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Il suo trattamento è consistito in una psicoterapia psicodinamica di due anni e mezzo, a frequenza
bisettimanale.
L’interazione avvenuta durante le prime due sedute del trattamento migliora la valutazione
e comprensione della signora M. Inizialmente la signora M ha richiesto una parcella inferiore a
quella fissata dal tariffario utilizzato dai clinici che l’avevano vista precedentemente, mettendo in
pericolo le sue opportunità di essere accettata per il trattamento. Successivamente, ha sollecitato
il terapeuta a patologizzarla annunciando quanto inefficaci fossero stati i precedenti trattamenti e
sottolineando la gravità dei suoi sintomi, in particolare le frequenti crisi di pianto. In altre parole,
aveva invitato masochisticamente il terapeuta a rifiutarla per il trattamento, a vederla come
estremamente problematica o a trattarla con dell’inutile compassione.
Il terapeuta a tentato di interpretare i momenti di pianto della signora M come espressione
di un desiderio di condividere gli eventi felici e i successi. Questa interpretazione ha chiaramente
interessato la paziente, interesse che l’ha coinvolta nella terapia ed è sembrato avere un effetto
organizzante.
Durante il trattamento il terapeuta si è sentito ripetutamente costretto a soccorrere la
signora M dalla depressione e dai suoi sentimenti masochistici di non essere utile o speciale.
Le interazioni nella fase iniziale del trattamento possono fornire una conoscenza e una
comprensione del paziente utili al terapeuta per valutare la capacità di autoriflessione di lavorare
con le interpretazioni. Le informazioni sul paziente ottenute attraverso l’interazione terapeuta –
paziente sono di impegno più immediato per valutare la probabilità che un individuo ha di trarre
beneficio dal trattamento.
Si è sviluppato un ampia gamma di interventi per la salute mentale. L’uso dei farmaci per la
cura della depressione e dell’ansia, cosi come di molti altri problemi psicologici, è aumentato
enormemente e i medici nella pratica quotidiana prescrivono farmaci antidepressivi a pazienti che
lamentano affetti disforici. Non c’è da sorprendersi se, conseguentemente, molti individui sono
speso incerti rispetto a quale trattamento potrebbe essere il migliore per loro. I terapeuti orientati
analiticamente devono spesso rispondere a confusioni, domande e preoccupazioni sul loro
metodo di trattamento e sul suo livello di efficacia rispetto alle altre possibilità terapeutiche.
Una terapia analitica a lungo termine comporta per il paziente la possibilità di subire dei
cambiamenti secondo modalità che non desidera, o anche di precipitare in una caduta vertiginosa.
La richiesta di un paziente per un particolare tipo di trattamento (o di terapeuta) rappresenta di
frequente un desiderio di avere, o evitare, un particolare tipo di relazione o di esperienza.
Nell’ambito degli interventi psicologici, la persona del terapeuta ha forse un’importanza maggiore
rispetto al modello di trattamento, una cosa spesso trascurata nella nostra era dei trattamenti
manualizzati.
Multi pazienti hanno spesso solo delle nozioni vaghe ed erronee rispetto a quello che
possono aspettarsi da un terapeuta e su quello che dovrebbero fare in terapia. Spesso è utile
informare un po’ il paziente sulla terapia. Dare delle spiegazioni al paziente sulle libere associazioni
è spesso un modo utile per informarlo su come procedere. (pag.55)
Libere associazioni – consentire ai suoi pensieri di venire in mente da soli e cercare di dargli voce;
sono una specie di antidotto al razionalismo.
3. Creare opportunità per l’autoriflessione
Speso i pazienti si avvicinano alla terapia aspettandosi che il terapeuta comprenda senza
difficoltà perché si sentono in quel modo, e fornisca delle spiegazioni curative. Sperano, in maniera
consapevole o inconsapevole, che il terapeuta risolverà i loro conflitti e dilemmi e darà consigli su
come vivere la vita.
Obiettivo principale delle terapie analitiche è quello di aiutare i pazienti a comprendere la
loro mente e come funziona. La maggior parte di quello che un paziente fa in terapia consiste
nell’apprendere a percepire, esprimere e riflettere sull’esperienza. L’autosservazione del paziente
è una pre-condizione necessaria per il cambiamento. Alcune tecniche di base per sviluppare questa
capacità nel paziente includono domande, chiarificazioni, confrontazioni, l’identificazione di
condotte nell’esperienza del paziente, l’uso di ricordi o ricostruzioni del passato e la capacità di
collegare percezioni o sentimenti attuali con esperienze passate.
Domande. L’impiego di domande nelle terapie analitiche è un argomento piuttosto controverso.
Le domande in sé possono essere delle interpretazioni; possono anche servire come modo per
sollecitare la curiosità del paziente o indirizzarlo verso un’area di indagine che il terapeuta
considera produttiva. Gli analisti però, esprimono anche delle preoccupazioni rispetto all’uso delle
domande. Esse possono, per esempio, richiedere al paziente in maniera implicita di sottomettersi
agli interessi o al piano del terapeuta.
Come ogni azione del terapeuta, anche le domande possono essere pensate nei termini di
strutture di interazione se il paziente è passivo e non si rivela con facilità.
Non ci sono linee guida sul tipo di domande che il terapeuta non dovrebbe porre.
