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L'ARTIGIANO
La molteplicità delle nozioni di piccola impresa si coglie con chiarezza guardando all'artigiano, una delle figure nominate di piccolo imprenditore, da sempre circondato da abbondante legislazione a carattere speciale. La L. quadro 443/1985 contiene la definizione di artigiano e la disciplina: L'impresa artigiana è identificata dal duplice riferimento all'oggetto (attività di produzione di beni o di prestazione di servizi) e al rispetto dei limiti dimensionali relativi all'impiego di personale dipendente fissati dalla legge stessa. È imprenditore artigiano colui che esercita "personalmente, professionalmente e in qualità di titolare l'impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri e i rischi inerenti alla sua direzione e gestione": nel processo produttivo, l'apporto del lavoro personale, anche manuale, dell'imprenditore deve essere prevalente. AccantoAll'esercizio individuale, la legge ammette anche l'esercizio informa collettiva dell'impresa artigiana infatti, nel rispetto dei limiti dimensionali di cui all'art.4, si possono costituire società artigiane. Leggi bene questa legge quadro nei suoi vari articoli.
Le norme contenute nella legge quadro sull'artigianato sono destinate ad applicarsi esclusivamente al fine di consentire la fruizione delle provvidenze, dei benefici e delle agevolazioni disposte in sede regionale a favore dell'imprenditoria artigiana, senza alcuna contaminazione della disciplina civile e commerciale.
La quasi totalità della giurisprudenza, in effetti, afferma che la nozione di artigiano ricavabile dalla legge speciale è valida ai fini amministrativi, ma non corrisponde alla figura di artigiano quale risulta dalla legislazione civile e commerciale.
La stessa legge-quadro stabilisce che l'obbligatoria iscrizione nell'albo provinciale delle imprese.
artigiane è costitutiva e condizione per la concessione delle agevolazioni a favore delle imprese artigiane. Le disposizioni non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome.
Prima della recente riforma dell'art. 1 Legge Fallimentare, le modifiche normative e gli interventi della Corte costituzionale avevano ricondotto tutte le figure di piccolo imprenditore all'art. 2083 cc, divenuto unico termine di riferimento per discriminare tra fallibilità e non fallibilità il rilievo della questione risulta ridimensionato dalla presenza di una nuova, autonoma nozione di piccolo imprenditore a fini concorsuali (lo vediamo di seguito)
IL PICCOLO IMPRENDITORE NELLA LEGGE FALLIMENTARE
Ai fini dell'assoggettabilità al fallimento e alle altre procedure concorsuali, la nozione di piccolo imprenditore, delineata dall'art. 2083 cc, va coordinata e integrata con quella contenuta nella legge fallimentare.
identifica negli imprenditori esercenti attività di natura commerciale i soggetti ai quali debbono applicarsi la disciplina sul fallimento e sul concordato preventivo, escludendone espressamente gli enti pubblici.
Il comma 2 esenta dalla disciplina concorsuale tutti gli imprenditori che, pur esercitando un'attività di natura commerciale, non superino nemmeno uno dei 3 parametri dimensionali massimi prefissati per legge.
Sono sottratti alla dichiarazione di fallimento gli imprenditori commerciali che dimostrino di avere un'esposizione debitoria complessiva, comprensiva di debiti scaduti e non scaduti, non superiore a 500mila euro e forniscano altresì la prova di non aver avuto, in ciascuno dei tre esercizi precedenti, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo superiore a 300 mila euro, né conseguito ricavi lordi di importo globale annuo superiore a 200 mila euro.
L'art. 1 Legge Fallimentare ha, dunque, dato una definizione autonoma ed esaustiva di
imprenditore non fallibile alla presunzione di fallibilità - sopra i volumi quantitativi prefissati corrisponde la presunzione di non fallibilità al di sotto delle medesime soglie dimensionali.
L'art. 1 Legge Fallimentare, a seguito della riforma, non contiene più nell'enunciato alcun richiamo testuale alla nozione di piccolo imprenditore, limitandosi a dettare i requisiti quantitativo-dimensionaliche segnano i confini della fallibilità e della non fallibilità dell'imprenditore commerciale.
La recente evoluzione legislativa ha dunque tolto rilievo alla nozione codicistica di piccolo imprenditore, la cui importanza sembra confinata all'individuazione dei soggetti sui quali ricade l'obbligo di iscrizione nella sezione speciale (anziché ordinaria) del registro delle imprese e alla esenzione dalla disciplina relativa alla tenuta obbligatoria delle scritture contabili.
