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POPOLAZIONE
Generalità
I vari tenta<vi effe>ua< per cercare di
“spiegare” le modalità in base alle quali
varierebbe nel lungo periodo la consistenza
numerica delle popolazioni umane hanno
portato alla formulazione di alcune teorie più o
meno soddisfacen<, tra cui le più note sono:
la teoria malthusiana;
• la teoria logis<ca;
• la teoria della transizione demografica.
• 2
La teoria di Malthus
La prima teoria è a>ribuibile al pastore anglicano Malthus che, verso la
fine del XVIII secolo, crede>e di aver individuato la causa delle gravi
condizioni economiche in cui versavano l’Inghilterra e mol< altri Paesi
europei nell’insufficienza delle sussistenze (mezzi di sostentamento)
rispe>o alla popolazione. Secondo Malthus, infa[, l’is<nto alla
riproduzione è così potente nella specie umana che appena si ha un
aumento dei mezzi di sostentamento, e quindi si delinea la possibilità
di nutrire altri individui, ques< nascono; di conseguenza mentre le
sussistenze crescerebbero in progressione aritme<ca (ossia il doppio, il
triplo, il quadruplo, etc., di quelle iniziali), la popolazione tenderebbe a
crescere in progressione geometrica (ossia due volte, qua>ro volte,
o>o volte, etc., quella iniziale), determinando così uno squilibrio che a
sua volta me>e in a>o talune forse repressive (es. cares<e, epidemie,
guerre, etc.) che, a>raverso le cosidde>e “crisi di mortalità”, tendono
a ristabilirne l’equilibrio. 3
La teoria di Malthus
Occorre però osservare che Malthus, per risolvere a
monte il problema dello squilibrio tra popolazione e
mezzi necessari alla vita, caldeggiava la riduzione delle
nascite a>raverso restrizioni di ordine morale, quali la
cas<tà prima delle nozze, il ritardo al matrimonio, etc.
Ma il vero punto debole del modello malthusiano è in
realtà rappresentato dal fa>o di non poter presupporre
per la popolazione o per le sussistenze un andamento
prefissato, in quanto se è vero che la popolazione è in
ogni momento limitata dalla sussistenze, è anche vero
che queste sono a loro volta determinate dalla
popolazione. 4
La teoria logis<ca
Sicché, una più soddisfacente impostazione del
problema dell’evoluzione della popolazione nel
tempo fu, successivamente, dovuta al
matema<co belga Verhulst, secondo il quale
infa[ la forza di sviluppo della popolazione non
rimarrebbe costante nel tempo, ma
diminuirebbe al crescere della popolazione
stessa, a cagione delle difficoltà che sorgono per
mantenere in vita un numero sempre maggiore
di individui. 5
La teoria logis<ca
Verhulst pervenne così alla cosidde>a equazione logis<ca, che
graficamente assume la forma di una S schiacciata compresa tra
l’asse dell’ascisse e la sua re>a parallela da esso distante il
valore massimo cui tende la popolazione. 6
La teoria della transizione demografica
Infine, la “teoria della transizione demografica”
si reputa abbia avuto origine dall’osservazione
del “cammino” effe>uato dai quozien< (grezzi)
di natalità e di mortalità dalle società
tradizionali alle società moderne.
Nel de>aglio esistono però due diverse
formulazioni. 7
La teoria della transizione demografica
Secondo la maggior parte degli studiosi, infa[, il processo di transizione demografica
si ar<cola in tre macro-fasi, quali:
1. la fase pre-transizionale, cara>erizzata da quozien< (grezzi) di natalità e di
mortalità molto eleva< e quindi, globalmente, da un tasso di sviluppo della
popolazione molto basso;
2. la fase transizionale (o fase della “rivoluzione demografica”), a sua volta
ar<colabile in tre stadi, ossia:
a. lo stadio iniziale, cara>erizzato dalla c.d. “esplosione demografica” per effe>o della quale i
quozien< (grezzi) di natalità rimangono eleva< mentre quelli di mortalità si contraggono
progressivamente;
b. lo stadio intermedio, durante il quale ambedue i quozien< vanno contraendosi fino a
raggiungere il loro massimo divario;
c. lo stadio finale, cara>erizzato da quozien< di mortalità bassi e pressoché costan< e da
quozien< di natalità che subiscono un’ulteriore moderata contrazione;
3. la fase post-transizionale, cara>erizzata da quozien< (grezzi) di natalità e di
mortalità bassi e pressoché costan< e quindi da un tasso di sviluppo della
popolazione quasi nullo, tanto da potersi configurare l’ipotesi dello “zero
popula3on growth”. 8
La teoria della transizione demografica
Secondo altri studiosi, invece, il processo di transizione demografica si
ar<cola in qua>ro fasi (o tappe), ossia:
1. la fase iniziale, le cui cara>eris<che coincidono con quelle della
“fase pre-transizionale”;
2. la fase dello sviluppo accelerato, che è cara>erizzata da un declino
dei quozien< (grezzi) di mortalità più marcato e di regola
an<cipato rispe>o a quello dei quozien< (grezzi) di natalità e che
