che effettuava la Banca d’Italia, ad una valutazione
oggettiva perché la Banca d’Italia deve verificare solo la sussistenza di requisiti non potendo
sottoporre più l’autorizzazione ad un giudizio discrezionale.
Secondo il sistema vigente prima dell’Unione bancaria, l’autorizzazione era rilasciata dall’autorità
nazionale nel quale l’istituto intendeva stabilire la propria sede legale. Questa autorizzazione
consentiva all’impresa bancaria di esercitare la propria attività anche presso i Paesi membri
dell’UE (c.d. passaporto bancario).
Oggi, questo impianto di autorizzazione è stato rivisto, perché alla luce del meccanismo unico di
vigilanza, la Bce diventa titolare esclusivo del potere di adottare decisioni attinenti all’ingresso di
soggetti all’interno del mercato bancario. E questa competenza si esercita in relazione a tutti gli
istituti di credito, a prescindere dal criterio soggettivo, quindi non opera la distinzione fra banche
significative e banche non significative. 75 di 122
Il diritto delle banche
Anche se la Bce è titolare esclusivo di questo potere, vi é un forte contributo da parte delle
singole autorità competenti nazionali, infatti si dà vita ad un procedimento misto che si compone
di due fasi:
- il soggetto che vuole avviare l’attività bancaria deve presentare la domanda all’autorità
nazionale dello Stato (Banca d’Italia). L’autorità nazionale competente deve valutare se il
soggetto richiedente soddisfi tutte le condizioni per il rilascio dell’autorizzazione, alla luce della
normativa nazionale dello Stato.
In caso di accertamento positivo, l’autorità nazionale predispone il progetto di decisione da
inviare alla Bce per il rilascio dell’autorizzazione. Al contrario, in caso di accertamento negativo,
l’autorità nazionale rigetta l’istanza con un provvedimento finale che verrà notificato all’istante.
La notifica di tale provvedimento deve essere indirizzata anche alla Bce. Solo quando vi sia un
esito negativo, il procedimento si conclude dinanzi l’autorità nazionale competente e quindi il
provvedimento di diniego è impugnabile eventualmente dinanzi le Corti nazionali. In caso di
accertamento positivo, invece, si apre la seconda fase e il procedimento si sposta a livello
sovranazionale.
- Verrà notificato alla Bce un progetto di decisione, eventualmente accompagnato da alcune
raccomandazioni. La Bce, a questo punto, deve valutare il rispetto delle condizioni e dei
requisiti stabiliti dal diritto dell’Unione Europea. Quando ritiene che queste condizioni non siano
rispettate, deve presentare comunicazione all’istante che potrà presentare, per iscritto, delle
osservazioni alla Bce. Ove la Bcc ritiene di non accogliere queste osservazioni, rigetterà
l’istanza e si concluderà il procedimento.
In caso di valutazione positiva, la Bce rilascia l’autorizzazione cui segue l’iscrizione nell’albo di
cui all’art 13 tub.
Altro potere che può essere esercitato dalla Bce è quello di revoca dell’autorizzazione.
Anche in questo caso non opera il requisito soggettivo della significatività e anche in questo caso
c’è la collaborazione delle autorità nazionali competenti.
Si può revocare solo in alcune ipotesi specifiche:
- se l’ente creditizio non si serve dell’autorizzazione entro i successivi 12 mesi dal rilascio
dell’autorizzazione,
- se vi rinuncia espressamente,
- se ha cessato di esercitare la propria attività per un periodo superiore a 6 mesi.
Inoltre, si può revocare quando l’autorizzazione é stata ottenuta mediante falsi dichiarazioni,
quando non soddisfa più i requisiti dell’art 14 o della normativa europea, o quando non soddisfa
più i requisiti prudenziali imposti con il meccanismo unico di vigilanza.
Questo procedimento di revoca può seguire due strade diverse a seconda che l’iniziativa parta
dall’autorità nazionale o dalla Bce.
Quando é l’autorità nazionale competente, questa presenta alla Bce un progetto di decisione in
cui propone il ritiro dell’autorizzazione. La Bce adotta la decisione finale, andando ad accogliere o
rigettare la proposta dell’autorità nazionale competente. 76 di 122
Il diritto delle banche
In questo caso, l’autorità nazionale non risponde mai di un potere decisorio, perché mai il
procedimento si conclude dinanzi all’autorità nazionale competente, quindi la decisione spetterà
sempre alla Bce.
Se l’iniziativa di revoca parte dalla Bce, invece, il procedimento si conclude sempre dinanzi ad
essa.
Questi due poteri consentono di dimostrare la necessità di una leale collaborazione fra Bce e
autorità nazionali competenti.
Si determina quindi una vera e propria cogestione di questi poteri, soprattutto per la difficoltà
della Bce di applicare il diritto nazionale.
Banche popolari
Le banche popolari sono organizzati in forma di cooperativa e sono caratterizzate dal principio
democratico: i soci hanno un solo voto; sono previsti limiti al possesso azionario; viene stabilito
un numero minimo di soci; sono disciplinate le clausole di gradimento per l’ammissione a socio.
Sono previste disposizioni speciali che disciplinano il valore minimo delle azioni e dei soci, oltre
che trasformazioni, fusioni e limiti alla distribuzione degli utili.
Nel 2015 il legatore ha cambiato approccio nei confronti delle banche popolari, stabilendo che le
banche di grandi dimensioni non possono adottare il modello di banca popolare, infatti tale
possibilità è riservata solo agli intermediari il cui attivo non supera gli 8 miliardi di euro.
Sotto il profilo della vigilanza, le banche popolari coincidono con le altre banche costituite in
forma di spa.
Banche di credito cooperativo
Le Bcc sono banche a mutualità prevalente e operano prevalentemente nei confronti dei soci.
Il tub disciplina, con speciali regole organizzative, il valore delle azioni, i soci, l’operatività, gli utili,
le trasformazioni e le fusioni. Oltre che regole riguardanti il controllo sullo statuto, l’autorizzazione
all’esercizio dell’attività bancaria, il controllo sull’apertura delle succursali, l’autorizzazione
all’assunzione di partecipazioni in altre società.
Carattere importante è l’operatività territoriale limitata: la zona di competenza territoriale
comprende i comuni dove la banca ha le proprie succursali, nonché i comuni limitrofi.
In particolare, il controllo sugli statuti è uno strumento per vigilare le scelte gestionali: gli stati
contengono le norme relative all’attività, alle operazioni di impiego e di raccolta e alla competenza
territoriale.
I sistemi di vigilanza non sono diversi rispetto alle altre banche: sono esclusi i controlli strutturali;
la liberalizzazione dell’ingresso al mercato ha riguardato anche le Bcc, anzi per quest’ultime le
disposizioni di vigilanza prevedono requisiti meno onerosi, tenendo conto le dimensioni limitate
dell’iniziativa economica; i controlli prudenziali rappresentano il fulcro dei controlli pubblici per
garantire la stabilità di queste banche. 77 di 122
Il diritto delle banche
Alle Bcc, inoltre, si applicano le regole stabilite per gli intermediari di piccole dimensioni.
Le Bcc, per usufruire di servizi complessi e costosi necessari per esercitare l’attività bancaria,
sono organizzate in rete, attraverso federazioni locali e una federazione nazionale. Proprio per
questo è stata avanzata la proposta di favorire l’aggregazione di queste banche e nel 2015 è stato
presentato un progetto di legge che prevede un obbligo per le Bcc di aderire ad un gruppo
bancario.
I requisiti degli esponenti aziendali
L’art 26 tub stabilisce che coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo
delle banche devo essere idonei allo svolgimento del loro incarico.
Questo vuol dire che devono presentare dei requisiti stabiliti dalla legge: onorabilità,
professionalità, indipendenza, competenze, correttezza e devono avere la possibilità di dedicare il
tempo necessario per l’efficace espletamento dell’incarico.
Affinché un soggetto possa ricoprire il ruolo di amministratore o membro del collegio sindacale di
una banca, la valutazione della sua idoneità è rimessa ai soci che, con la nomina, instaurano un
rapporto fiduciario. Inoltre, nelle banche, la scelta dei soci è limitata ad una cerchia di soggetti
che presentino i requisiti richiesti dalla legge.
Tali requisiti non assicurano che la banca sia ben gestita o sia immune da difficoltà, ma si vuole
semplicemente garantire che sia affidata a persone in davvero capaci e con esperienza.
La determinazione di tali requisiti è rimessa ad un decreto del ministro dell’Economia e delle
Finanze, sentita la Banca d’Italia.
Le regole sui requisiti sono state introdotte in recepimento di una direttiva comunitaria in materia
di banca nel 1985, e inizialmente tali regole facevano riferimento solo all’onorabilità e alla
professionalità; successivamente vennero introdotti i requisiti di indipendenza.
Infatti, le regole del diritto societario affermano che l’organo di gestione sia composto da soggetti
indipendenti (indipendenti da legami personali, familiari o di affari con la società).
Nel 2015, gli esponenti aziendali delle banche, oltre a presentare requisiti di onorabilità e
professionalità, devono garantire competenza e correttezza, oltre che dedicare un tempo
necessario all’espletamento del loro incarico:
- professionalità, vuol dire che gli esponenti aziendali devono avere livelli minimi di conoscenze
tecniche e professionali e, quindi, pregresse esperienza lavorative. Esperienza maturata per
triennio:
almeno un attraverso l’esercizio di attività di amministrazione di controllo presso altre
imprese; attraverso attività professionali in materia creditizia o assicurativa; attraverso
l’esercizio di funzioni amministrative o dirigenziali nel settore del credito finanziario mobiliare;
per il possesso di titoli accademici connessi all’esercizio dell’attività bancaria; solo per le
due.
banche di credito cooperativo il periodo di esperienza pregressa di riduce a
- onorabilità, vuol dire che gli esponenti aziendali non devono avere a loro carico condanne per
determinati reati. Non possono essere amministratore, sindaco o detenere partecipazioni coloro
che si trovano in condizioni di ineleggibilità o decadenza.