CAPITOLO IV. L'ACQUISTO DELLA TITOLARITÀ
DELL'IMPRESA E LA RESPONSABILITÀ DELL'IMPRENDITORE L'esercizio dell'attività d'impresa dovrebbe essere caratterizzato dall'assunzione del relativo rischio, ossia dalla piena responsabilità patrimoniale per tutte le obbligazioni che a qualunque titolo ne discendono. Benché l'art. 2086 cc, dicendo che "l'imprenditore è il capo dell'impresa", contempli solo il potere di gestione, tacendo della correlativa responsabilità, essa è presupposta da altre disposizioni ad esempio: L'art. 1655 cc, che detta la nozione d'appalto e definisce appaltatore come colui che gestisce "a proprio rischio" l'organizzazione dei mezzi necessari al compimento di un'opera o un servizio. La legge-quadro per l'artigianato 443/1985, definisce piccolo imprenditore artigiano colui che esercita personalmente in qualità di titolare.L'imprese artigiana "assumendone la piena responsabilità contutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione" la correlazione tra il potere di dirigere l'impresa artigiana e la sopportazione dei rischi e delle responsabilità che ne derivano è un tratto comune di tutte le imprese.
Poiché la qualifica di imprenditore non dipende da nessun riconoscimento formale, ma discende dall'esercizio di fatto di un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, si potrebbe dunque pensare che chiunque si trovi in tale situazione risponda naturalmente di tutti i debiti correlativi MA non è questo il criterio di imputazione dei debiti d'impresa generalmente accolto. Dottrina e giurisprudenza largamente prevalenti richiedono un collegamento formale tra l'imprenditore e i debiti contratti nell'esercizio dell'impresa: la spendita del nome.
ossia l'esteriorizzazione, la notorietà ai terzi di colui che dovrà pagarne i debiti. Di regola, secondo i fautori di questa opinione diffusa, la responsabilità patrimoniale per i debiti di un'impresa, individuale o collettiva, dipende proprio da meccanismi che rendono noto ai terzi il nome di coloro sul cui patrimonio si può fare affidamento per il pagamento, quali il nome dell'imprenditore o la ragione sociale delle società di persone. In tutti gli altri casi, si dovrebbe qualificare l'incarico di gestire l'impresa per conto altrui come mandato senza rappresentanza ed escludere qualsiasi rapporto tra i terzi e il mandante. Riconoscere ai terzi un'azione verso un soggetto che neppure conoscevano e sul cui patrimonio non potevano perciò fare nessun affidamento al momento in cui entrarono in rapporto col prestanome, significherebbe danneggiare ingiustificatamente i creditori personali del vero imprenditore essi verrebbero.chiamati a spartire la garanzia offerta dal patrimonio del loro debitore con i creditori del titolare apparente dell'impresa e si troverebbero in una situazione che non potevano conoscere né valutare al momento in cui fecero credito a chi, a loro insaputa, gestiva occultamente l'impresa. Questa opinione prevalente non è, però, esente da incongruenze e quindicritiche: profilo logico sotto il si può eccepire che, se può apparire iniquo il concorso sul patrimonio dell'imprenditore effettivo anche dei creditori della persona di cui egli si avvalse per esercitare occultamente l'impresa, è altrettanto iniquo che i creditori dell'imprenditore occulto possano beneficiare dei proventi della sua attività segreta senza risentire gli eventuali pregiudizi. Profilo tecnico-giuridico sotto il la norma da cui si dovrebbe ricavare l'impossibilità per i creditori del titolare formale dell'impresa di rivolgersichi effettivamente la gestisce concerne il mandato; ma l'incarico digestire un'impresa non è un mandato, e quindi la disciplina dell'art. 1705cc non si può applicare.
L'Art. 147 Legge Fallimentare dispone che, se dopo la dichiarazione del fallimento di una società con società a responsabilità illimitata risultal'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, anche questi vengono dichiarati falliti il caso contemplato è quello del socio occulto di una società palese, cioè di una società che abbia esteriorizzato la propria giuridica esistenza nei rapporti con i terzi.
La norma prevede espressamente l'estensione del principio anche al socio occulto di una società essa stessa occulta, dissimulata dietro un'apparente impresa individuale.
Il tribunale, se scopre che l'impresa era in realtà riferibile ad una società e che il fallito agiva in quanto socio, pur
tenendo celata ai terzi la sua qualità e l'esistenza stessa di un rapporto sociale, procede, ai sensi dell'art. 147 legge Fallimentare, alla dichiarazione di fallimento della società e di tutti i suoi soci illimitatamente responsabili ciò, nonostante la mancata spendita della ragione sociale o del nome della società. Il sistema del diritto commerciale ammette, dunque, che un soggetto che era rimasto ignoto ai creditori dell'apparente titolare dell'impresa, ma che aveva il potere effettivo di gestirla, sia dichiarato fallito ed il suo patrimonio venga destinato al pagamento dei creditori del suo prestanome. Dall'art. 147 Legge Fallimentare si desume che la spendita del nome è superflua per l'imputazione dell'attività d'impresa.