termina allorché i livelli dei due quozien< raggiungono il massimo
divario;
3. la fase della contrazione dello sviluppo, durante la quale i
quozien< (grezzi) di natalità subiscono un declino più marcato di
quello dei quozien< (grezzi) di mortalità;
4. la fase finale, le cui cara>eris<che coincidono con quelle della
“fase post-transizionale”. 9
La teoria della transizione demografica
Ambedue le formulazioni risultano comunque
estremamente generiche, in quanto non
forniscono alcuna indicazione né sulle epoche di
inizio e di fine del processo di transizione
demografica né sulla sua durata e/o sulla sua
portata; sicché nel tempo sono sta< propos<
vari indicatori in grado di rimuovere in maniera
abbastanza semplice tali inconvenien<. 10
La teoria della transizione demografica
Una notevole importanza assumono ad esempio gli indicatori forni<
da Chesnais, secondo il quale infa[:
l’inizio del processo di transizione, indicabile con T , coincide con
• α
l’epoca in cui inizia il sistema<co declino di uno dei due quozien<;
la fine del processo di transizione, indicabile con T , coincide con
• ω
l’epoca in cui il divario tra quozien< (grezzi) di natalità e di mortalità
risulta sistema<camente eguale o meno elevato di quello osservato
alla fine della fase pre-transizionale;
la “durata” del processo di transizione è data quindi dall’intervallo
• che intercorre tra T e T ;
α ω
la “portata” del processo di transizione, ossia l’effe>o che tale
• processo ha sull’aumento della popolazione, è misurabile mediante
il c.d. “mol<plicatore di transizione” che è dato sostanzialmente dal
rapporto tra ammontare della popolazione all’epoca T e
ω
ammontare della popolazione all’epoca T .
α 11
La teoria della transizione demografica
12
L’ipotesi dello “zero popula<on growth” e
la seconda transizione demografica
A complicare però tale teoria concorrono altre
circostanze, come ad esempio il susseguirsi di più
processi di transizione.
Tale eventualità può essere meglio compresa
analizzando l’ipotesi dello “zero popula<on
growth”, ossia dell’incremento nullo di popolazione
nell’ul<ma fase del processo di transizione, tanto
auspicato dal generale americano Draper verso la
fine degli anni Sessanta. 13
L’ipotesi dello “zero popula<on growth” e
la seconda transizione demografica
In realtà, esistono due differen< impostazioni per il
raggiungimento di tale obie[vo.
Secondo quella più rigida, lo “zero popula<on growth
rate” è raggiunto allorché risul< pari a zero il tasso
effe[vo di variazione della popolazione, ossia allorché il
quoziente (grezzo) di natalità risul< eguale al quoziente
(grezzo) di mortalità.
Secondo l’altra impostazione, invece, tale obie[vo è
raggiunto allorché risul< pari a zero il tasso di intrinseco
di variazione della popolazione, ossia allorché la capacità
di riproduzione della popolazione è tale da garan<rne
solamente la sos<tuzione. 14
L’ipotesi dello “zero popula<on growth” e
la seconda transizione demografica
A prescindere comunque dal <po di impostazione, si è
osservato che nel corso degli anni O>anta e Novanta in alcuni
paesi europei si è anda< addiri>ura oltre l’incremento
effe[vo nullo di popolazione, in quanto l’ammontare dei
decessi è risultato talora superiore a quello delle nascite.
Tale situazione si ri<ene possa, quindi, rappresentare una
seconda transizione demografica nel corso della quale si
passerebbe da un modello di procreazione che prevede
all’incirca due figli per coppia a un modello che prevede nella
maggior parte dei casi la nascita di un solo figlio; sicché per
garan<re una certa stabilità demografica di ques< paesi si
dovrebbe far ricorso all’assorbimento di popolazione
straniera, proveniente sopra>u>o dai paesi in via di sviluppo.
15
ELEMENTI DI DEMOGRAFIA
GLI SCHEMI DELLA POPOLAZIONE
STAZIONARIA E DELLA POPOLAZIONE
STABILE
La popolazione stabile come
popolazione limite
Di sovente è uDle comparare, in occasione del
censimento demografico di una determinata
popolazione, la relaDva struJura per sesso e per
età grosso modo osservata nei precedenD
oJant’anni con quella limite che si deduce
applicando il c.d. schema della popolazione
stabile sulla base delle leggi di fecondità e di
mortalità osservabili nell’intervallo di tempo
“centrato” sull’epoca del censimento. 2
La popolazione stabile
L’impostazione teorica dello schema della popolazione
stabile è dovuta allo statunitense Lotka, il quale dimostrò nel
corso degli anni Trenta che una popolazione chiusa, senza
disDnzione di sesso e soJoposta a quozienD di fecondità e di
mortalità costanD perviene, in un tempo più o meno lungo, a
una struJura finale per età che evolve sulla base di un tasso
di variazione costante, noto come tasso intrinseco di
variazione della popolazione o come tasso di Lo