Non possono rivestire queste cariche o detenere partecipazioni, poi, coloro sottoposti a misure
78 di 122
Il diritto delle banche
di prevenzione. Oppure, coloro che sono stati condannati con sentenza irrevocabile, quindi
passata in giudicato, per uno dei reati che riguardano l’attività bancaria, finanziaria,
assicurativa, quindi per quei reati attinenti alle attività che verrano svolte (es. reati contro il
patrimonio o reati tributari).
Per i reati che riguardano l’attività bancaria, assicurativa e finanziaria rilevano anche quelli con
pene lievi; per gli altri, è necessaria una condanna non inferiore a 2 anni. ipso
In caso di sentenza definitiva, se il soggetto condannato riveste queste posizioni decade
iure, perché vi é la perdita del requisito dell’onorabilità.
Però, possono rilevare anche le condanne non definitive: non vi é la decadenza, ma il soggetto
interessato può essere sospeso dal consiglio di amministrazione. Per non protrarre in maniera
definitiva questa sospensione, il regolamento del ministero dell’economica ha stabilito che, in
tempo breve, il consiglio deve confermare o meno la fiducia a questo soggetto, e quindi la sua
carica.
Sentenza irrevocabile solo se si tratta una pena inferiore ad 1 anno, quindi si attribuisce
rilevanza anche al patteggiamento.
Questo rientra in una scelta di politica legislativa, volta a tutelare gli interessi della sana e
prudente gestione.
requisiti soggettivi,
Sono però sono sottoposti ad una valutazione oggettiva da parte della
Banca d’Italia (che ne verifica la mera sussistenza o meno).
- correttezza competenza
e sono qualità personali, vuol dire correttezza nelle relazioni di affari
pregresse e adeguata competenza nella gestione di tale attività (ad es. la competenza a gestire
una grande banca è diversa da quella che serve a gestire una banca più piccola).
La linea di confine fra professionalità e competenze è molto labile, in quanto già la
professionalizza richiede un minimo di competenza: il legislatore ha introdotto il requisito di
competenza per prevedere criteri più rigorosi rispetto al passato e per contrastare la cattiva prassi
in base alla quale un soggetto fa parte di molti consigli di amministrazione o di collegi sindacali.
Per quanto riguarda il tempo necessario all’espletamento dell’incarico, il tub prevede un limite al
cumulo di incarichi per gli esponenti delle banche, graduati secondo il principio di proporzionalità
e tenendo conto delle dimensioni dell’intermediario.
Inoltre, sono previste precise indicazioni sul numero degli incarichi di amministratore che un
membro dell’organo di gestione della banca può ricoprire contemporaneamente.
L’Eba fissa alcuni fattori che devono essere presi in considerazione per valutare la correttezza e la
competenza, come:
- per la correttezza, i comportamenti pregressi con le autorità o l’essere stato dichiarato fallito o
incluso negli elenchi ufficiali dei debitori inaffidabili;
- per la competenza, l’esperienza pratica degli incarichi passati (come per la professionalità).
Per la difficoltà di individuare tali requisiti in via teorica, proprio l’era stabilisce che ogni banca
deve adottare procedure specifiche per verificare accuratamente i resisti sulla base dell’attività
svolta, sulla sua dimensione, ecc. 79 di 122
Il diritto delle banche
La verifica dell’idoneità degli esponenti aziendali è rimessa al consiglio di amministrazione che,
entro 30 giorni, può dichiarare la decadenza per difetto dei requisiti. Mentre, l’autorità di vigilanza
interviene con funzione di controllo solo in caso di inerzia del consiglio di amministrazione.
L’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni rilevanti al capitale
In passato, i controlli sulla proprietà delle banche erano molto rigidi in virtù del principio di
separatezza banca-industria, al fine di evitare pericolosi intrecci partecipativi che, in passato,
avevano portato ad una grande crisi.
Questo obiettivo era perseguito affidando alla Banca d’Italia enormi poteri discrezionali
nell’autorizzazione l’acquisto di partecipazioni da parte delle banche.
Le prime disposizioni legislative in materia di proprietà delle banche sono state introdotte nel 1985
in due distinti testi legislativi, che prevedevano:
- la trasparenza nei confronti dell’organo di vigilanza delle partecipazioni rilevanti nel capitale di
banche
- e requisiti di onorabilità dei soggetti titolari di una partecipazione rilevante.
Gli artt. 27 e 28 della legge 287/1990 hanno affermato il principio di separatezza fra banca e
industria, controllo preventivi sull’acquisito di partecipazioni al capitale di banche e regole sui fidi
a soggetti collegati. Le finalità di questi controlli erano soprattutto quelle di tutelare i depositanti e
di garantire l’indipendenza della banca.
In occasione del recepimento della seconda direttiva comunitaria, la materia è stata revisionata.
La direttiva, infatti, prevedeva un controllo delle autorità di vigilanza sui soggetti che volevano
acquisire una partecipazione qualificata per tener conto della necessità di garantire una sana e
prudente gestione della banca.
Con il tub del 1993, l’art 19 afferma l’interesse pubblico alla verifica della qualità degli azionisti
rilevanti delle banche, sempre per finalità di sana e prudente gestione della stessa.
Obiettivo dell’art 19 era quello di garantire l’indipendenza delle scelte gestionali da interessi
estranei alla banca che potevano arrivare ad acquisirne la proprietà. Nel 1993 viene anche
confermato il principio di separatezza banca-industria per evitare conflitti di interesse.
La direttiva CE del 2007, invece, apporta importanti novità in materia di acquisto di partecipazioni
qualificate, prevedendo un’armonizzazione massima in modo da uniformare la normativa dei
Paesi dell’Unione.
Le nuove norme comunitarie, infatti, prevedono un determinato numero di condizioni che devono
essere considerate dalle autorità nazionali al fine di valutare la qualità degli azionisti.
Secondo tali regole, il fatto che il potenziale azionista sia un soggetto che esercita attività
d’impresa diversa da quella finanziaria non costituisce un pericolo, quindi viene meno il principio
di separatezza banca/industria e i problemi di conflitto di interessi (prima evitati proprio grazie a
questo principio) vengono affidati ai controlli sull’operatività della banca.
Concretamente, tutto questo vuol dire che le autorità non possono concedere l’autorizzazione se
non sono convinte della qualità degli azionisti o della solidità finanziaria del progetto di
acquisizione. 80 di 122
Il diritto delle banche
L’art 19 tub elenca le condizioni di cui le autorità devono tener conto per rilasciare
l’autorizzazione:
- la reputazione del potenziale acquirente ai sensi dell’art 25 tub, cioè il possesso dei requisiti di
onorabilità, competenza e correttezza;
- il possesso dei requisiti sanciti dall’art 26 tub per le persone che svolgeranno funzioni di
amministrazione, direzione e controllo della banca;
- la solidità finanziaria del potenziale acquirente;
- la capacità della banca di rispettare, a seguito dell’acquisizione, le disposizioni che ne regolano
l’attività;
- l’idoneità della struttura del gruppo del potenziale acquirente al fine di consentire l’esercizio
efficace della vigilanza.
- e, infine, solo se non ci sia il sospetto che l’acquisizione sia connessa ad operazioni di
riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
Questi criteri lasciano comunque ampi margini di discrezionalità all’autorità di vigilanza.
Come sappiamo, alcuni di questi criteri riguardano qualità personali (onorabilità, competenza,
correttezza, reputazione) e, a parte l’onorabilità che si verifica in base all’assenza di condanne per
determinati reati, gli altri lasciano un’ampia discrezionalità all’autorità nel loro apprezzamento.
Per la correttezza, il legislatore precisa che deve essere considerata la condotta pregressa
dell’acquirente nei confronti dell’autorità di vigilanza (es. eventuali sanzioni ricevute).
La competenza, invece, non viene valutata per l’acquisto di tutte le partecipazioni, ma solo per
quelli rilevanti che comportano un’influenza notevole sulla gestione.
Nelle moderne società, tenendo conto della separazione fra proprietà e controllo, gli azionisti non
gestiscono la società; è il consiglio di amministrazione, infatti, che si occupa della gestione.
Al contrario, la richiesta di requisiti di competenza, così come previsto nel tub, è giustificata dal
fatto che questa separazione non si riscontra in maniera così netta, in quanto in molti casi c’è
un’azionista rilevante o un gruppo di azionisti che hanno, di fatto, un’influenza notevole sulle
scelte gestionali.
La solidità finanziaria dell’acquirente e la capacita della banca di rispettare in futuro le disposizioni
prudenziali richiedono un giudizio prognostico sul possibile assetto tecnico dell’intermediario a
seguito dell’acquisizione.
Pe quanto riguarda il sospetto che i fondi utilizzati per l’acquisto possano derivare da operazioni
di riciclaggio o siano connessi ad operazioni di terrorismo, bisogna rispettare i principi stabiliti dal
Financial action task force e da Groupe d’action financière.
L’art 19 tub stabilisce che c’è bisogno di un’autorizzazione preventiva per l’acquosità di
partecipazioni rilevanti al capitale di banche. Questo avviene quando si superano determinate
sole quantitative di partecipazione e quando l’acquisto della partecipazione comporta
l’assunzione del controllo della banca o la possibilità di esercitare un’influenza notevole su di
essa.
Precisamente, quando si vuole acquistare una partecipazione che attribuisce una quota di diritti di
voto o del capitale della banca pari o superiore al 10%. Ma l’art 19 afferma che sono rilevanti tutti
81 di 122
Il diritto delle banche
gli acquisiti di azioni, anche se non attribuiscono il diritto di voto, ma consentono il superamento
di determinate soglie del capitale sociale.
