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CAPITOLO 6: VIVERE BENE A LUNGO

6.1 Sconfiggere la morte: una guerra persa, ma tante battaglie vinte

Prima dell'innesco della transizione demografica la storia dell'umanità è stata sostanzialmente dominata dalla demografia naturale ovvero da una lunga fase in cui gli esseri umani sono stati impotenti di fronte a catastrofi naturali, epidemie, carestie, guerre: morire, a qualunque età, era nell'ordine naturale delle cose, un evento legato esclusivamente al destino individuale e a quello del clan di appartenenza. Con la transizione demografica, preceduta dalla rivoluzione scientifica, l'uomo diviene concretamente e diffusamente consapevole dei propri mezzi e della possibilità di tenere sotto controllo e contenere i principali fattori di rischio per la sopravvivenza: inizia così una lunga lotta, mai interrotta, per spostare sempre più avanti il momento della morte o, in altri termini, per ridurre la mortalità precoce.

Grazie a

tasso di mortalità e dell'aspettativa di vita di una popolazione. Il tasso di mortalità indica il numero di decessi in rapporto alla popolazione totale, solitamente espresso per 1000 abitanti. L'aspettativa di vita, invece, rappresenta il numero medio di anni che un individuo può aspettarsi di vivere in base all'età attuale e al tasso di mortalità corrente. La misurazione dell'aspettativa di vita è un indicatore importante per valutare il livello di sviluppo e benessere di una società. Un aumento dell'aspettativa di vita può essere considerato un segno di miglioramento delle condizioni di vita, dell'accesso alle cure mediche e delle politiche di prevenzione. Tuttavia, è importante sottolineare che l'aspettativa di vita non è un dato fisso e immutabile. Può variare in base a diversi fattori, come le condizioni socio-economiche, l'accesso alle cure mediche, lo stile di vita e l'ambiente in cui si vive. In conclusione, grazie ai progressi scientifici e tecnologici, l'aspettativa di vita è aumentata notevolmente nel corso dei secoli. Questo ha portato a una maggiore consapevolezza dell'importanza della salute e del benessere, nonché a una maggiore attenzione verso la prevenzione e la cura delle malattie.tempo mediamente trascorso in vita dagli individui di una certa generazione, sulla base delle condizioni di sopravvivenza osservate statisticamente in un certo periodo di tempo e della diversa esposizione ai rischi di morte. Tale misura fornisce una stima dell'aspettativa o speranza di vita e, per ciascuna età, risponde a questa domanda apparentemente semplicissima: quanti anni restano da vivere agli individui che hanno raggiunto una data età? La risposta deriva dalla costruzione di uno strumento tecnico-analitico imprescindibile per la demografia: la tavola di mortalità. L'indicatore di sintesi più importante della tavola di mortalità è la speranza di vita alla nascita, interpretabile come il numero di anni che un neonato può attendersi di vivere, nell'ipotesi in cui sia esposto nel corso della sua vita ai rischi di morte (o, viceversa, alle condizioni di sopravvivenza) descritti dalla tavola di mortalità (la tecnica di).costruzione della tavola di mortalità è oggetto di un approfondimento dedicato tra le risorse digitali a corredo del testo). Questo indicatore, deriva da un processo di stima basato sul numero di "anni vissuti" complessivamente da tutti i componenti della popolazione (somma della serie Lx nella tavola, dalla nascita fino all'età più anziana) ripartito tra i membri che costituiscono l'ammontare iniziale (l0). Da qui discendono alcune considerazioni di estremo rilievo: - la speranza di vita può anche definirsi come numero medio di anni vissuti, ovvero la permanenza media in vita. Tecnicamente, questo indicatore equivale all'età media alla morte (verificabile anche con semplici passaggi matematici utilizzando la serie dx della tavola di mortalità). Detto in altri termini, viene misurato il tempo medio individualmente trascorso nella popolazione di appartenenza; - per sapere quanto tempo si vive occorre aspettare che

Tutti gli individui siano morti: ciò significa seguire negli anni una generazione di nati e registrarne via via i decessi fino all'estinzione dell'ultimo superstite. Questo si può fare per le generazioni del passato, nate diciamo almeno 100-110 anni prima. Se però l'interesse è sulle condizioni di sopravvivenza nel momento storico attuale, la tavola di mortalità si può utilmente costruire "per contemporanei", cioè stimando i singoli rischi di morte (che corrispondono alle probabilità di morte qx) sulla base della mortalità osservata alle diverse età (ciascuna però riferita a una generazione diversa: la mortalità di oggi nel primo anno di vita si riferisce all'esperienza dei nati l'anno scorso, mentre la mortalità di oggi all'età di 100 anni si riferisce ai nati un secolo fa). Le tavole di mortalità correntemente pubblicate dall'Istat.

Vengono calcolate con quest'ultimo accorgimento metodologico; - da tener presente che l'aspettativa di vita alla nascita non va confusa con l'età media dellapopolazione. La prima misura quanto a lungo dura la vita, mentre la seconda misura l'età mediadi chi è attualmente in vita (in una data popolazione).

