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CAPITOLO 2 LA RESILIENZA NELLE STORIE DEI SOPRAVVISSUTI ALLA SHOAH

Shoah e resilienza : nessi educativi

La parola OLOCAUSTO è stata utilizzata a partire dagli anni 50 del secolo scorso per

indicare il genocidio degli ebrei d’Europa. Questo termine in realtà si riferiva ai

sacrifici narrati nella Torah, durante i quali gli animali venivano uccisi e bruciati

sull’altare del tempio. A causa di questo significato il termine Olocausto viene

definito inappropriato, in quanto considerato offensivo. In alternativa è stata

utilizzata la parola SHOAH che vuol dire “distruzione, desolazione”. In italiano poi, i

due termini vengono utilizzati come sinonimi, noi utilizzeremo il termine SHOAH.

Shoah resilienza e bambini, alcuni studi in chiave educativa

Dopo la catastrofe della Shoah, molti studi si sono interessati agli aspetti traumatici

lasciati da questa esperienza. Inoltre sono stati anche indagati degli effetti “trans

generazionali” dell’esperienza della Shoah, su seconde e terze generazioni, infatti

sono stati creati dei centri specialistici per offrire un adeguato sostegno terapeutico

ai sopravvissuti e ai loro figli. In alcune famiglie, infatti, i genitori hanno

inconsapevolmente passato il proprio trauma di sopravvissuti ai loro figli, o per

mezzo di un totale silenzio, che ha negato ai genitori di raccontare ciò che avevano

vissuto, o al contrario con un racconto ossessivo, che ha impedito di focalizzarsi sul

presente. D’altra parte altri ricercatori si sono concentrati sulle persone che sono

riusciti a costruire una vita “sana”, e sono stati evidenziati dei fattori resilienti nei

sopravvissuti alla shoah : abilità cognitive, umorismo, consapevolezza e tolleranza

dei loro sentimenti negativi, senso di speranza. I bambini che sono stati vittime del

nazismo sono stati tantissimi, in quanto il progetto nazista riusciva meglio a colpire i

più indifesi, i bambini sopravvissuti furono solamente un 6-11% contro il 33% degli

adulti. Accanto a queste drammatiche situazioni ricordiamo le iniziative di quegli

adulti che hanno cercato di dare un senso di speranza ai bambini, che offrirono uno

spazio nella loro casa per nutrire ancora un sentimento di speranza. Coloro che

vengono chiamati “i Giusti”, che hanno rischiato la vita per salvare delle persone

ebree, senza nessun interesse personale ma solo grazie alla loro umanità. Altre

ricerche hanno portato a scoprire che esistono degli aspetti propri della cultura

ebraica che hanno contribuito alla capacità dei sopravvissuti di risorgere dal trauma,

queste prassi sono : 

- Prassi linguistiche l’uso di diminutivi affettivi, di parole di speranza e

umorismo. L’umorismo non è da intendere come un “ridere di sé”, ma al

contrario come capacità di sorridere e andare avanti nonostante le

circostanze della vita, quest’elemento è uno che più caratterizza la cultura

ebraica. 

- Prassi educative la valorizzazione della creatività e l’importanza dello

studio che viene posto come obbligo religioso d’alfabetizzazione.

- Prassi etiche regole morali che vengono interiorizzate, forte attaccamento

genitori-figli, questi aiutano l’integrazione della propria identità dopo il

trauma.

Inoltre sono stati identificati sei nuclei tematici, ciascuno dei quali ha evidenziato i

bisogni principali dei bambini e le risposte degli educatori, che li hanno aiutati a

diventare resilienti : 

- Fisiologici e di sicurezza la garanzia dei pasti, cure mediche, igiene, attività

fisica, rimboccare le coperte la sera, segni di benessere e sicurezza di fronte la

loro angoscia.

- Affettivi l’attaccamento a una figura parentale, il clima delle case offerte

dalle famiglie che si sono proposte ad accudirli, ovviamente diverse dalle

famiglie di origine, ma ugualmente capaci di tenerezza e ascolto.

- Cognitivi e artistici è stata data importanza all’educazione, istruzione e

formazione professionale dei più grandi affinchè diventassero autonomi, gli

educatori hanno trasmesso in loro la fiducia nel futuro e il desiderio di

cambiare il mondo.

- Etici e ideologici il trauma della guerra e della perdita dei genitori non si è

trasformato in delinquenza ma tutti sono diventati dei bravi cittadini.

- Di identità culturale gli educatori hanno aiutato i ragazzi a trovare la stima

di sé e la propria identità dalla quale si erano separati.

Dalle ricerchè fatte l’80% delle persone contattate ha riuscito a trasformare

positivamente la propria vita, molti hanno cercato di dare un contributo alla

società attraverso le attività politiche o il volontariato (anche attività di cura,

come insegnamento, professioni sanitarie) per sdebitarsi della gratitudine

ricevuta all’arrivo. Nell’ultimo decennio molti hanno iniziato a parlare

apertamente delle loro esperienze, altri invece si sono ritirate dal racconto,

questo ci mostra come la testimonianza richiesta quasi in modo ossessivo può

risultare traumatica, in quanto comporta un ricordare continuamente le

esperienze brutte vissute. Kangisser rileva che questi testimoni “tardi” sono

spesso quelli che hanno vissuto nei nascondigli, e che quindi sono stati abituati a

stare in silenzio per tantissimo tempo, così adesso non riescono a esprimersi e si

richiudono anche in un silenzio adulto. È emerso infatti che per i bambini

nascosti :

1. La sopravvivenza avvenne grazie alla loro capacità di nascondersi e di

adultizzarsi improvvisamente.