Sono previste esenzioni dall’autorizzazione o esclusione di alcuni diritti di voto dal computo delle
soglie quando l’acquisizione avviene tramite contratti d’investimento, che non hanno l’obiettivo di
acquisire una partecipazione stabile per influenzare la gestione della banca (come i diritto di voto
detenuti da una Sgr o da un’intermediaria nell’ambito di servizi di gestione collettiva del
risparmio).
L’art 19, poi, vuole evitare l’elusione degli obblighi autorizzativi, come ad es. gli acquisiti indiretti
tramite soggetti controllati e gli acquisti tramite società fiduciarie e interposta persona.
È sempre necessaria l’autorizzazione della Banca d’Italia, sia in caso di superato delle soglie
partecipative previste, sia in caso di acquisizione del controllo o di influenza notevole sulla banca.
Controllo vuol dire la situazione in cui un soggetto è in grado di influenzare in maniera stabile la
gestione della banca, anche se da ciò non consegue al dominio degli organi societari (art 23).
L’autorizzazione è rilasciata dalla Bce per qualsiasi banca (anche non significativa), che ha quindi
competenza esclusiva anche se la verifica dei requisiti è rimessa alla Bce in collaborazione con le
autorità nazionali.
La domanda è presentata alla Banca d’Italia che valuta la sussistenza dei requisiti e prepara una
proposta di decisione che invia alla Bce. Se la Bce non si oppone entro 15 emana il
provvedimento.
L’autorizzazione è preventiva rispetto all’acquisito delle partecipazioni.
In caso di operazioni volte ad acquisire il controllo della banca, la richiesta di autorizzazione deve
essere trasmessa alla Banca d’Italia.
Invece, se l’acquisito della partecipazione comporta una concentrazione rilevante ai sensi delle
disposizioni antitrust, l’autorità competenze a valutare è l’Agcm.
Nelle concentrazioni che riguardano le banche, la Bce manca il provvedimento ai sensi dell’art 19
e l’Agcm quello ai sensi dell’art 20 della l. 287/1990.
Si prevede un unico termine per l’emanazione del provvedimento, che va riferimento al
provvedimento della Bce.
Il procedimento ex art 19 tub e quello ex art 20 l. 287 seguono percorsi distinti, anche se dal 2007
esiste un protocollo d’intesa fra Agcm e Banca d’Italia per lo scambio di informazioni in materia di
concentrazioni bancarie.
In caso di acquisto di partecipazioni rilevanti da parte di soggetti appartenenti a Stati extra-UE
che non assicurano condizioni di reciprocità, interviene il Governo per votare l’operazione.
Invece, per l’acquisito di partecipazioni rilevanti da parte di un soggetto appartenente ad uno
Stato membro dell’UE la disciplina europea prevede una consultazione preventiva con le autorità
competenti dello Stato in cui ha sede la banca acquirente.
I controlli su fusioni, scissioni e cessione di rapporti giuridici 82 di 122
Il diritto delle banche
Anche le operazioni di riorganizzazione aziendale della banca sono soggette al controllo
dell’autorità di vigilanza, in particolare parliamo di: fusione, scissione e cessione dei rapporti
giuridici.
L’autorizzazione è rilasciata dalla Banca d’Italia, solo se questo non è contrario alla sana e
prudente e gestione. Tale competenza spetta all’autorità nazionale anche in caso di banche
significative ma, dato che la vigilanza prudenziale spetta alla Bce, la verifica dei requisiti
prudenziali necessari per il rilascio del provvedimento spetta a quest’ultima.
Le operazioni fusione e scissione richiedono una nuova autorizzazione all’esercizio dell’attività
bancaria o comunque un cambiamento negli assetti proprietari; i provvedimenti relativi a quelli
casi sono di esclusiva competenza della Bce che adotta una procedura comune con le autorità
nazionali per valutare la sussistenza dei presupposti per il loro rilascio.
Le fusioni e le scissioni sono le operazioni di ristrutturazione a cui prendono parte le banche, ma
l’ordinamento bancario prevede anche le operazioni fra banche e non banche purché diano luogo
ad un intermediario bancario.
Per autorizzare le fusioni e le scissioni, l’autorità verifica i riflessi di queste operazioni sulla
situazione patrimoniale, finanziaria e organizzativa della banca, infatti queste operazioni non
devono causare gravi squilibri negli assetti tecnici dell’azienda.
L’autorità di vigilanza ha un ruolo comunque limitato, devono solo autorizzare o meno, ma non
può dare il suo parere riguardo la convenienza economica dell’operazione (valutazione che spetta
alle imprese coinvolte).
Inoltre, l’autorità deve verificare che l’operazione non contrasti con le regole prudenziali, come
l’adeguatezza patrimoniale, la concentrazione dei rischi, l’organizzazione amministrativo-contabile
e la trasformazione delle scadenze.
Le concentrazioni fra le banche, poi, sono soggette ad un ulteriore controllo per verificare gli
impatti sui profili della concorrenza.
L’autorizzazione è necessaria per l’iscrizione del progetto di fusione o scissione nel registro delle
imprese.
Le cessione di rapporti giuridici, invece, è soggetta ad autorizzazione solo se è considerata
rilevante (art 58 tub).
La cessionaria deve essere autorizzata se l’operazione avviene fra soggetti che non appartengono
allo stesso gruppo e il prezzo stabilito per la cessione supera il 10% del patrimonio di vigilanza
della banca o del gruppo cessionario.
L’art 58 non si applica solo alla cessione di aziende o di rami d’azienda, ma anche a beni e
rapporti giuridici in blocco, cioè di un insieme di beni che incidono sull’organizzazione e sulla
struttura della banca. I beni oggetto della cessione devono essere funzionali rispetto all’esercizio
dell’attività bancaria, anche se non sono idonei allo svolgimento dell’attività in via autonoma.
L’art 58, infine, disciplina la pubblicità dell’operazione e gli effetti della cessione con riguardo alle
cause di prelazione in favore del cedente, ai crediti, ai debiti e ai contratti ceduti. A differenza delle
fusioni e delle scissioni, in questo caso il tub non prevede un rinvio alle disposizioni del codice
civile per colmare eventuali lacune. 83 di 122
Il diritto delle banche
I controlli sulle succursali e sulla prestazione di servizi senza stabilimento
L’art 15 tub riconosce alle banche ampia libertà nello scegliere la loro articolazione territoriale.
L’autorità di vigilanza può solo vietare l’insediamento per ragioni che attengono all’adeguatezza
delle strutture organizzative o della situazione finanziaria, economica e patrimoniale della banca.
Quindi, l’autorità di vigilanza esamina i progetti di espansione territoriale predisposti dalla banca
e, tenendo conto che la vigilanza sulle banche significative spetta alla Bce, quest’ultima può
vietare un progetto che contrasta con la sana e prudente gestione della banca.
L’apertura di una succursale in un altro Paese dell’Unione è soggetta al controllo dell’autorità del
Paese d’origine.
La banca deve comunicare l’intenzione di aprire la succursale all’autorità di vigilanza del Paese
d’origine ai fini della notifica alle autorità del Paese di insediamento.
Per le banche significative la notifica deve essere inviata alla Banca d’Italia, che deve informare la
Bce. Se la Bce non si oppone entro 2 mesi, la succursale può iniziare ad operare. La Bce, poi,
comunicherà tale informazione al Paese dove la succursale è stabilita.
Per le banche meno significative, invece, la procedura continua ad essere di competenza della
autorità nazionali.
L’apertura di una succursale in una Paese extra-UE richiede un provvedimento autorizzato da
parte dell’autorità di vigilanza.
Il rilascio di questa autorizzazione spetta formalmente all Banca d’Italia ma, tenendo conto che la
vigilanza prudenziale delle banche significative spetta alla Bce, se si tratta di queste banche, la
Banca d’Italia dovrà chiedere il parere vincolante della Bce. Inoltre, in questo caso, è necessario il
rispetto delle disposizioni vigenti nel Paese ospitante.
Oltre le succursali, sono state create banche online, cioè banche che non hanno succursali e che
operano mediante promotori finanziari e strumenti di comunicazione a distanza con i clienti.
In caso di offerta fuori sede di servizi di investimento si applica la disciplina speciale stabilita dal
testo unico della finanza e dalle disposizioni emanate dalla Consob. Per la prestazione di altri
servizi bancari sono stabili dei limiti, come il novero di soggetti che possono promuove o
collocare prodotti bancari.
Queste regole sono giustificate dall’esigenza di garantire la corretta applicazione da parte degli
intermediari delle regole sulla trasparenza e sull’antiriciclaggio.
La prestazione di servizi senza stabilimento nei paesi del’Unione è libera, in base al principio del
mutuo riconoscimento; invece, nei paesi extra-UE deve essere autorizzata dall’autorità di
vigilanza.
In quest’ultimo caso, l’autorizzazione spetta formalmente alla Banca d’Italia, ma, se si tratta di
banche significative, questa dovrà chiedere il parere vincolante alla Bce. Inoltre, la libera
prestazione di servizi in paesi extra-UE deve avvenire nel rispetto delle regole del paese ospitante.
In seguito alla creazione del mercato unico europeo in campo bancario nel 1993, le banche
europee possono stabilire succursali ed esercitare le attività ammesse al mutuo riconoscimento
nel territorio dell’Unione in libera prestazione di servizi previa una semplice notifica alle autorità
del paese ospitante (passaporto europeo). 84 di 122
Il diritto delle banche
Una banca significativa di uno Stato membro che vuole stabilire una filiale nel territorio di un altro
Stato membro partecipante al Mvu deve inviare la notifica all’autorità nazionale dove ha la sua
sede principale.