Eppure ancora tanta strada resta dapercorrere, soprattutto per colmare le troppe ineguaglianze che ancora persistono di fronte allamorte. Intanto, quelle territoriali: tra le regioni della Terra – specie tra quelli che vengono definitiil Sud e il Nord del mondo – esistono divari enormi (in Africa sub-sahariana l'aspettativa di vitanon raggiunge i sessant'anni) ma ci sono differenze anche tra le regioni del Nord, Centro e Suddel nostro paese, sia pure con contrasti molto meno evidenti. Poi, esistono differenze di generea favore delle donne, pressoché ovunque più longeve degli uomini. Infine,

Persistono disuguaglianze tra categorie socio-economiche, che, per quanto molto attenuate nei paesi sviluppati, sono inequivocabili: il livello di studio più elevato – specie delle donne – è associato a rischi di morte più bassi (propri e per i propri figli); il censo e l’appartenenza a categorie professionali più qualificate sono condizioni favorevoli alla longevità, con effetti protettivi che continuano anche dopo il pensionamento.

6.3 Le differenze per età e per genere: moriremo tutti/e centenari/ie?

Demograficamente, ciascun individuo "pesa" nella popolazione per il tempo che vi permane: tanto più è elevata l’età alla morte, tanto più lungo sarà stato il tempo di permanenza e tanto maggiori, quindi, le opportunità di contribuire alla storia demografica e sociale della popolazione di appartenenza; viceversa, tanto più la morte avviene in età infantili o

giovanili tanti più anni di vita potenziali saranno andati perduti. È evidente che la morte di una persona giovane sottrae più anni di quella di una persona anziana. Da qui si intuisce il meccanismo chiave dell'aumento della sopravvivenza avviato nella prima fase della transizione sanitaria: l'abbattimento straordinario dei rischi di morte infantile, ha consentito di recuperare un'enorme quantità di anni di vita. Le differenze che ancora persistono tra diverse aree del mondo in termini di speranza di vita si spiegano in larga parte con i differenti livelli di mortalità infantile (Tabella 6.1). In particolare, la situazione in Africa rimane tutt'ora drammatica: ancora intorno al 2015 moriva il 52 per mille dei nati entro il primo anno di vita.

TABELLA 6.1 Mortalità infantile nelle regioni del mondo, 1990-2015 (dati per mille)

Il primo anno di vita rimane comunque un periodo relativamente vulnerabile anche nei paesi più

ricchi e sviluppati, inclusa l'Italia. Via via che le condizioni socio-economiche e ambientali migliorano, la mortalità causata dai fattori esogeni - che ancora prevalgono nei paesi in via di sviluppo - diminuisce; le morti precoci si concentrano nelle fasi perinatali, cioè nei primissimi giorni di vita, e sono dovute essenzialmente a cause endogene, attribuibili ad anomalie genetiche, alla salute della madre o a problemi strettamente legati al parto. In definitiva, quando la mortalità infantile si riduce nella sua incidenza, diventa sempre più "specializzata" dal punto di vista delle cause e concentrata dal punto di vista del momento in cui avviene. Superato il primo scoglio, i rischi di morte sono relativamente bassi per tutte le età giovanili e adulte, per poi cominciare a crescere dapprima lentamente e poi in modo accelerato via via che l'età avanza. Eppure, statisticamente, determinate criticità sonodi età, i progressi ottenuti in termini di riduzione della mortalità. Un'altra criticità riguarda la mortalità legata alle malattie cardiovascolari, che rappresentano la principale causa di morte nei paesi occidentali. Queste malattie sono spesso legate a stili di vita poco salutari, come una dieta sbilanciata, la mancanza di attività fisica e il fumo. È quindi fondamentale promuovere comportamenti sani fin dalla giovane età, al fine di prevenire l'insorgenza di queste patologie. La mortalità per tumori è un'altra sfida da affrontare. Nonostante i progressi nella diagnosi e nel trattamento, i tumori rappresentano ancora una delle principali cause di morte. È importante sensibilizzare la popolazione sull'importanza della prevenzione, attraverso la partecipazione a programmi di screening e l'adozione di uno stile di vita sano. Infine, non possiamo dimenticare la mortalità legata alle malattie infettive, che rappresentano ancora una minaccia per la salute pubblica. La diffusione di malattie come l'HIV/AIDS, la malaria e la tubercolosi richiede un impegno costante nella prevenzione, nella diagnosi precoce e nel trattamento. In conclusione, la mortalità è un problema complesso che richiede un approccio multidisciplinare. È necessario agire su diversi fronti, promuovendo comportamenti sani, migliorando l'accesso alle cure mediche e investendo nella ricerca scientifica. Solo così potremo ridurre la mortalità e migliorare la qualità della vita delle persone di tutte le età.

Di età, quel vantaggio che almeno nel caso dellamortalità è tutto a favore delle donne. Una seconda criticità emerge in corrispondenza delle fasce in età lavorativa, quando gli individui – e anche qui più gli uomini che le donne – sono esposti ai rischi di morte legati direttamente (incidenti sul lavoro) o indirettamente (nel caso, per esempio, di contrazione di malattie derivantidalla prolungata esposizione ad agenti inquinanti o di condizioni lavorative disagiate che possonoincidere sulla salute fisica o psicologica del lavoratore) all’attività svolta. È evidente l’impatto chesu questi eventi negativi possono esercitare le differenze fra tipologie di attività, livello professionale, reddito (§ 6.5), ma anche le condizioni di sicurezza, salubrità e legalità dell’ambiente lavorativo: la mancanza di queste garanzie è quasi sempre all’origine delle cosiddette morti bianche.

Evitare queste morti così come quelle dei giovani di cui si è detto poco sopra, è possibile ed è soprattutto doveroso, non solo per mettere in atto il più elementare principio etico che implica la protezione da
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-S/04 Demografia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valeronchini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Demografia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Rosina Alessandro.