2. Per molti la fine della guerra non significò la fine della sofferenza.

3. Il fatto che erano stati sradicati dalle loro famiglie e alla fine della guerra

dovevano confrontarsi con la perdita dei genitori, con l’emigrazione e

l’integrazione in altri contesti.

4. Non fu possibile da subito raccontare la propria esperienza e identificarsi

come sopravvissuti perché la società non li considerava tali.

Adesso possiamo sintetizzare gli studi presentati sottoponendo al triangolo della

resilienza un altro triangolo capovolto, in modo da creare una “piramide

equilatera della resilienza” nella cultura ebraica che forma la stella di David.

Resilienza e bambini nascosti

Alcuni bambini riuscirono a sopravvivere grazie al fatto di essere nascosti sia in

modo visibile che in modo invisibile, i visibili che spesso venivano nascosti in famiglie

cristiane sperando che i bambini potessero essere scambiati per ariani, alcuni

procurandosi documenti falsi o certificati di battesimo. Quelli invisibili furono

nascosti negli attici, nelle cantine o nei fienili senza mai poter essere visti da

nessuno. Quelli nascosti nelle famiglie o istituti religiosi alla fine della guerra spesso

venivano battezzati e diventavano cristiani, ad alcuni non veniva detto nulla della

loro vita precedente, ostacolando il fatto di ricongiungersi con la loro famiglia

d’origine. I più hanno dimostrato di essere persone integrate che portavano con loro

qualche ferita, che però gli permise di diventare umani. Come conclusione possiamo

dire che : i bambini a partire dal 1945 hanno già fatto esperienza delle famiglie post-

moderne di oggi, vivendo in famiglie con genitori multipli, alcuni adulti hanno invece

dimostrato di essere genitori competenti per bambini non biologici e infine la

mancanza della madre durante la guerra non è stato per forza un fattore che recò

disagio emotivo, ciò che più conta per un bambino è infatti la possibilità di avere un

adulto significativo che si prenda cura di lui.

Il percorso della memoria della Shoah

Oggi la questione della Shoah è molto sentita, infatti quest’ultima viene ricordata il

27 Gennaio, istituito GIORNO DELLA MEMORIA, e inoltre abbiamo anche delle

istituzioni dei Musei della Shoah e Washington e Gerusalemme. Dobbiamo però

attenzionare anche lo sviluppo della memoria individuale e collettiva dei

sopravvissuti, alla quale si possono riferire 4 fasi principali :

1. La prima fase viene definita quella della doppia immagine pubblica, di chi

sopravvisse con gesta eroiche (tipo i membri della resistenza) e chi invece

sopravvisse nei campi di concentramento o nei nascondigli. Quest’ultimi

vennero infatti accusati di non aver fatto niente per ribellarsi, di non aver

protetto familiari e amici e alcuni, addirittura, di essere alleati del nemico.

Di conseguenza l’immagine che i sopravvissuti crearono di loro stessi fu

influenzata dalla mancanza di riconoscimento da parte della società o da un

riconoscimento inappropriato, questo periodo viene definito COSPIRAZIONE

DEL SILENZIO, dove i sopravvissuti preferirono stare zitti e non raccontare

nulla per proteggere i loro figli.

2. La seconda frase, chiamata anche fase dei processi, dove dopo il processo di

Eichmann si iniziò a guardare al passato da un punto di vista diverso, attento e

rispettoso riguardo le persone che avevano partecipato alla Shoah. Molti così

iniziarono a raccontare, sentendo la responsabilità di farlo.

3. Durante la terza fase, nel 1981, i sopravvissuti organizzarono gruppi per

commemorare la Shoah, il primo incontro fu a Gerusalemme, che riunì

sopravvissuti di tutto il mondo, di modo che anche parenti e amici si

riunificarono, rafforzando l’identità e il senso di appartenenza e la diffusione

delle pubblicazioni di memorie, romanzi e testimonianze.

4. La quarta fase inizia ad accogliere come testimoni anche i “bambini

sopravvissuti”, che dopo tantissimi anni iniziano a identificare se stessi come

tali, di conseguenza iniziano gli incontri con loro per avere più informazioni,

che poi possano essere raccontate alle generazioni future. Sono state raccolte

52.000 video-testimonianze in 32 lingue diverse. Anche dei sopravvissuti

diedero vita ad alcuni romanzi e biografie come Il commerciante di bottoni,

ho sognato la cioccolata per anni, da bambina ho fatto una promessa.

Capitolo 3 LA RICERCA : MOTIVAZIONI, OBIETTIVI E IPOTESI

Le ricerche che sono state fatte sulla resilienza oggi possono essere utili per

capire come si deve educare bene o come poter accompagnare un bambino nella

crescita di modo che abbiamo un risultato positivo, o come aiutare famiglie,

scuole e istituzioni a investire le loro risorse sui fattori protettivi del bambino,

cioè su obiettivi positivi invece che prevenire solo i fattori di rischio. Dal punto di

vista metodologico è possibile esaminare la resilienza utilizzando due tipi di

ricerca : il primo studiando nel corso del tempo gli esiti di vita di quelle persone

che hanno avuto un trauma e il secondo che consiste nell’analizzare la traiettoria

biografica della persona. Per studiare le traiettorie di vita delle persone resilienti

abbiamo usato l’APPROC

Dettagli
A.A. 2017-2018
22 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher bianca-giacalone di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Consorzio Università Rovigo - Uniro o del prof Milani Paola.