L’autorità nazionale informa la Bce e, se la Bce non si oppone entro 2 mesi, la succursale può
iniziare ad operare. La Bce comunica questa informazione allo Stato membro dove la succursale è
stabilita.
Per le banche meno significative, invece, la procedura è di competenza delle autorità nazionali.
In casi di libera prestazione di servizi in paesi partecipanti al Mvu, la procedura è simile: sia se si
tratta di banca significative, che di banche meno significative, è l’autorità nazionale del paese
d’origine che invia la notifica al paese ospitante. La Bce viene solo informata dalle autorità del
paese d’origine.
Nel caso di stabilimento o di prestazione di servizi senza stabilimento in Stati membri non
partecipanti al Mvu, per le banche significative la Bce esercita i poteri che spettano all’autorità
nazionale del paese d’origine. Per le banche meno significative, invece, questi poteri sono
esercitati sempre dall’autorità nazionale.
Se la banca di un paese europeo, ma non partecipante al Mvu, vuole stabilire una succursale o
esercitare libera prestazione di servizi in un paese partecipante, la notifica viene fatta dall’autorità
nazional del paese d’origine all’autorità nazionale del paese ospitante, la quale informa la Bce.
Una banca può avere il passaporto europeo se rispetta tre condizioni:
- è un ente creditizio autorizzato dalle autorità dello Stato membro d’origine e sottoposto alle sue
autorità competenti;
- le attività esercitate sono incluse nell’allegato 1 della direttiva UE 36/2013;
- le attività esercitate sono autorizzate dalle autorità dello Stato membro d’origine.
La succursale è una sede che costituisce parte sprovvista di personalità giuridica di un ente
creditizio e che effettua direttamente l’attività dell’ente creditizio.
Nella libera prestazione di servizi, invece, rientra quella effettuata con trasferimento temporaneo
del prestatore nel paese del beneficiario. Il trasferimento temporaneo viene fatto tramite
intermediari o agenti esteri indipendenti dalla banca.
Ma vi rientra anche l’insediamento di una struttura fissa, ma sprovvista di personale, come gli
sportelli automatici.
In un’area grigia troviamo la prestazione di servizi a distanza tramite reti tematiche o informatiche:
in questo caso, per qualificarle come libera prestazione di servizi bisogna guardare al luogo dove
viene svolta la prestazione caratteristica, cioè la prestazione essenziale che caratterizza il servizio
per la quale è dovuto il pagamento. Secondo la Commissione, l’offerta di servizi tramite internet
non costituisce prestazione di servizi soggetta ad obbligo di notifica.
Secondo la Banca d’Italia, l’offerta tramite mezzi di comunicazione a distanza richiede la notifica
solo se si individuano elementi che facciano supporre che vi sia un’iniziativa della banca europea
nel nostro paese.
È esclusa dalla libera prestazione di servizi la mera pubblicità dei servizi offerti con qualsiasi
mezzo di comunicazione. 85 di 122
Il diritto delle banche
I principi del mutuo riconoscimento si applicano anche alle società finanziarie di emanazione
bancaria. Sono ramificazioni di banche che fanno parte di gruppi creditizi.
Tale disposizioni veniva giustificata dalla necessità di assicurare la neutralità della normativa a
fronte delle diverse possibilità organizzative delle imprese bancarie.
Tale disposizione, però, ha avuto una scarsa rilevanza pratica, infatti la normativa dell’Union
prevede condizioni molto restrittive per concedere il passaporto europeo alle società finanziaria.
In particolare, l’impresa madre deve detenere almeno il 90% dei diritti di voto connessi con la
detenzione di quote o azioni della filiazione.
I controlli su modifiche statuarie e aumenti di capitale
È previsto anche un controllo sulle modifiche statutarie delle banche, attraverso un provvedimento
che accerti la conformità con la sana e prudente gestione (art 56 tub).
Questo potere non è previsto dal diritto dell’Unione, infatti tale provvedimento spetta formalmente
alla Banca d’Italia. Tenendo conto che la vigilanza prudenziale spetta alla Bce, la Banca d’Italia
dovrà richiedere il giudizio vincolante della Bce in caso di banca significativa.
Il progetto di modifica deve essere presentato alla Banca d’Italia prima di arrivare in assemblea.
Se la Banca d’Italia accerta che le modifiche statuarie non contrastano con la sana e prudente
gestione, rilascia il provvedimento di accertamento, necessario per l’iscrizione nel registro delle
imprese.
Se la modifica riguarda l’aumento di capitale, è ancora più evidente che la decisione rientra nella
competenza della Bce per le banche significative, che dovrà verificare sempre se l’aumento di
capitale non contrasti con la sana e prudente gestione.
La Banca d’Italia richiede alla banca un informativa preventiva prima di sottoporre l’argomento
all’approvazione dell’assemblea dei soci, informazioni sulle modalità e i tempi di attuazione
dell’operazione, sugli obiettivi perseguiti, sugli effetti dell’operazione sulla situazione patrimoniale,
economica e finanziaria.
I controlli sullo statuto delle banche di credito cooperativo, invece, hanno un significato peculiare,
in quanto lo statuto, per queste banche, rappresenta il canale attraverso il quale esse recepiscono
i criteri prudenziali emanati dalla Banca d’Italia. Inoltre, la Federcasse (associazione nazionale
della Bcc) redige uno statuto-tipo che viene sottoposto al controllo della Banca d’Italia. Le
modifiche statuarie delle bcc in linea con gli statuti-tipo esaminati dalla Banca d’Italia sono
soggetti ad un’attestazione di conformità successiva alla deliberazione assembleare. Queste
modifiche, infatti, sono valutate, in via preventiva e generale, come non contrastanti con la sana e
prudente gestione.
La vigilanza regolamentare
Il patrimonio delle banche (più precisamente, si parla di “fondi propri”) è il principale riferimento
delle regole di vigilanza prudenziale.
I fondi propri, infatti, rilevano per l’applicazione dei requisiti patrimoniali e sono rappresentati dal
capitale sociale, dalle riserve e dalle altre voci di bilancio che, essendo nella piena disponibilità
della banca, possono essere utilizzati liberamente per copertura dei rischi e delle perdite. 86 di 122
Il diritto delle banche
Per calcolare i fondi propri bisogna fare una somma algebrica fra elementi positivi e negativi del
bilancio.
I fondi propri sono rappresentati dalla somma del capitale di casse 1 e del capitale di classe 2.
Il capitale di classe 1 si distingue in capitale primario di classe 1 e capitale aggiuntivo di classe 1:
tale distinzione per individuare quella parte di capitale di migliore qualità di cui la banca ha la
piena disponibilità per coprire le perdite.
Le voci che compongono il capitale primario di classe 1 sono le azioni ordinarie e le riserve di utili.
Gli strumenti finanziari che possono essere compresi in questo capitale devono avere
caratteristiche rigorose in termini di capacità di assorbimento delle perdite, permanenza,
flessibilità nei pagamenti. Da questi elementi vengono dedotte alcune componenti negative, in
particolare le perdite relative all’esercizio in corso, i beni immateriali, le azioni proprie, le
partecipazioni in società finanziarie e assicurazioni.
Il capitale aggiuntivo di classe 1 è costituito dal capitale versato a fronte di strumenti finanziari
assimilabili alle azioni purché siano perpetui, non contengano incentivi al rimborso, non siano
coperti da garanzia che aumenti il rango nella partecipazione alle perdite da parte della banca o di
soggetti controllati o controllanti, e siano rispettate altre condizioni da cui si possa escludere la
loro assimilazione alle passività. Anche per tale capitale devono essere effettuate deduzione (che
seguono criteri meno rigidi rispetto al primo).
Il capitale di classe 2 è costituito dagli strumenti ibridi di patrimonializzazione, cioè passività
irredimibili e rimborsabili su richiesta dell’emittente e con il previo consenso dell’autorità di
vigilanza, e delle passività subordinate, cioè passività della banca che costituiscono una riserva
per far fronte ad eventuali squilibri di gestione che possono incidere sul capitale iniziale.
Le banche devono rispettare un requisito patrimoniale per fronteggiare i rischi dell’attività bancaria
e finanziaria:
- rischio di credito: rischio di perdita per inadempimento dei debitori;
- rischio di controparte: rischio che la controparte di una transazione avente ad oggetto
strumenti finanziari derivati, o altre specifiche operazioni, risulti inadempimenti prima del
regolamento della stessa;
- rischi di mercato: rischi di perdite che possono derivare dall’operatività sui mercati riguardanti
strumenti finanziari, valute e merci.
- rischi operativi: rischio che la banca subisca delle perdite derivanti dall’inadeguatezza o dalla
disfunzione di procedure, risorse umane, oppure da eventi esogeni. In questo rischio è
compreso il rischio legale.
Il requisito complessivo minimo è pari all’8% delle attività ponderate per il rischio.
Per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito c’è stata una lunga
evoluzione.
Il nuovo accordo di Basilea del 2004, infatti, ha introdotto alcune innovazioni. Sono stati introdotti
due metodi che le banche possono adottare per valutare la rischiosità della loro attività: il metodo
standard e il metodo dei rating interni. 87 di 122
Il diritto delle banche
Il metodo standard prevede la suddivisione delle esposizioni in diverse classi di rischio. Alle
esposizioni verso le varie categorie di controparti, le banche possono attribuire ponderazione che
si basano su valutazioni del merito creditizio effettuate da agenzie esterne, cioè agenzie di rating e
di assicurazione dei crediti all’esportazione, specializzate a valutare il merito creditizio dei soggetti
che emettono obbligazioni nei mercati finanziari. Per le esposizioni prive di rating esterno, invece,
si deve applicare una ponderazione di rischio pari a 100.
Il metodo di rating prevede due varianti: di base e avanzato.
Nel metodo di base ogni banca stima direttamente la probabilità di insolvenza dei debitori e
utilizza dei parametri fissati dalle autorità per le stime relative ad altri fattori di rischio.
