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L’ideologia della sacralità dell’arabo ha influenzato notevolmente lo studio di tale lingua,
infatti ci si è concentrati quasi esclusivamente sulla lingua classica e mai sulla sua evoluzione
storica e dialettale, passata in secondo piano.
Le lingue semitiche. Quella semitica è una famiglia linguistica che ha cinquemila anni di età
(III millennio a.C. a oggi) e un’estensione geografica ce parte dalla Mesopotamia, attraversa il
Vicino Oriente e la Penisola araba e arriva al Corno d’Africa. Il termine “semiti” è ispirato
alla Tavola dei Popoli della Genesi e fu impiegato per la prima volta dal filosofo tedesco
Leibniz. La soluzione “lingue semitiche” invece fu proposta dallo studioso austriaco Schlozer
per riferirsi ad un gruppo di lingue in uso tra l’Eufrate e il Mediterraneo con vistose affinità
fonologiche, morfologiche e lessicali. Le lingue semitiche attualmente parlate sono l’arabo,
l’ebraico, l’amarico (Etiopia), il tigrino (Eritrea) e altre di minore importanza. Secondo la
classificazione tradizionale di Moscati si individuano tre gruppi geografici:
- semitico orientale: lingua accadica, attestata in Mesopotamia dal III al I millennio
a.C. Divisosi in assiro a nord e babilonese a sud, l’accadico era registrato nella
scrittura cuneiforme ereditata dalla lingua sumerica (lingua non semitica) e
sopravvisse fino all’arrivo dell’aramaico.
- Semitico nord-occidentale: con i due sottogruppi cananaico e aramaico. Per cananaico
s’intende un’unica lingua frazionata in varietà locali, fra cui ebraico e fenicio. Per
aramaico s’intende una serie di dialetti suddivisi in fasi linguistiche dal I millennio
a.C. fino ad oggi: aramaico antico (IX secolo a.C) aramaico imperiale (impero assiro,
neobabilonese e persiano); vi è poi una scissione in un tronco occidentale (aramaico
cristiano-palestinese, la famosa lingua di Gesù, giudaico-palestinese e nabateo) e un
tronco orientale (siriaco, la lingua liturgica dei cristiani giacobiti e nestoriani, e
mandaico); attualmente varie forme di neoaramaico sopravvivono presso piccole
comunità in Siria, da una parte, e in Iraq e Iran, dall’altra.
- Semitico sud-occidentale: comprende arabo, sudarabico ed etiopico. Per sudarabico
s’intendono una serie di dialetti attestati in Arabia meridionale (attuali Yemen e
Oman) a partire dal I millennio a.C. Nello stesso periodo, nel Corno d’Africa si
generano l’etiopico meridionale (da cui si sviluppa l’attuale lingua dell’Etiopia,
l’amarico) e l’etiopico settentrionale ( da cui si sviluppa il geez, antica lingua liturgica
del cristianesimo etiope, e il tigrino, attuale lingue dell’Eritrea).
La teoria classica sostiene che tutte le lingue semitiche derivino da un “protosemitico”.
Dall’altra parte invece si è sviluppata la teoria “areale”: varie onde linguistiche, irradiate da
un unico centro, smistano innovazioni nelle zone circostanti.
Quale arabo? La lingua ufficiale di tutti i paesi arabi è l’arabo “standard” o “letterario” o
“classico” o meglio la Fus7a, “eloquentissima”. Quello che definiamo “arabo dialettale” viene
definito in Mashreq “’ammiyya” (lingua “popolare”) e “darija” (“lingua”) mentre
regionalmente non connotato è “lahja” (“accento, parlata”). Come già detto l’arabo è una
lingua del ceppo semitico meridionale adoperata da genti che vivevano in condizioni di
seminomadismo fra il V e il VII secolo d.C. nella Penisola araba. Le prime attestazioni di
protoarabo si trovano in epigrafi rinvenute fra Siria e Giordania e risalenti al IV secolo circa.
Dalla fase protoaraba a quella immediatamente preislamica, l’evoluzione non è chiara perché
non vi sono attestazioni se non le opere poetiche della Jahiliyya. Tale poesia risale però al V-
VII secolo d.C. ed è stata tramandata oralmente nel tempo da rapsodi (ruwaat) e messa per
iscritto soltanto due secoli dopo in pieno periodo islamico dunque non può essere ritenuta del
tutto attendibile. Ad ogni modo si pensa che tali opere furono composte in una lingua poetica
intertribale che superava le differenze dialettali esistenti (koiné). Con l’Islam l’arabo cessa di
essere la lingua delle tribù beduine e assurge al ruolo di lingua divina. Le prime scuole
grammaticali (VIII secolo, a Kufa e a Basra) per stabilire norme grammaticali universalmente
valide si servirono di testi inconfutabilmente “arabi”: la poesia della Jahiliyya (che dunque era
una koiné simile o pari alla Fusha) e il Corano. La Fusha rappresenta di conseguenza la
cristallizzazione di un preciso stadio linguistico nell’evoluzione della lingua. L’arabistica
moderna distingue quattro differenti forme di arabo definite come:
- arabo classico: etichetta che si riferisce alla lingua testimoniata dalla poesia
preislamica, dal Corano e dalla letteratura posteriore;
- arabo moderno standard: è la forma di arabo classico degli ultimi centocinquant’anni
in uso principalmente per la letteratura contemporanea e la prosa giornalistica;
- neoarabo; etichetta che si riferisce all’insieme dei dialetti arabi parlati dal Golfo
Persico all’Oceano Atlantico;
- medioarabo: etichetta che si riferisce alla lingua di una particolare produzione
(para)letteraria nella quale compaiono devianze più o meno evidenti dalla Fusha e
conseguenti tracce del dialetto.
