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La nozione di frontiera ha trovato applicazione inizialmente in campo storiografico con il

significato di confine tra Stati. Con il tempo il termine frontiera è venuto assumendo un significato

diverso, ovvero quello di confine politico-territoriale: la frontiera non è tanto la linea di separazione

tra i territori di due Stati, quanto piuttosto qualcosa che indica il punto di incontro, di contatti, tra

due società, tra due forme di vita culturale. Il confine o frontiera come confine è una linea materiale

o immaginaria che separa, la frontiera è invece qualcosa che nel momento in cui separa, unisce.

Nonostante la distinzione, la separazione, la diversità che caratterizzano le due società e/o culture,

queste ultime danno luogo, per un qualunque motivo, a processi di scambio nella zona definita

metaforicamente come terra di nessuno. È tutto ciò che avviene in questa metaforica terra di

nessuno che caratterizza tale zona come frontiera. Tre tipi di frontiera:

- La frontiera come linea avanzante Turner nel suo lavoro definiva così la frontiera: “la

frontiera è il versante esterno dell’onda, il punto d’incontro tra barbarie e civiltà”. Quello

che più balza all’occhio è senza dubbio la distinzione tra barbarie e civiltà, tra indiani e

bianchi. Un elemento per noi più interessante è l’espressione “versante esterno dell’onda” in

quanto con tale espressione viene espressa l’idea secondo la quale la frontiera non è un

elemento stabile, ma un fronte avanzante, il limite di un movimento, quello di una civiltà

che si spinge in avanti e che in questo movimento incontra ciò che Turner chiama barbarie:

le società e le culture indiane. Il terzo aspetto della definizione di Turner è quello

dell’incontro; questo elemento è particolarmente interessante poiché mette in rilievo quel

significato di frontiera in quanto zona entro la quale avviene un processo di interazione tra

culture. La prospettiva di Turner è stata definita stato-centrica, nel senso che la sua analisi

avrebbe assunto la frontiera come un fenomeno che andava considerato come l’effetto di

una spinta proveniente da un centro organizzato politicamente. La sua prospettiva si

sofferma sulla questione di quanto la frontiera abbia influito sulla formazione politico-

culturale degli Stati Uniti; 

- La frontiera come spazio d’interazione Lattimore ha ripreso il concetto di frontiera nei

suoi studi sulla Cina e sull’espansionismo cinese. La sua prospettiva è orientata verso

un’analisi della situazione di frontiera, dove gli agricoltori cinesi entrano in contatto con i

pastori nomadi mongoli. Vivendo ai margini della steppa mongola gli agricoltori cinesi

tendono a diventare mongoli essi stessi, ad adottare cioè forme di sussistenza e modelli di

insediamento che si discostano da quelli dei cinesi delle retrovie. Allo stesso modo i

mongoli della steppa tendono, entrando in contatto con i cinesi agricoltori, ad adottare

modelli di vita più stanziali e più simili a quelli dei coltivatori cinesi. All’origine di questi

cambiamenti vi sarebbe l’interazione tra le due comunità e quindi il tentativo di adattarsi,

laddove la situazione lo rendeva possibile, all’ambiente sia geografico che culturale;

- La frontiera come agente di conservazione Kopytoff intende la frontiera come una forza

suscettibile di produrre continuità storico-culturale e conservazione. La frontiera africana è,

ad esempio, una specie di crogiuolo nel quale si riproducono, su scala minore, gli stessi o

quasi modelli d’integrazione sociale, di rapporti rituali, di strutture politiche vigenti

all’interno di formazioni più ampie da cui quegli spezzoni provengono. La frontiera

africana, così come la intende Kopytoff, è infatti un elemento della riproduzione delle

società tradizionali africane.

Definendo il Medio Oriente come mosaico se ne è senza dubbio sottolineata la natura di area

culturale composita, plurale, complessa. Mentre l’immagine del mosaico rischia di non farci

comprendere i processi di interazione tra le tessere, l’idea di frontiera, intesa come fascia o zona,

oppure spazio di interazione e di scambio (ma anche di distinzione), ci favorisce nell’elaborazione

di un’immagine più dinamica, più reale, per esempio di un’area come il Medio Oriente in quanto

area culturale.

Nell’interazione tra le diverse etnie che ci viene descritta, Barth evoca una dinamica di scambio,

grazie alla quale avviene l’attraversamento del confine. Questa dinamica va intesa come una

situazione in cui fenomeni come l’ibridazione, il meticciamento, il sincretismo sono non solo

possibili, ma necessari. Il confine lo si attraversa oppure no, e nel momento stesso in ci lo si

attraversa se ne ribadisce l’esistenza. Barth finisce in qualche modo per esagerare il confine,

esagerando così la cultura. Il contatto tra culture, per quante ibridazioni, meticciamenti e sincretismi

produca, è sempre inscritto in rapporti di forza e di dominazione.

Etnografia. Confini identitari: i pathan (pashtun) dello Swat, Pakistan nord-occidentale

I pathan studiati da Barth alla fine degli anni cinquanta offrono un ottimo esempio di gruppo etnico

in contatto con altri da cui lo separano confini determinati, confini che, pur essendo continuamente

ribaditi, consentono varie forme di attraversamento e, quindi, di cambiamento di identità.