Nel metodo avanzato, invece, è rimessa alla banca la stima della maggior parte delle variabili di
rischio.
Sono stati introdotte, poi, altre novità con Basilea 3.
Sono state stabilite nuove misure patrimoniali, imponendo dei buffers di capitale aggiuntivi, che
non sono determinati in base ai rischi del proprio attivo e si sommano al requisito patrimoniale
complessivo calcolato per fronteggiare i rischi dell’attivo.
È stato previsto un altro cuscinetto di capitale aggiuntivo rispetto ai minimi regolamentari,
chiamato riserva di conservazione del capitale, pari al 2,5% del capitale primario di classe 1 in
rapporto all’attivo complessivo a rischio. L’obiettivo è quello garantire un livello minimo di capitale
regolamentare in momenti di crisi del mercato, attraverso l’accantonamento di risorse patrimoniali
in periodi non caratterizzati da tensioni.
Inoltre, nei periodi di eccessiva crescita le autorità possono imporre la riserva anticiclica, che
consente di accumulare capitale primario di classe 1 che servirà poi ad assorbire le perdite nelle
fasi discendenti del ciclo.
Alle istituzioni bancarie rilevanti su scala globale è richiesta una dotazione di capitale più elevata
dato che pongono rischi maggiori per il sistema finanziario e la loro crisi potrebbe pesare sui
contribuenti. Queste banche sono inserite in diverse categorie e, a seconda della categoria, è
richiesto un cuscinetto di capitale primario di classe 1 aggiuntivo rapportato all’esposizione
complessiva.
Poi, ogni Stato membro può fissare una riserva di capitale a fronte del rischio sistemico per il
settore finanziario, al fine di prevenire e attenuare il rischio sistemico o macroprudenziale non
ciclico.
Basilea 3 ha introdotto anche una regola di patrimonializzazione che impone alle banche una leva
finanziaria: le banche devono detenere un capitale di classe 1 pari ad almeno il 3% delle attività
non ponderate per il rischio.
Per fronteggiare il rischio c’è bisogno, innanzitutto, di una corretta valutazione del merito
creditizio.
La diversificazione dei prestiti rende più difficile che la mancata restituzione delle somme possa
comportare perdite tali da compromettere l’intermediario.
Le disposizioni di vigilanza prevedono limiti quantitativi agli affidamenti concessi al singolo cliente
e regole organizzative: 88 di 122
Il diritto delle banche
- i limiti quantitativi sono rapportati al patrimonio e si applicano anche ai prestiti verso clienti
legati da connessioni giuridiche o economiche.
- le regole organizzative impongono alle banche di adottare misure idonee ad identificare i rischi
e ad individuare le connessioni fra i clienti.
Inoltre, per valutare il merito creditizio è importante la Centrale dei rischi, istituita presso la Banca
d’Italia, che fornisce alle banche le informazioni sull’indebitamento dei clienti verso il sistema e si
fronteggia anche il multi-affidamento (debitori che si rivolgono a più intermediari).
Una banca ha problemi di liquidità quando non è in grado di far fronte ai propri impegni di
pagamento per l’incapacità di reperire fondi sul mercato o di smobilizzare i propri attivi.
Per fronteggiare il rischio di liquidità sono state introdotte due regole:
- il requisito di copertura, per assicurare che le banche detengano un ammontare di attività
liquide di elevata qualità, che consenta loro di resistere a situazioni di stress sul mercato per 30
giorni;
- il requisito di finanziamento stabile, che garantisce un equilibrio strutturale del bilancio
bancario, incentivando il riscorso a fonti di finanziamento stabili per far fronte ad obbligazioni a
lungo termine, sia in condizioni normali che in condizioni di stress.
Inoltre, le disposizioni di vigilanza prevedono anche controlli interni e organi di vertice della banca
per fronteggiare il rischio di liquidità. È previsto l’obbligo di predisporre piani di emergenza per
fronteggiare situazioni avverse nel reperimento di fondi liquidi e per potere velocemente ripianare
carenze di liquidità.
Fra le regole prudenziale rientrano anche quelle relative alle operazioni fatte con i soggetti
collegati, al fine di evitare il rischio che quest’ultimi possano influenzare le scelte gestionali.
I soggetti collegati sono rappresentati da una parte correlata e dai soggetti a essa connessi in
virtù di legami societari o familiari.
Le parti correlate sono gli esponenti aziendali, i principali azionisti e coloro capaci di condizionare
la gestione della banca in quando esercitano il controllo o un’influenza notevole. Ma, fra le parti
correlate ci sono anche le società o le imprese controllate o sottoposte a influenza notevole da
parte della banca.
Per fronteggiare questi rischi sono previsti limiti quantitativi agli affidamenti e regole procedurali e
organizzative.
I limiti quantitativi sono differenziate in base alle diverse tipologie di soggetti collegati, all’intensità
delle relazioni e alla rilevanza dei rischi. I crediti e le altre attività nei confronti dei soggetti collegati
non possono superare il 20% del patrimoniale individuale della banca.
Sono previsti limiti più stringenti per i rischi inerenti i conflitti di interesse nelle relazioni banca-
industria.
Sul piano procedurale, sono previste regole per l’assunzione di attività di rischio nei confronti di
soggetti collegati, anche in virtù dev’art 136 tub, che stabilisce specifiche cautele per l’assunzione
di obbligazioni da parte della banca verso esponenti della banca e delle società del gruppo.
89 di 122
Il diritto delle banche
Dato che le banche quotate sono soggette alle disposizioni della Consob (così come stabilito dal
codice civile) in tema di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate, le
disposizioni di vigilanza prevedono criteri omogenei a quelli adottati dalla Consob in modo tale
che le banche possono rispettare entrambe attraverso l’adozione di un solo procedimento
deliberativo.
Poi, le disposizioni di vigilanza prevedono controlli interni che attribuiscono compiti e
responsabilità agli organi aziendali al fine di prevenire i conflitti di interesse, oltre che obblighi di
rendimento dei soggetti collegati e di controllo dell’andamento delle esposizioni.
L’organizzazione
Fra gli strumenti di vigilanza, troviamo i controlli sull’organizzazione delle banche (art 53 tub).
Una buona organizzazione non è una garanzia assoluta, ma sicuramente permettono di prevenire i
rischi.
Le regole di vigilanza, infatti, indicano quale deve essere l’assetto organizzativo, le regole, le
procedure, le strutture e le risorse per assicurare un adeguato controllo dei rischi.
Le regole di vigilanza riguardano:
- il sistema dei controlli interni;
- la corporate governance;
- i sistemi di remunerazione dei manager.
I controlli interni
Al vertice del sistema dei controlli ci sono gli organi della banca, che devono assicurare un
adeguato sistema di controllo dei rischi.
Per un efficace sistema di controllo interno esistono:
- controlli di linea: sono fatti da strutture operative nello svolgimento dell’attività ordinaria per
verificare il corretto svolgimento delle operazioni.
- controlli sui rischi e sulla conformità: sono fatti da strutture specializzate al fine di verificare la
corretta attuazione del processo di gestione dei rischi e la conformità alle regole aziendali.
- revisione interna: per individuare eventuali violazioni delle procedure e delle regole, oltre che
valutare periodicamente l’efficace funzionamento dei controlli interni.
Determinare la propensione al rischio è necessario per evitare politiche incontrollate di crescita dei
rischi (come avvenuto durante la crisi finanziaria) e, per questo motivo, vengono fissati limiti
massimi di rischio che l’intermediario può assumere, tenendo conto della sua struttura
organizzativa.
Oltre questo, bisogna verificare la conformità dei regolamenti alla legge alla luce del rischio
operativo e del rischio di reputazione.
Rischio operativo vuol dire rischio di subire perdite dovuto all’inadeguatezza o alla disfunzione
delle procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure ad eventi esogeni.
Nel rischio operativo, inoltre, è compreso il rischio giuridico, cioè il rischio di subire perdite in
seguito a violazioni di leggi o di regolamenti. 90 di 122
Il diritto delle banche
Rischio di reputazione è il rischio di flessione degli utili o del capitale dovuto ad una percezione
negativa dell’immagine della banca da parte dei clienti, degli investitori e degli azionisti.
Le regole di corporate governance
Le regole di corporate governance sono regole emanate nel 2008 e inserite in un quadro
sistematico, semplicemente recependo le disposizioni di vigilanza aggiornate alla luce delle nuove
regole del diritto societario del 2003 sui modelli di amministrazione e controllo.
Nel 2004, il legislatore ha confermato tale scelta affidando la disciplina societaria delle banche al
diritto comune, anche se con dei limiti.
La Banca d’Italia, infatti, ha limitato l’autonomia statuaria delle banche rispetto alle altre società e
sono aumentati i vincoli normativi alle scelte aziendali in materia di governo societario.
Le norme non solo stabiliscono i principi generali cui l’assetto del governo societario deve
ispirarsi, ma anche precise regole di dettaglio sull’organizzazione.
Questo indirizzo rappresenta la risposta del legislatore alla crisi finanziaria.
Anche la supervisione sulle banche diventa più intrusiva rispetto al passato: il controllo sul
governo societario non viene effettuato solo al momento dell’autorizzazione all’esercizio
dell’attività bancaria, ma le banche devono anche redigere un progetto di governo societario in
cui specificano le motivazioni della scelta del modello di amministrazione e controllo che deve
essere aggiornato e sottoposto all’autorità competente.
Nelle disposizioni di vigilanza in materia di governo societario sono fissate alcune linee guida:
- la distinzione fra la funzione di supervisione e la funzione di gestione, attribuite ad organi
diversi: questa netta distinzione è giustificata dal voler favorire la dialettica aziendale, quindi
evitare la concentrazione del potere in poche mani o esclusivamente nelle mani di un capo
aziendale.