Alcuni testi in medioarabo risalenti al Medioevo erano composti da autori arabofoni di
confessione israelitica o cristiana che redigevano le loro opere in alfabeto ebraico o greco.
Non si può parlare di medioarabo come se fosse una fase linguistica (come il medio inglese),
poiché esso è una forma di arabo scritto parallela a quella in arabo classico e coesistono fino
ad oggi. I primi due arabi analizzati condividono la stessa struttura grammaticale codificata
dai filologi medioevali, ma il secondo si distingue per le innovazioni lessicali e l’influenza
della sintassi delle lingue europee. Il risveglio dell’arabo letterario inizia in Egitto e nel
Vicino Oriente a partire dal XIX secolo. L’influenza europea favorì la nascita di una stampa
locale e la presa di posizione di numerosi intellettuali arabi a favore di un rinnovamento
culturale, sociale e politico. Il contatto favorì l’ingresso di numerose nozioni nuove
(tecnologiche, scientifiche, filosofiche, politiche ecc…) per le quali occorreva creare
neologismi. Nacquero dunque alcune accademie come quella del Cairo (1922) e Damasco
(1919), allo scopo di salvaguardare la purezza della lingua e creare nuovo lessico per concetti
nuovi (p.40). Dall’altro lato, il linguaggio giornalistico e informatico hanno accelerato
l’introduzione di intere fraseologie di origine straniera (p.41). L’arabo moderno e quello
classico sono formalmente la stessa lingua, ma il primo rappresenta il naturale adeguamento
del secondo (inerte da 1500 anni) alle esigenze della società contemporanea.
La diglossia
2.1
Lo statunitense Ferguson riprende il termine “diglossia” (ar. ‘izdiwajiyya fi l-luga “duplicità
della lingua”) per applicarlo all’attuale situazione linguistica del mondo arabo, equiparandola
a quella della Grecia, della Svizzera tedesca e di Haiti. Per Ferguson, nel mondo arabo
sussistono due varietà della stessa lingua: una varietà alta e una varietà bassa. La prima si
identifica con l’arabo standard, la seconda con il dialetto. La Fusha è la lingua ufficiale di
ogni Stato arabo ed è quella in cui si esprimono la letteratura e la stampa, l’amministrazione,
l’istruzione e parte dei mezzi di massa. Viene utilizzato in forma orale solo in situazioni di
alta formalità: televisione, radio, discorso solenne (elocuzione non spontanea)… Il dialetto è
invece la lingua della comunicazione quotidiana (elocuzione spontanea). La comunità
arabofona è dunque “diglotta” in quanto vive con due forme di arabo. Tuttavia la padronanza
dell’arabo classico è fortemente disuguale e legata al grado di scolarizzazione del singolo. Le
due varietà non sono due sistemi linguistici chiusi: accanto al classico standard s’individua un
classico più disinvolto maggiormente influenzato dal dialetto del parlante. L’arabo dialettale
si distingue in dialetto “nazionale” (basato sul dialetto della capitale), un dialetto colto
(proprio delle persone di livello postuniversitario) e un dialetto formale, molto influenzato dal
classico, chiamato dai linguisti “arabo mediano”. Due arabofoni troppo differenziati
dialettalmente, parlando tra loro, ricorreranno al mediano (lessico e morfosintassi tendente al
classico). Quali sono gli effetti della diglossia per gli arabi? Il dialetto rispetto alla Fusha è
visto alla stregua dei dialetti italiani: danneggiano l’intercomprensione e l’unità. Durante gli
ultimi decenni del periodo coloniale, il panarabismo predicava l’unificazione dell’intera
comunità arabofona e considerava la lingua l’elemento di coesione sociale. Tuttavia questo
nazionalismo non ha raggiunto il proprio scopo politico-sociale ma nei singoli stati arabi sono
in atto politiche linguistiche che puntano ad una progressiva estirpazione della dialettofonia
(obiettivo utopistico).
I dialetti arabi. Occorre partire da un assioma: per la linguistica non vi è alcuna differenza
tra una “lingua” e un “dialetto”. L’atteggiamento tradizionale che vede i dialetti come forme
“sgrammaticate” delle lingue è frutto di una percezione distorta: alla stregua delle lingue,
anche i dialetti hanno una struttura grammaticale, con la differenza che questa, non essendo
formalmente riconosciuta, non può essere studiata. Le lingue di oggi sono i dialetti di ieri: il
fiorentino, una volta eletto a modello, è stato tutelato dalle istituzioni e dagli intellettuali e si è
passati a percepire i dialetti come defezioni alle regole della lingua. Per spiegare le differenti
esistenti fra arabo classico e dialettale si invoca spesso l’interferenza delle lingue di sostrato.
Le differenze interessano tutti i livelli di analisi: fonologia (vocalismo e consonantismo
subiscono mutamenti), morfologia (scompare l’i’raab; si indeboliscono le distinzioni tra tra
maschile e femminile nel sistema pronominale e verbale; il duale scompare), sintassi
(VSO>SVO) e lessico (subisce una variazione diatopica i.e. geografica) [p.46-47]. Inoltre, si
passa da un sistema sintetico (‘i’raab interno ci guida alla comprensione della frase) a un
sistema analitico (il dialetto perde la flessione e si serve di procedimenti