Nonostante vi siano differenze tra i gruppi che occupano aree diverse, tutti i pathan si differenziano

come tali da altre comunità ed essi selezionano alcuni tratti della propria cultura per definire la

propria identità: la discendenza patrilineare, la religione musulmana sunnita, la consuetudine pathan

che contempla il sentimento di autonomia e di uguaglianza tra tutti gli uomini adulti. La nozione di

izzat (onore) è legata presso i pathan al concetto di ospitalità (melmastia), all’istituzione della

assemblearità (jirga) e all’usanza di escludere le donne dalla sfera pubblica (parda). Questi però

sono valori ampiamenti riscontrabili presso anche i gruppi provvisti di altra identità, ad esempio i

baluch. Il fattore critico della differenza tra pathan e baluch va cercato nella struttura politica.

Quella baluch è una società gerarchizzata, dove ogni segmento sociale è in realtà un nucleo

semplicemente parentale, non un nucleo politico autonomo. Non c’è nulla inoltre che tra i baluch

assomigli alla jirga dei pathan: la società baluch ha dunque la possibilità di assorbire individui

attraverso un rapporto di tipo clientelare, questo tra i pathan non è possibile. Nelle aree di contatto

tra baluch e pathan avviene che mentre i capi baluch fanno di tutto per avere sotto di sé il numero

più alto possibile di clienti, i capi pathan li allontanano. Succede allora che mentre individui pathan

sono incorporati nella struttura baluch, non vi sono baluch incorporati in quella pathan. Un vero

pathan non perderebbe mai il proprio onore e quindi la propria autonomia e indipendenza

mettendosi al servizio di chicchessia. Per un pathan ciò equivarrebbe ad un fallimento, per un

baluch no perché il fatto di mettersi alle dipendenze di un capo non pregiudica il sistema dei valori

baluch. Quando un individuo passa dalla struttura pathan a quella baluch si ha dunque un

cambiamento dell’identità etnica. È insomma l’adesione ad una o all’altra delle due strutture

politiche che determina l’identità e che mantiene il confine, cioè la distinzione tra due gruppi

riconoscibili come tali in virtù di tratti distintivi che vengono selezionati: la componente dell’izzat e

la struttura politica.

Etnografia. Etnicità ritualizzata ed etnicità confusa: l’enclave di Melilla

Melilla fu il primo centro in terra africana occupato dai cristiani che tentarono l’espansione in

Nordafrica. Dal punto di vista delle autorità centrali, tanto spagnole che marocchine, Melilla è stata,

e in parte è ancora oggi, al centro di una netta divisione tra due continenti, due religioni, due

culture. Ma nella realtà della vita quotidiana questa frontiera ha costituito più una zona

d’interazione che di divisione vera e propria. Se il giuramento della bandiera riafferma

periodicamente il dominio politico della comunità ispanico-cattolica, è perché questo dominio ha

bisogno di essere riaffermato. Dagli anni sessanta gli ispano-cattolici hanno avvertito con sofferenza

la crescente pressione esercitata sia dal governo marocchino sia dalla popolazione musulmana

dell’enclave, affinché la città tornasse sotto la sovranità della monarchia locale. Un altro rituale è il

culto dei cimiteri che si presenta come un potente meccanismo simbolico per rimanere legati ad un

passato caratterizzato da una forte attenzione nei confronti della comunità spagnola di Melilla. Il

culto dei cimiteri sarebbe infatti una risposta alternativa all’emigrazione in Spagna di molti

melillensi. C’è anche l’agasajar che significa offrire un banchetto e usare rispetto e attenzioni nei

riguardi dell’ospite: esso è offerto da chiunque voglia promuovere a scopo di prestigio sociale

un’interazione con individui appartenenti agli altri gruppi etnici di Melilla (l’agasajar riguarda

soltanto le fasce abbienti della comunità locale). Se si scende nella scala sociale i rapporti interetnici

ritualizzati scompaiono, così come al gradino più basso della gerarchia sociale melillense le

differenze di comportamento e di espressività che sono distintive dei diversi gruppi etnici tendono

ad attenuarsi. La distinzione etnica più rilevante che è possibile riscontrare di solito a Melilla, quella

tra cristiani spagnoli e musulmani arabi, è collassata in una forma standard di comportamento, sia

verbale che fisico.

6. Politiche dell’identità e strategie del riconoscimento

L’impressione è che in un mondo sottoposto all’azione del rullo compressore dell’industrialismo

capitalista molte differenze culturali spariranno. Forse sarebbe meglio dire che le culture umane

tenderanno ad acquisire sempre più tratti simili. Gli Usa costituiscono un ottimo esempio di come i

meno avvantaggiati sul piano economico e politico possano identificarsi con un gruppo sostenendo

di essere stati discriminati per ragione storiche. In questo modo essi affermeranno la loro

appartenenza ad un gruppo uguale agli altri gruppi etnici: si è diversi sì ma si è diversi esattamente

come gli altri. Mentre la classe sociale rinvia ad un ordine verticale, stratificato, il gruppo etnico si

presenta come qualcosa che,

Dettagli
A.A. 2017-2018
24 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessandro.lora-1993 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Favole Adriano.