Inoltre, per assicurare questa dialettica: alcune decisioni strategiche non possono essere
oggetto di delega, ma devono essere rimesse alla competenza del consiglio di
amministrazione; deve essere preservato il potere dei singoli consiglieri; il contenuto delle
deleghe deve essere puntuale per consentire all’organo collegiale il loro corretto adempimento;
l’attribuzione di compiti di supervisione al consiglio di sorveglianza non deve portare ad
ingerenze da parte di questo nella gestione; il presidente del consiglio di amministrazione non
deve avere un ruolo esecutivo e non deve svolgere funzioni gestionali.
- il rafforzamento dell’autonomia dell’organo che esercita il controllo interno, in quanto è il
referente dell’organo di vigilanza: l’organo di controllo si avvale di informazioni che provengono
dalle funzioni e dalle strutture di controllo interno; le relazioni delle funzioni di revisione interna
devono essere direttamente trasmesse anche all’organo con funzione di controllo; i componenti
di quest’organo non possono assumere cariche in organi diversi da quello con funzione di
controllo presso altre società del gruppo; deve essere uno stretto coordinamento fra
quest’organo e il soggetto che si occupa del controllo contabile; il consiglio di sorveglianza
deve poter fare procedere ad atti di ispezione e controllo e lo statuto prevede che i poteri
ispettivi siano esercitati da un comitato interno all’organo; la revoca dei componenti del
consiglio di sorveglianza deve essere motivata. 91 di 122
Il diritto delle banche
- l’aumento delle regole che consentono ai membri degli organi di svolgere i loro compiti in modo
efficace e sulla base di informazioni adeguate: i principi contenuti nei codici di corporate
governance vengono trasposti in regole di vigilanza. In questo senso, le norme bancarie si
limitano a rendere vincolanti le best practices di corporate governance: regole che limitano il
numero dei componenti degli organi collegiali; regole che impongono alle banche di maggiore
dimensione di formalizzare piani di successioni per le posizioni al vertice per garantire la
continuità aziendale; regole che limitano il numero degli incarichi di amministratore che
possono essere ricoperti contemporaneamente da un membro dell’organo di gestione; regole
che impongono alle banche di maggiori dimensioni la creazione di tre comitati in tema di
nomine, rischi e remunerazioni; regole che impongono processi di autovalutazione degli organi
da farsi periodicamente.
Infine, è necessaria la definizione, in appositi regolamenti, di tempi, forme e contenuti della
documentazione da trasmettere ai singoli componenti degli organi. L’obbligo di favorire la
circolazione di informazioni fra i consigliere senza deleghe serve ad agire in modo adeguatamente
informato (così come stabilito dalle disposizioni civilistiche). È una regola di buon governo
societario che assicura il corretto funzionamento dei controlli interni nelle banche.
Le politiche di remunerazione
Le politiche di rimunerazione è stato un tema ampiamente discusso e, soprattutto in seguito alla
crisi finanziaria, à stata stabilita la vincolatività di tali regole.
Innanzitutto, si prevede la trasparenza delle remunerazioni, infatti le banche sono soggette ad
obblighi informativi nei confronti delle autorità e del mercato. Poi, i compensi dei membri degli
organi e di altre figure di alta amministrazione devono essere pubblicati sul sito web della banca.
Sono regole che fanno riferimento a figure rilevanti dell’azienda, che possono incidere sul profilo
di rischio della banca.
Queste norme attribuiscono un ruolo preminente all’assemblea per favorire la consapevolezza e il
controllo degli azionisti su questo aspetto contemporaneamente al controllo pubblico esterno.
L’assemblea, oltre ad approvare i compensi, deve approvare: le politiche di remunerazione di
incentivazione degli organi e del personale; i piani di remunerazione basati su strumenti finanziari;
i criteri per la determinazione del compenso in caso di conclusione anticipazione del rapporto di
lavoro; la remunerazione per particolari cariche dei membri del consiglio di sorveglianza.
Per allineare gli incentivi con gli interessi a lungo termine della banca, sono previsti vincoli alla
struttura dei sistemi di remunerazione.
Questi vincoli prevedono uno stretto collegamento fra la parte variabile della remunerazione e la
performance aziendale.
Si prevede che: deve esserci un bilanciamento fra la componente variabile e la componente fissa;
il rapporto fra componente variabile e componente fissa non deve superare il 100%; la
componente variabile deve essere rapportata agli indicatori di performance e misurata al netto dei
rischi; il periodo di valutazione della performance deve essere almeno annuale, ma preferibilmente
pluriennale; la componente variabile deve essere pagata, almeno in parte, in maniera differita; la
componente variabile deve essere sottoposta a meccanismi di correzione successivi. 92 di 122
Il diritto delle banche
Le forme di retribuzione incentivante, basate su strumenti finanziari o collegate alla performance
aziendale, devono tener conto dei rischi assunti, del capitale e della liquidità necessari a
fronteggiare le attività intraprese, oltre che essere strutturate in modo da evitare il prodursi di
incentivi in contrasto con l’interesse della società.
Analoghi principi si applicano ai trattamenti pensionistici e ai compensi in caso di conclusione
anticipata del rapporto di lavoro, i c.d. golden parachutes, che devono essere collegati alla
performance realizzata e i rischi assunti dalla parsone e dalla banca.
Le partecipazioni detenibili
Le disposizioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia prevedono una serie di vincoli per
contenere i rischi di un eccessivo immobilizzo dell’attivo derivante da investimenti partecipativi in
altre imprese. Inoltre, in caso di acquisto di partecipazioni in imprese non finanziarie, le norme si
preoccupano anche di eventuali conflitti di interesse.
L’autorità esercita un forte controllo quando l’acquisto di partecipazione comporta il controllo
dell’impresa: l’autorità verifica la sostenibilità finanziaria dell’investimento, i rischi e l’esistenza di
eventuali ostacoli all’esercizio della vigilanza.
Esistono diversi strumenti per il controllo sull’acquisto di partecipazioni: limiti generali,
autorizzazioni, regole organizzative e di governo societario. Tali regole, inoltre, prevedono una
netta distinzione fra investimenti in imprese finanziarie e investimenti in imprese non finanziarie.
L’unica regola comune a tutti gli acquisti di partecipazioni è il limite complessivo per gli
investimenti in immobili e in partecipazioni rapportato al patrimonio: non si può acquistare oltre il
margine disponibile, cioè la differenza fra i fondi propri e la somma delle partecipanti e degli
immobili.
In caso di acquisto di partecipazioni in imprese non finanziarie, invece, le banche, le imprese
finanziarie e le imprese assicurative sono soggette alla preventiva autorizzazione della Banca
d’Italia in due casi:
- se, considerando le azioni, le quote, gli strumenti e i diritti già detenuti, la partecipazione supera
il 10% dei fondi propri consolidati del gruppo bancario partecipante;
- se comporta il controllo o l’influenza notevole e l’impresa in cui si vuole acquisire la
partecipazione è insediata in un paese extra-UE oppure al di fuori del Gruppo dei dieci.
Le decisioni relative all’acquisto di partecipazioni che comportano la modifica del gruppo devono
essere comunicate all’autorità di vigilanza, la quale può condizionare, vietare l’acquisizione od
ordinare l’interruzione dell’operazione se questo è in contrasto con la sana e prudente gestione
oppure ostacola la vigilanza.
Per l’acquisto di partecipazioni in imprese non finanziarie, in passato c’era un limite quantitativo
rapportato al capitale della partecipata e nessuna banca poteva acquisire una partecipazione di
controllo o di rilievo in un’impresa non finanziaria alla luce del principio di separatezza banca/
industria.
Questo principio era fissato per evitare che i conflitti di interesse potessero impedire una corretta
valutazione del merito creditizio, ma oggi è stato eliminato in quanto gli stessi obiettivi possono
essere perseguiti prevedendo procedure rigorose e limiti per gli affidamenti ai soggetti collegati.
93 di 122
Il diritto delle banche
Inoltre, il principio di separatezza era contrario anche alla luce del mercato unico europeo e della
concorrenza degli intermediari dei paesi dell’Unione.
Le autorità creditizie italiane, infatti, hanno modificato la disciplina, rendendola più omogenea con
quella degli altri paesi dell’Unione.
Oggi, sono previsti due limiti per l’acquisto di partecipazioni in imprese non finanziarie:
- il limite della concentrazione: non si può detenere una partecipazione qualificata in un’impresa
non finanziaria superiore al 15% del capitale ammissibile della banca;
- un limite complessivo: l’insieme delle partecipazioni qualificate detenute in imprese non
finanziarie non può superare il 60% del capitale ammissibile della banca.
Per evitare conflitti di interesse, invece, sono stabilite regole organizzative, in particolare l’organo
della banca con funzione strategica deve approvare le politiche interne di gestione del rischio in
materia di partecipazioni in imprese non finanziarie.
La vigilanza informativa e le informazioni per il mercato
Le banche sono soggette ad un duplice obbligo:
- inviare alla Banca d’Italia le segnalazioni periodiche e ogni altro dato o documento richiesto;
- inviare alla Bce le informazioni necessarie affinché quest’ultima assolva ai propri compiti.
Inizialmente l’invio di queste informazioni avveniva attraverso un metodo informatizzato, chiamato
“matrice dei conti”. La matrice dei conti conteneva dati statistici relativi allo stato patrimoniale,
altri dati statistici, dati di bilancio, informazioni relative al patrimonio e coefficienti prudenziali.
Oggi, bisogna considerare che le segnalazioni di vigilanza statistiche e prudenziali sono oggetto
di armonizzazione e l’Abe ha emanato specifici Its in materia (Implementing technical standards).
