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DIRITTO ALLA RISERVATEZZA.
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INTERESSE AL REGOLARE FUNZIONAMENTO DELLA GIUSTIZIA, allude all’opera di
• bilanciamento fra l’esigenza di una corretta informazione sulle vicende giudiziarie e quello di non
compromettere i procedimenti in corso a causa di una fuga di notizie. Al fine di non recare
pregiudizio, il c.p.p. individua una serie di atti per i quali sussiste un divieto di pubblicazione.
INTERESSE ALLA SICUREZZA DELLO STATO, si trova alla base di quelle disposizioni del c.p.
• che puniscono la rilevazione di segreti di Stato e di notizie di cui sia vietata la divulgazione da
parte dell’Autorità. La disciplina più garantita è sicuramente quella del segreto di Stato, che copre
atti, documenti, notizie, attività e ogni altra cosa la cui diffusione è idonea a recare danno
all’integrità della Repubblica, alla difesa delle istituzioni, all’indipendenza dello stato rispetto ad
altri e alla preparazione e difesa militare dello Stato. In generale, pubblici ufficiali, pubblici
impiegati e incaricati di pubblico servizio hanno l’obbligo di non riferire riguardo a fatti coperti di
segreto di Stato, e in particolare hanno l’obbligo di astenersi dal testimoniare in giudizio. Il
giudice in questo caso dichiara il non doversi procedere ed è vieta ogni acquisizione e
utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto. Si potrà avere accesso alle
informazioni decorsi 15 anni, termine soggetto a possibile proroga da parte del Presidente del
Consiglio ma in ogni caso non superiore a 30 anni.
Altri segreti che fungono da limite alla libera manifestazione del pensiero sono i segreti
professionali e il segreto d’ufficio.
Va invece escluso dal novero dei limiti all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero
l’ORDINE PUBBLICO, anche se si tratta di una tesi mai accettata dalla Corte costituzionale, la
quale vi ha spesso fatto riferimento facendo sopravvivere le fattispecie criminose fasciste.
Parimenti da rigettare è il tema dell’esistenza di limiti impliciti, che non trova alcun aggancio in
Costituzione né nei lavori preparatori.
LA STAMPA
La nuova disciplina dettata dall’art 21 sulla libertà di stampa imponeva, innanzitutto, una bonifica
della legislazione fascista, che in questo campo era intervenuto con particolare incisività al fine di
delineare un sistema allineato agli indirizzi politici del regime. Una delle riforme più importanti
arriva con il dlgs 561/1946, il quale si occupa di ridisciplinare lo strumento del sequestro: non solo
vengono abolite le ipotesi di sequestro preventivo, riducendolo a mero strumento repressivo e
attivabile solo dal giudice, ma anche limitano il ricorso ad esso ai soli casi di sentenza di condanna
irrevocabile per accertata commissione di un reato a mezzo stampa. Il potere di sequestro in capo
all’autorità di pubblica sicurezza permane in due sole ipotesi, ossia in relazione agli stampati che
violino il limite del buon costume o della propaganda di mezzi anticoncezionali, ma anche in questi
casi si tratta di un provvedimento strettamente legato all’accertamento giudiziale dell’effettiva
sussistenza di specifiche responsabilità penali. Si tratta di una normativa tuttora in vigore, ad
eccezione della parte relativa alla propaganda anticoncezionale, a cui si aggiunge il potere del
giudice di procedere al sequestro di stampati il cui contenuti si configuri quale apologia al
fascismo.
Già all’indomani dell’approvazione della Costituzione, in linea con quanto espresso dalla XVII
disposizione transitoria della stessa si mise mano al varo di una legge sulla stampa. La ristrettezza
dei tempi portò, tuttavia, all’approvazione di un solo stralcio dell’originario disegno della l 47/1948,
in sé complessa ed articolata, tagliando fuori, tra l’altro, sia il tema della responsabilità per i reati a
mezzo stampa e la loro riforma, sia quello della definizione delle modalità di pubblicazione delle
fonti di finanziamento delle imprese editoriali. Una novità rilevante fu operata nei confronti della
stampa periodica, per la quale si aboliva l’autorizzazione prefettizia che veniva sostituita con un
semplice obbligo di registrazione delle testate presso l’autorità giudiziaria, a sua volta subordinata
alla consegna di una serie di documenti. Nonostante l’evidente abbandono di ogni intento
censorio, il timore che tale previsione potesse trasformarsi in un meccanismo di indebolito controllo
sulle imprese editoriali portò all’adozione di una formula testuale che sottolineasse il mero fine
certificato del meccanismo della registrazione. Tra l’altro, la violazione delle norme sulla
registrazione è considerata delitto, e per tanto suscettibile di determinare un provvedimento di
sequestro. Per quanto riguarda invece la natura e l’estensione della responsabilità del diretto
responsabile, qui intervenne la Corte dando un’interpretazione adescatrice della responsabilità
oggettiva prevista: sostenne che andava intessa quale responsabilità legata al mancato esercizio
della funzione di controllo, che veniva meno in caso di fatto fortuito o forza maggiore. Con riguardo
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alle fattispecie dei reati a mezzo stampa, la legge non operò alcuna revisione organica e
rimangono quindi in vigore gran parte delle fattispecie penali pre-costituzionali, molte delle quali di
dubbia legittimità.
