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Il ruolo dell'ordine delle parole in italiano
SVO.Caduto il sistema delle declinazioni, l'ordine acquista, in italiano, il ruolo di segnalare la funzione logica delle parole, che si riconosce anche attraverso la loro posizione nella frase. E la libertà di movimento, per certi versi, si limita. Più specificatamente, i sintagmi nucleari (cioè i sintagmi necessari affinché la frase possa realizzarsi in modo completo, che sono spesso il soggetto e il complemento oggetto) hanno di solito posizione fissa; mentre i sintagmi extranucleari, o elementi facoltativi, godono di maggiore libertà di movimento.
L'italiano tende a trasmettere le informazioni in modo lineare, presentando prima il tema, o topic, quindi il rema, o comment. Il rema può a sua volta realizzare una progressione interna del peso comunicativo, che porta gradualmente a un punto culminante, o fuoco (focus). Dunque in una frase normale come "Andrea Sperelli aspettava nelle sue stanze un'amante" il soggetto, o tema,
precede il verbo, e il complemento segue entrambi. L'insieme di verbo e complemento costituisce il rema, mentre solo il complemento oggetto finale è il focus della sequenza informativa. La specificazione locale <<nelle sue stanze>> potrebbe essere collocata anche in altri luoghi della frase, mentre un ipotetico scambio di posto tra Sperelli e l'amante sortirebbe, a differenza di quanto succede in latino, anche uno scambio dei loro ruoli grammaticali. Questa parziale libertà di intervento poggia su due caratteristiche: il ricco sistema di flessione dei verbi italiani, che permette quasi sempre di risalire al soggetto; e l'ampia disponibilità di pronomi clitici (mi, ti, gli, lo, la, li, le, ci, vi, si, ne) che chiariscono il rapporto tra verbo e complementi, anche a distanza. Le frasi che, sfruttando questa proprietà, alterano a fini espressivi l'ordine canonico dei componenti principali si definiscono marcate.
marcatezza sono più consuete: lo scambio di posto tra soggetto e verbo per dare evidenza all'uno o all'altro dei componenti (<<Il mio amico canta>>, <<Canta il mio amico>>); e la frase passiva, che porta il complemento di una frase non marcata in posizione iniziale (<<La casa è stata costruita a fine Ottocento>>). La forma passiva ha un vantaggio: permette di non nominare l'agente; ma è relativamente poco usata nell'italiano di oggi. Ci sono, però, altre risorse.
3. Dislocare
Queste risorse sono le frasi segmentate, cioè quelle frasi che marcano la separazione tra il tema e il fuoco, e consentono di dare risalto all'uno o all'altro. L'italiano dispone in effetti di costruzioni che evidenziano il tema (dislocazioni), e di costruzioni che evidenziano il fuoco (frasi scisse).
La dislocazione manipola la struttura nucleare della frase, e modifica la posizione dei blocchi che la compongono.
La forma più diffusa è quella che sposta uno o più complementi a sinistra del verbo; anticipandone l'apparizione, si conferisce loro un risalto che, nella struttura non marcata, non avevano. Dopo il testimone, in apertura di capitolo, sono arrivati gli scrittori. Tra loro Manzoni, che non ha impiegato forme di dislocazione fin dalla prima minuta del suo romanzo, il Fermo e Lucia ("i misteri non li posso soffrire") ma, nel passaggio dalla prima alla seconda edizione, è spesso intervenuto a trasformare in marcate frasi che erano in origine non marcate ("Ella lascerà ben entrare Tonio e suo fratello; ma voi! Voi due!" -> "Tonio e suo fratello, li lascerà entrare; ma voi! Voi due!"); il complemento oggetto viene anticipato, e quindi saldato al secondo blocco della frase con il pronome clitico li (la ripresa pronominale è obbligatoria quando l'elemento dislocato a sinistra è.un complemento oggetto; facoltativa se si anticipano altri complementi). Collocando in apertura il gruppo <<Tonio e suo fratello>> Manzoni ottiene un duplice risultato: indica con chiarezza che quello è il tema, o topic della frase, ciò di cui si parla; e potenzia il collegamento con quanto precede. La dislocazione a sinistra è dunque utile per la resa di un turno dialogico e, soprattutto, è uno strumento per creare coesione all'interno dei testi. Dunque Manzoni, scrittore di avertitissima sensibilità linguistica, si serve della dislocazione sia nel romanzo, spesso all'interno di discorsi diretti di personaggi popolari; sia nella prosa saggistica. Questo mostra, assieme all'utilità della costruzione, un altro aspetto da sottolineare: la dislocazione a sinistra non va considerata un modo per rendere la lingua parlata o incolta, ma invece un attrezzo che imprime determinate curvature comunicative alla frase. Il possibile
equivoco nasce dalla storia stessa dell'italiano, perché le dislocazioni furono a lungo guardate con sospetto. La tradizione grammaticale, per esempio, ostile alle forme marcate ha resistito a lungo, tanto che ancora oggi la frattura sintattica che caratterizza le dislocazioni dispiace a qualcuno come infrazione all'ordine di una lingua idealmente logica e legata.