Anche se questi provvedimenti hanno efficacia diretta negli Stati membri, viene lasciato un
margine d’intervento nella richiesta di informazioni alle autorità nazionali. Infatti, le segnalazioni di
vigilanza statistiche e prudenziali rappresentano solo una parte delle informazioni che gli
intermediari devono inviare alle autorità di vigilanza, le quali possono comunque chiedere ulteriori
informazioni, oltre che quelle necessarie a verificare il rispetto delle normative nazionali.
La normativa in materia di segnalazioni prevede informazioni armonizzate e informazioni non
armonizzate, ma la Banca d’Italia ha confermato il modello di trasmissione “a matrice”.
La responsabilità sulla correttezza delle segnalazioni di vigilanza è a carico degli organi aziendali, i
quali, dato che non possono essere a conoscenza degli enormi flussi informativi, fanno riferimento
a rendiconti sintetici. Gli organi aziendali, inoltre, sono responsabili dell’adeguatezza delle
procedure utilizzate per inviare e per controllare tali segnalazioni.
Tutto questo flusso informativo è necessario sia all’autorità sia vigilanza, per esercitare il suo
controllo, sia per l’intermediario stesso, che controlla costantemente la sua situazione economica.
Il Srep
L’analisi delle informazioni rientra nell’attività di supervisione sulle banche e spetta, per le banche
meno significative alla Banca d’Italia, per le banche significative alla Bce.
In questo modo, le autorità controllano con continuità la gestione dell’impresa. 94 di 122
Il diritto delle banche
Tale attività si svolge secondo un preciso sistema, chiamato Srep, utilizzato per accertare che le
banche si dotino di regole patrimoniali e organizzative capaci di assicurare l’equilibrio gestionale e
in conformità ai rischi assunti.
Si articola in due fasi:
- l’analisi dell’esposizione ai rischi rilevanti assunti e dei presidi organizzativi predisposti;
- la determinazione eventuale delle misure correttive.
Il ciclo di valutazione si compone, a sua volta, di tre processi:
- il primo consente all’autorità di pianificare l’attività;
- il secondo controlla che venga rispettata la regolamentazione prudenziale, l’analisi del processo
di autovalutazione interno alle banche, la valutazione dell’esposizione ai rischi.
- il terzo comporta la formulazione di un giudizio complessivo sulla banca.
Alla fine, si attribuirà un punteggio complessivo all’intermediario.
Momento fondamentale è rappresentato dal giudizio sull’autovalutazione da parte della banca, la
quale deve dotarsi di strumenti capaci di determinare il livello di capitale interno adeguato a
fronteggiare ogni tipologia di rischio. A seguito della crisi finanziaria, le banche devono anche
dotarsi di un processo interno di valutazione dell’adeguatezza della liquidità.
Anche se tale vigilanza comporta un notevole dialogo fra la banca e le autorità, l’autorità di
vigilanza ha precisato che tale confronto deve basarsi su una chiara distinzione dei ruoli e si deve
svolgere con modalità capaci di preservare l’autonomia e l’indipendenza degli esponenti aziendali
sui quali ricade la responsabilità delle scelte di governo dell’impresa.
La conduzione dello Srep da parte della Bce segue gli stessi principi: è affidata a gruppi di
vigilanza congiunti (Jst) a cui partecipa anche il personale delle autorità di vigilanza nazionali.
Più precisamente, lo Srep si basa su: un sistema di analisi dei rischi; una revisione complessiva
del processo interno di valutazione dell’adeguatezza patrimoniale e del processo interno di
valutazione dell’adeguatezza della liquidità; una metodologia di quantificazione di capitale e
liquidita, che valuta il fabbisogno degli enti creditizi in termini di capitolo e liquidita alla luce dei
risultati della valutazione dei rischi.
Lo Srep serve a individuare le misure correttive migliori per il caso concreto e consistono in:
richieste di rafforzamento patrimoniale della banca; restrizioni di attività; divieto di effettuare
determinate operazioni o di distribuire utili.
Il novero delle misure correttive, però, è aumentato e, infatti, l’art 53bis tub indica tutti i
provvedimenti che la Banca d’Italia può adottare nei confronti delle banche ove la situazione lo
richieda.
A questo si aggiungono i poteri di intervento della Bce quando la banca viola le regole di vigilanza
o nel caso in cui la sua situazione patrimoniale ed organizzativa non consenta una gestione solida
per coprire i rischi.
Questo evidenzia che il legislatore, dopo la crisi finanziaria, ha voluto rendere più incisivo
l’intervento delle autorità di vigilanza sulla gestione, anche se non ricorrono circostanze
eccezionali e anche se la banca non si trovi in una situazione di dissesto. 95 di 122
Il diritto delle banche
L’emanazione di questi provvedimenti, inoltre, non consegue esclusivamente ai risultati del Srep,
ma può avvenire in qualsiasi momento in seguito al dialogo con la banca in cui si rilevano delle
criticità.
La Bce può effettuare indagini che consistono nella richiesta alla banca di documenti e
nell’organizzare audizione per chiedere agli esponenti aziendali spiegazioni sulle loro scelte
gestionali. La Banca d’Italia, invece, ha poteri maggiori nella fase interlocutoria con
l’intermediario, infatti può forzare quest’ultimo ad assumere determinare scelte gestionali. In più,
la Banca d’Italia può convocare gli organi gestionali fissandone l’ordine del giorno, per proporre
l’assunzione di determinate decisioni e può procedere direttamente alla convocazione degli organi
collegali delle banche quando gli organi competenti non abbiano provveduto.
L’analisi macroprudenziale
L’analisi macroprudenziali mira a individuare preventivamente situazioni vulnerabilità del sistema
finanziario.
Tale analisi è affidata a due organi: il Comitato europeo per il rischio sistemico e il Financial
stability board. Ma anche la Banca d’Italia si occupa di alcune valutazioni di carattere
macroprudenziale.
La valutazione preventiva delle debolezze del sistema avviene anche con le prove di stress, svolti
dal Fondo monetario internazionale per valutare la solidità del sistema finanziario e le possibili
situazioni di vulnerabilità. È uno strumento complementare ai controlli tradizionali di vigilanza.
Anche dopo l’entrata in vigore del Mvu, i controlli macroprudenziali sono rimasti nella competenza
delle autorità nazionali: l’autorità nazionale notifica la propria intenzione alla Bce e prima di
adottare la decisione deve tener conto delle considerazioni di quest’ultima.
Le regole sul bilancio
Le regole in materia di vigilanza informativa sono utili anche per assicurare la qualità
dell’informazione delle banche sul mercato.
La scelta di adottare i principi contabili internazionali, sia per il bilancio d’esercizio, che per quello
consolidato, è stato rafforzato dal principio di coerenza fra informativa per il mercato e informativa
per l’autorità di vigilanza. Tale coerenza permette di rendere più semplice la gestione dei dati da
parte degli intermediari e consente di far arrivare al mercato informazioni più chiare.
Le informazioni per il mercato
Con i principi di Basilea 2, in base ai quali il controllo del mercato rappresenta il terzo pilastro
della regolamentazione, le disposizioni di vigilanza hanno imposto alle banche di pubblicare un
novero di informazioni molto più ampio, infatti devono essere comunicate al mercato le
informazioni attinenti all’adeguatezza patrimoniale, all’esposizione dei rischi e le caratteristiche
generali dei sistemi preposti all’identificazione e alla misurazione dei rischi. 96 di 122
Il diritto delle banche
Anche con Basilea 3 sono stati introdotti nuovi obblighi per le banche, riguardanti le informazioni
relative agli utili e alle perdite prima delle imposte, all’ammontare delle imposte stesse e ai
contributi pubblici ricevuti.
Comunicazioni del collegio sindacale e di altri soggetti all’autorità di vigilanza
Nella vigilanza informativa è fondamentale la collaborazione fra l’organo interno della società e
l’attività di vigilanza.
Inizialmente esistevano precisi obblighi di comunicazione in capo al presidente del collegio
sindacale, oggi estesi a tutto il collegio sindacale e agli altri organi di controllo interno per le
società che adottano modelli di governo societario alternativi a quello tradizionale. Inoltre, tali
obblighi sono stati estesi anche alle società che effettuano revisione dei conti e al personale della
banca, i quali possono inviare segnalazioni anonime all’autorità di vigilanza.
Secondo l’art 52 tub, l’organo di controllo interno deve informare la Banca d’Italia di tutti gli atti o i
fatti di cui venga a conoscenza durante il suo esercizio e che possono costituire un’irregolarità
nella gestione della banca o una violazione di norme che ne disciplinano l’attività. Il concetto di
“irregolarità” è più ampio di “violazione di legge”, infatti comprende anche le scelte gestionali
assunte in violazione dei principi di diligenza professionale.
Tenendo conto che le banche possono adottare modelli di amministrazione e controllo alternativi
a quello tradizionale, l’art 52 tub prevede che lo statuto deve attribuire all’organo di controllo
poteri necessari a garantire l’assolvimento dell’obbligo di rilevare le irregolarità nella gestione della
banca e le violazioni di norme che disciplinano l’attività bancaria.
I soggetti che possono fare queste segnalazioni all’organo di vigilanza sono anche soggetti
esterni che svolgono la funzione di revisione legale dei conti. Infatti, il revisore legale dei conti
deve cominciare alla Banca d’Italia non solo atti o fatti che comportano la violazione delle norme
in materia di attività bancaria, ma anche atti o fatti che possono pregiudicare la continuità
aziendale o comportare un giudizio negativo, un giudizio con rilievi o una dichiarazione di
impossibilita a formulare un giudizio sul bilancio.
Nel giugno 2015 sono state introdotte due nuove disposizioni:
- l’art 52bis obbliga le banche e dotarsi di procedure che garantiscono la riservatezza e la
protezione del personale della banca che effettua segnalazioni;
- l’art 53ter afferma che la Banca d’Italia può usare le segnalazioni fatte del personale della
banca solo nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza.