Tuttavia, le modifiche introdotte dalla l 47/1948 non erano di per sé sufficienti a depurare la
legislazione vigente dagli elementi autoritari introdotti dal fascismo, in quanto rimaneva
sostanzialmente inalterata la legislazione di pubblica sicurezza del t.u.l.p.s. del 1931 e la disciplina
codicistica dei reati a mezzo stampa. Sui due versanti, le uniche vere novità che is registrarono
furono dovuti ad interventi della Corte costituzionale. Come è stata eliminata l’istituto del sequestro
di stampati contenti propaganda di mezzi anticoncezionali, stessa fine è toccato alle licenze di
polizia relative all’affissione degli stampati; ma è rimasto a lungo in vigore l’istituto
dell’autorizzazione all’esercizio dell’arte tipografica, ritenuto conforme al dettato costituzionale. Le
novità sono ancora meno significative per quanto riguarda i reati a etto stampa, in quanto
l’intervento del giudice costituzionale risulta molto prudente su questo versante; è per questo
motivo che la disciplina ereditata dal fascismo è uscita largamente indenne dall’esame di
conformità costituzionale. In generale, la Corte si è mostrata più incline ad un’interpretazione
adeguatrice della disciplina piuttosto che ad una rigorosa verifica di conformità con l’art 21, e sul
punto è intervenuta solo parzialmente la legislazione più recente, attraverso la depenalizzazione di
alcune fattispecie.
Un secondo settore importante di intervento legislativo è stato quella della disciplina dell’Ordine e
dell’Albo dei giornalisti, per cui si trattava di riformare la disciplina che ne aveva fatto strumenti di
controllo politico dei professionisti dell’informazione stampata. A ciò ha provveduto la l 69/1963. La
nuova disciplina mantiene l’obbligo di iscrizione all’Albo per esercitare l’attività di giornalisti, ma
non prevede più alcun requisito di carattere politico, unicamente requisiti di addestramento
professionale. Ne affida la tenuta all’Ordine dei giornalisti, a cui compete l’esercizio del potere
disciplinare nei confronti dei singoli. In particolare, saranno passibili di essere sottoposti a
procedimento disciplinare colo i quali si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla
dignità professionali, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell’ordine.
Anche la neo-riformata disciplina ha suscitato dubbi di legittimità costituzionale, in quanto ritenuta
nel suo complesso in contrasto con l’art 21 che assicura a tutti la libertà di manifestazione del
pensiero, con ogni mezzo, e in quanto alcuni aspetti configurano forme illegittime di controllo
sull’esercizio della libertà. Rispetto al primo profilo, la Corte ha rigettato i dubbi di legittimità
sostenendo che la disciplina è volta a disciplinare unicamente una specifica attività professionale,
di cui è anche un elemento di tutela dovendosi ritenere l’istituzione di un ordine e di un albo
professionali uno strumento volto a rafforzare la posizione del singolo giornalista. E in questo
modo ha anche risolto in senso positivo il problema della conformità dell’Albo e dell’Ordine,
negando in via generale che siano ad essi concessi poteri discrezionali così ampi da costituire
un’inammissibile restrizione del diritto di accesso di tutto all’esercizio dell’attività giornalistica o
un’indebita interferenza nel libero esercizio dell’attività da parte degli iscritti. Permangono tuttavia
numerose perplessità in dottrina, che hanno letto nelle sentenze della Corte un’eccessiva forzatura
del dettato costituzionale.
- DIRITTI E DOVERI DEI GIORNALISTI
I diritti consistono sostanzialmente nella libertà di informazione e di critica, osservando le norme di
legge poste a tutela della personalità altrui, mentre i doveri si riferiscono all’obbligo inderogabile di
rispettare la verità sostanziale dei fatti secondo il principio di lealtà e di buona fede, all’obbligo di
rettificare le notizie che risultino inesatte e di riparare agli eventuali errori, all’obbligo di rispettare il
segreto professionale sulla fonte delle notizie quando sia richiesto dal carattere fiduciario delle
stesse. Di queste, solo l’obbligo di rettifica ha trovato concreti svolgimenti normativi, mentre la
restante parte della disciplina è più spesso entrata in rotta di collisione con altre disposizioni
legislative e prassi giurisprudenziali. Un primo esempio è l’esercizio del diritto di informazione e di
critica nel quadro dei rapporti interni all’impresa giornalistica, dove le uniche garanzie concrete
sono le “clausole di coscienza”, le quali consentono al giornalista che non condivida il mutamento
di linea editoriale del periodico in cui lavora di sciogliere unilateralmente il rapporto, senza perdita
dell’indennità di fine rapporto. Ad eccezione di ciò, permane un assetto complessivo delle relazioni
interaziendali che denuncia chiaramente le condizioni di forte squilibrio esistente fra la posizione
dell’editore , del direttore responsabile e dei singoli giornalisti. Secondariamente si può pensare
alla mancata ridefinizione legislativa degli esatti confini del diritto di cronaca, con particolare
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