Fortunatamente, mentre i grammatici proibivano, gli scrittori sperimentavano, e le dislocazioni continuano a circolare nei testi di tutti i secoli, da quelli popolari a quelli di registro alto.
Nessuno stigma deve esistere oggi: grammatici e scrittori finalmente concordano, ed è importante mettere a frutto, delle dislocazioni, la doppia capacità di evidenziare il tema e di creare coesione. Senza relegarle ai piani passi della comunicazione, ma riconoscendo invece il loro potere comunicativo.
Accanto alla dislocazione a sinistra esistono altri spostamenti utili per imprimere alle frasi una
Introdotta da che spetta il tema: <<È Dio che lo vuole>> è un uso enfatico del costrutto. Ecco alcuni esempi che provengono da testi giornalistici, saggistici o manualistici contemporanei: “In Italia, siamo noi che rappresentiamo la società”; “Sarà lui che dovrà predisporre il testo di legge”; “Diciamo che è stato questo che ha provocato la ribellione”. Anche nell’italiano dei secoli passati la presenza della frase scissa non è certo limitata alle scritture popolari o alla mimesi del parlato. Varianti della frase scissa sono infine quelle che utilizzano il cosiddetto “c’è presentativo” (<<C’è che mi sono innamorato di te>>) o altre formule spezzate (<<quand’è che l’hai usato?>>).
5. Dal francese all’inglese
Dunque le varie forme di frase segmentata mettono in scena l’architettura semantica del testo.
ed è in questa direzione (non, ripetiamolo, per ottenere un supposto abbassamento di livello) che vanno messe a frutto anche nella traduzione. Il francese, in questo senso lingua sorella dell'italiano, è ricchissimo di fenomeni di segmentazione, a partire dalle frasi scisse, che possono avere avuto un'influenza sulla diffusione stessa della forma in italiano. Ma, piuttosto che evitarne la riproduzione come calco sintattico, sarà opportuno valutare di volta in volta l'intensità comunicativa della costruzione francese e decidere se mantenerla in italiano. Tipico esempio di frase scissa, la forma <resa che trascuri la lieve marcatezza dell'originale <<In questo modo riuscì a vincere il terrore>>. Ma, vista la qualità letteraria dell'autore, sarà anche possibile tentare soluzioni che permettano di conservare la piccola enfasi che la costruzione inglese porta con sé. Una possibilità è utilizzare una dislocazione a sinistra, con l'effetto corrispondente di dare evidenza all'azione di controllare il terrore: <<In questo modo, il terrore riuscì a vincerlo>>. Vero è che l'enfasi risulta, forse, eccessiva rispetto alle intenzioni dell'originale. Si potrà allora ricorrere a una soluzione meno incisa, cioè marcare la separatezza tra la specificazione modale anticipata e il resto della frase con l'inserimento di una virgola (intervento piccolo, ma decisivo): <<In questo modo, riuscì a vincere il terrore>>. La virgola agisce qui come un
segnale di marcatezza. E questa suacapacità può tornare utile anche in altri casi. Nella traduzione dall'inglese, per esempio, per restituire l'enfasi che alcuni scrittori segnalano con il corsivo. Ci sono casi in cui non si può che mantenerli anche se, forse, il loro impiego