Dovrebbero solo trattenersi dal porre domande riguardanti interessi personali. Terapeuti meno
esperti talvolta pongono domande perché non sanno cosa fare altrimenti. Anche l’angoscia o una
difficoltà a tollerare il silenzio possono essere motivi che spingono a porre domande, mentre è
importante per i pazienti poter disporre di periodi di silenzio per poter riflettere.
Una riserva degli psicoanalisti rispetto all’uso delle domande è la possibilità che possono
intralciare il processo delle libere associazioni, richiedendo al paziente di fare affidamento su una
forma cognitiva più razionale e orientala alla realtà.
Esplorare il significato che una domanda ha per il paziente, come avviene per ogni altro
aspetto dell’attività del terapeuta, può condurre a nuove conoscenze o consapevolezze.
Un buon uso delle domande è quello di fornire un modello per l’autoriflessione e per aiutare
il paziente a sviluppare un senso della propria soggettività. Per esempio: di mettere a fuoco un
aspetto delle difese e il loro scopo; per incoraggiare il paziente ad assumere un certo punto di vista
su sé stesso.
La strategia di pressare il paziente con le domande per ottenere dei particolari su un
possibile evento traumatico deriva da alcune idee opinabili sul trattamento delle sindromi
traumatiche.
Chiarificazioni. La chiarificazione è un’azione che comporta un riprendere o un riformulare
affermazioni o idee del paziente oppure ripresentarle con un tono affettivo, in una forma più
chiaramente riconoscibile, cosi da rendere più evidente il significato della sua comunicazione. Lo
scopo è portare all’attenzione alcuni aspetti dell’esperienza e aumentarne la consapevolezza.
Confrontazioni. Le confrontazioni sono interventi in cui il terapeuta dirige l’attenzione del
paziente a un comportamento o pensiero in un qualche modo problematico. Le confrontazioni
sono utili, per esempio, se il comportamento del paziente è pericoloso o distruttivo e quando
l’incapacità del terapeuta a commentare può essere interpretata come un’accettazione dell’azione.
Le confrontazioni, spesso, mostrano al paziente che l’azione problematica è molto più significativa
di quanto inizialmente pensasse il paziente.
Individuazione delle tematiche. Un tipo comune di intervento è l’identificazione di una tematica
ricorrente nell’esperienza o nella condotta del paziente che potrebbe essere collegata in qualche
modo alle sue difficoltà. Le ricerche hanno mostrato che individuare delle tematiche aiuta ad
aumentare le libere associazioni nel paziente e che talvolta questo effetto si estende alle due o tre
sedute successive.
Ricordo, ricostruzione e azione terapeutica. La trattazione di come favorire l’autoriflessione del
paziente porta inevitabilmente ai temi della memoria e del ricordare. La memoria e il ricordo delle
esperienze infantili e della prima storia personale hanno svolto un ruolo centrale nelle terapie
psicoanalitiche. Gli psicoterapeuti esperti sanno che alcuni pazienti possono ricordare poco del
passato o avere lacune nei loro ricordi; altri sembrano non interessati al loro passato o incapaci di
connettere il passato con il presente; altri pazienti ancora si riferiscono frequentemente al passato
e lo usano come aiuto per comprendere se stessi.
In uno dei suoi primi lavori, Freud ha segnalato l’importanza dei ricorsi sostenendo che le
isteriche soffrirebbero “poco più che di reminiscenze”. Sintomi e inibizioni erano considerati
espressioni delle esperienze passate, solitamente traumatiche. Un compito del terapeuta era aiutare
il paziente a ricordare, a ricostruire queste esperienze.
La ricerca sulla memoria suggerisce che tutti i ricordi sono un misto di accurata
riproduzione del passato e ricostruzione. Il ricordo di un evento è influenzato dal suo significato
personale, dall’esperienza emotiva associata all’evento, dalla quantità di tempo che intercorre tra
l’esperienza dell’evento e il suo ricordo, dal perché la persona sta ricordando l’evento e per quale
motivo.
La memoria è, entro una certa misura, un riflesso di interessi e conflitti attuali e il ricordo
cambia e si modifica di conseguenza. Si è anche sostenuto che il vero passato storico sia per la
maggior parte inaccessibile.
Forse, va persino messo in dubbio se abbiamo ricordi coscienti provenienti dall’infanzia o
non piuttosto ricordi costruiti sull’infanzia. I nostri ricordi infantili ci mostrano i primi anni di vita
non come essi sono stati, ma come ci sono apparsi più tardi, in un’epoca di risveglio della memoria.
I resoconti narrativi del passato devono per lo meno avvicinarci alla verità per poter
contribuire alla conoscenza psicologica del sé. Non tutti i resoconti del passato funzionano. La
ricostruzione è speso un processo graduale che comporta sia il ricordare, sia il ricostruire gli eventi
reali.
Il ricordo di traumi infantili. Il dibattito scientifico sui ricordi di abusi sessuali subiti nell’infanzia
risale all’ipotesi della seduzione di Freud, secondo la quale alla base dell’eziologia dell’isteria vi
erano ricordi rimossi di tentativi precoci di seduzione. Freud ha in seguito rivisto questa ipotesi,
in una direzione che è risultata decisiva per lo sviluppo della p