La vigilanza ispettiva
Le ispezioni sono controlli effettuati da funzionari dell’autorità di vigilanza presso le sedi delle
banche.
Tali ispezioni vengono effettuate in collaborazione con gli uffici che svolgono la vigilanza
informativa, e questo rende più efficace l’esercizio dei controlli.
Le ispezioni sono libere nel metodo, ma devono rispettare i principi che regolano l’azione
amministrativa. 97 di 122
Il diritto delle banche
Le ispezioni servono a verificare l’esattezza dei dati che vengono inviati dagli intermediari
all’organo di vigilanza e possono avere ad oggetto:
- la situazione complessiva dell’azienda;
- determinati comparti di attività;
- la verifica se siano state attuate o meno le misure correttive richieste dall’organo di vigilanza;
- aspetti di carattere generale che hanno rilevanza per il sistema finanziario nel suo complesso.
La distribuzione di competenza segue la distinzione fra banche significative, affidate alla Bce, e
banche meno significative, affidate alla Banca d’Italia.
La Banca d’Italia ha delineato percorsi di analisi dettagliati, che vengono affidati ad un gruppo
composto da dipendenti della stessa costituito appositamente, nominato dal governatore della
Banca d’Italia.
Alla fine dell’ispezione, viene redatto il rapporto che si compone di due parti:
- la parte aperta, destinata agli organi aziendali e serve a far conoscere a questi le carenze
rilevate e a comunicare loro gli eventuali fatti sanzionabili che daranno origine ad un
procedimento in contraddittorio.
- i riferimenti riservati, destinati agli uffici di vigilanza e contengono la valutazione degli ispettori
sulla situazione aziendale.
La Bce può effettuare ispezioni in loco presso le banche soggette alla sua competenza, previa
notifica all’autorità di vigilanza nazionale, ma anche senza preavviso alla banca.
I funzionari dell’autorità nazionale competente possono partecipare alle ispezione della Bce e la
assistono, soprattutto per rimuovere eventuali ostacoli dell’ordinamento nazionale.
La Bce ha istituito una divisione Ispettorato responsabile della pianificazione delle ispezioni in
loco su base annuale. Il Gruppo di vigilanza ha stabilito l’esigenza di un’ispezione e la pianifica in
collaborazione con la divisione Pianificazione e coordinamento della Bce.
La composizione del gruppo stabilita ad ogni singola ispezione e la Bce, in collaborazione con le
autorità nazionali, sceglie il personale del gruppo d’ispezione.
Il capo del gruppo (capo missione) e gli ispettori sono nominati dal Bce, previa consultazione delle
autorità nazionali, ma la Bce può ricorrere anche ad esperti esterni.
Alla fine dell’ispezione, il gruppo redige una relazione, che viene firmata dal capo missione e
inviata alle autorità nazionali competenti.
Prima di inviare la relazione alla banca è prevista una riunione con gli esponenti aziendali per
discutere dei risultati dell’ispezione.
La vigilanza consolidata
La vigilanza consolidata nasce per garantire controlli pubblici adeguati al concreto assetto
organizzativo scelto dalle banche.
Molte banche si organizzano in gruppi, cioè un insieme di società giuridicamente distinte, ma
unite da legami di controllo societario.
I gruppi sono organizzativi in forma piramidale: al vertice abbiamo un soggetto, definito
capogruppo, cui fanno capo le partecipazioni di controllo in altre società e che esercita attività di
direzione e coordinamento su tutte le società del gruppo. 98 di 122
Il diritto delle banche
Tutte le società vengono gestite come se si trattasse di un’unica impresa.
Il gruppo presenta diversi vantaggi, come la possibilità di sfruttare l’effetto di leverage:
l’ammontare di capitale investito dal soggetto al vertice è una frazione del capitale complessivo
facente capo alle società appartenenti al gruppo. Più si allunga la catena partecipativa, più questa
frazione si riduce.
Inoltre, il gruppo consente anche una maggiore flessibilità degli investimenti e strutture
organizzative più snelle, oltre che facilitare le alleanze con le altre imprese e rendere più facile la
gestione complessiva.
Con la vigilanza consolidata, l’autorità esercita il controllo sull’attività complessiva del gruppo.
Dato che si stabilisce una separazione fra le diverse componenti del gruppo, ossia una
separazione fra i diversi patrimoni, questo impedirete la trasmissioni dei rischi dalle società
controllate o controllanti alla banca.
In realtà, nonostante questo, la crisi di una parte del gruppo potrebbe produrre conseguenze
negative anche sulla banca capogruppo. Infatti, la banca potrebbe essere chiamata a coprire i
debiti delle controllate, oltre che essere danneggiata nella sua reputazione e generare dubbi sulla
sua solvibilità.
Il tub, agli artt. 60 ss., delinea il perimetro del nucleo dei soggetti di maggiore rilievo ai fini della
vigilanza consolidata, definito gruppo bancario, e stabilisce principi e regole che garantiscono
un’efficace supervisione.
Innanzitutto, il legislatore individua il soggetto che può essere capogruppo: una banca o una
società di partecipazione finanziaria o una società di partecipazione finanziaria mista, che abbiano
sede in Italia. Invece, fanno parte del gruppo tutte le società bancarie, finanziarie e strumentali,
con sede legale in Italia e all’estero, controllate sempre dalla capogruppo.
La nozione di “controllo” definita dall’art 23 tub è diversa dalla nozione indicata dall’art 2359 c.c.
L’art 2359 individua i casi in cui una società ha il potere di influenzare la volontà di un’altra,
soprattutto l’assemblea dei soci. L’art 23, invece, individua il soggetto che ha il potere di
influenzare la gestione dell’impresa in modo stabile.
Una società, diversa da una banca, può essere definita capogruppo quando, nell’insieme delle
società controllate, hanno rilevanza determinante quelle bancarie, finanziarie e strumentali. E
questo avviene quando il totale dell’attivo del bilancio delle componenti finanziarie del gruppo è
pari o superiore al totale dell’attivo di bilancio dell’intero gruppo, comprese le componenti non
finanziarie.
La società finanziaria a partecipazione mista, invece, è una società diversa da una banca, da
un’assicurazione o da una Sim che, detenendo partecipazioni nel settore bancario e assicurativo,
è al vertice di un conglomerato finanziario, cioè di un gruppo di cui fanno parte banche Sim e
assicurazioni. Anche in questo caso, per considerare tali società un gruppo bancario, bisogna
rispettare la condizione della rilevanza determinante delle società del gruppo che esercitano
attività bancaria, finanziaria e strumentale.
Il gruppo bancario deve essere iscritto in un albo tenuto dalla Banca d’Italia e la capogruppo è il
referente dell’organo di vigilanza per quanto attiene alla vigilanza consolidata. 99 di 122
Il diritto delle banche
L’art 61 tub ha portato a diversi dibattiti interpretativi poiché rende obbligatoria l’attività di
direzione e coordinamento svolta dalla capogruppo ai fini dell’esecuzione delle disposizioni di
vigilanza.
La disciplina delinea un modello di gruppo accentrato, dove l’attività di direzione e coordinamento
è attività d’impresa, che consente valutazioni discrezionali sulle modalità attuative delle
disposizioni di vigilanza emanate dall’autorità al fine della stabilità del gruppo.
L’attività di direzione e coordinamento, inoltre, non è assolta, infatti la disciplina bancaria non
afferma la prevalenza dell’interesse della capogruppo su quello delle controllanti; lo scopo è
esclusivamente l’interesse alla stabilità del gruppo.
La capogruppo è soggetta anche alle disposizioni civilistiche sulla responsabilità della
capogruppo.
Il gruppo bancario comprende solo una parte dei soggetti collegati ad una banca, infatti la
disciplina del gruppo non considera i casi in cui vi siano rapporti partecipativi anche se non di
controllo (partecipazioni di minoranza); i casi in cui la capogruppo non ha sede in Italia; le imprese
che come oggetto principale hanno l’attività non finanziaria (imprese industriali); le imprese
assicurative.
Queste ipotesi rilevano in forma diversa per l’applicazione della vigilanza consolidata.
La vigilanza consolidata per soli fini informativi ed ispettivi comprende, oltre al gruppo bancario:
- le società bancarie, finanziarie e strumentali partecipate per almeno il 20% dalle società
appartenenti ad un gruppo bancario o da un singola banca;
- le società bancarie, finanziarie e strumentali non comprese in un gruppo bancario, ma
controllate dal soggetto che controlla un gruppo bancario o una singola banca;
- le società che controllano almeno una banca;
- le società non bancarie, non finanziarie e non strumentali quando sono controllate da una
banca o quando società appartenenti ad un gruppo bancario o soggetti che controllano almeno
una banca detengono una partecipazione di controllo.
Alcuni di questi soggetti sono tenuti a fornire informazioni periodiche all’autorità di vigilanza; altri
possono essere chiamati da quest’ultima a fornire dati e informazioni. Tutti i soggetti, però,
possono essere soggetti a ispezioni.
Nei casi in cui il gruppo bancario si estende anche all’estero, nel senso che il vertice si trova
all’estero oppure alcune società controllate non abbiano la sede in Italia, si applicano le norme
europee e gli accordi internazionali a cui l’Italia aderisce.
In quest’ultimo caso, le norme europee prevedono dei criteri specifici per individuare l’autorità
competente ad esercitare la vigilanza consolidata:
- se la capogruppo è una banca, la vigilanza consolidata viene esercitata dalle autorità che
hanno rilasciato l’autorizzazione;
- se la capogruppo è una società di partecipazione finanziaria o una società di partecipazione
finanziaria mista che controlla una sola banca che si trova in un altro Stato membro, la vigilanza
consolidata spetta all’autorità di vigilanza che ha rilasciato l’autorizzazione alla banca; 100 di 122
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