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La reazione alla privazione di libertà e all’imporsi di giustizie da parte dei movimenti civili
e associativi ha reso possibile costituire servizi e strutture destinate a migliorare
l’istruzione, combattere le malattie, depotenziare il razzismo, regolare la cultura sociale
verso la disabilità, presidiare il valore dell’ambiente e affermare le ragioni della parità. La
rivendicazione sociale e l’adattamento di linguaggi e prassi amministrative hanno
permesso di trovare punti di incontro sostenibili tra bisogni generalizzati e dinamiche
produttive ed economiche.
2. Il fattore P
La comunicazione accompagna le relazioni affettive, commerciali e di potere, veicolando
conoscenze, approfondendo identità e generando immagine, ma anche distorcendo
verità, manipolando tradizioni e costruendo false credenze. Essa ha confidato su una
sempre decrescente passività dell’opinione pubblica. L’obiettivo civile delle scienze della
comunicazione consiste nell’affinare criteri di indagine per interpretare tali cambiamenti.
La comunicazione pubblica, nella storia, si è spesso limitata alla forza di impatto di forme
simboliche e relazioni pre-verbali (es.: bandiere alzate al termine delle invasioni),
esercitando una cultura di potere che non prevedeva spiegazioni dei propri atti. Essa non
si attua solo con la volenza, come dimostra l’età moderna, che ha visto inventare forme
di subliminalità anche mediate dall’arte (es.: l’affresco Effetti del Buon Governo di
Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena).
La gestione oligarchica del potere ha usato 3 forme di comunicazione pre-moderne:
unidirezionalità, arbitrarietà e opacità. Si pensi all’araldo, che in Grecia aveva funzioni
militari, a Roma agiva in uffici religiosi e pubblici e nel Medioevo era presente nelle corti
e dai feudatari, per annunciare, gestire e commentare gli eventi popolari, conoscendo la
simbologia di potere e armi. Nel 1800, gli araldi divennero infatti consiglieri giuridici
operanti anche nel campo del cerimoniale, responsabili di far conoscere le norme. Oggi
tali figure sono sostituite da raccomandate, bacheche e siti.
Le forme dittatoriali del ‘900 hanno visto nascere l’accezione negativa di propaganda,
prima considerata un presidio comunicativo di massa teso a organizzare il consenso su
idee e comportamento elettorale. Attribuendo a tale funzione una missione cruciale per il
destino del potere, il potere renderà la propaganda volta a generare riconoscibilità e
fedeltà sulle forme del potere organizzato. I responsabili erano personalità con impianto
culturale e strumenti per comprendere lo scenario complessivo, le problematiche di
adattamento e il percorso strategico da intraprendere. Lo stratega fascista della
comunicazione fu lo stesso Mussolini, supportato da Pavolini nell’opera di censura.
La propaganda al servizio delle democrazie è invece spesso considerata
contropropaganda. Nelle recenti democrazie, si è cercato infatti di basare i sistemi di
governo verso la tecnocrazia, cioè verso presidi decisionali controllati da saperi tecnici
che sappiano gestire la complessità tecnico-scientifica delle decisioni da assumere.
Il funzionamento dei meccanismi della democrazia partecipativa dipende inoltre da
funzioni comunicative come: informazioni agli elettori, accesso alle fonti, sondaggistica,
che hanno via via modificato l’impianto giuridico. La democrazia partecipativa, nelle
parole di Giovanni Moro, è il coinvolgimento delle organizzazioni dei cittadini,
riconoscendo il carattere essenziale e non accidentale dell’attivismo organizzato. In Italia
mancano tuttavia metodo e regolamentazione: coinvolgere i cittadini crea infatti
aspettative, che se deluse generano perdita di credibilità. Al contrario, nel 2013 la
Guardia di Finanza ha smascherato leggi che concedevano fondi pubblici per iniziative di
pubblica utilità poi usati a scopi privatistici. L’amministrazione condivisa necessita quindi
di fiducia ma anche capacità di controllo. La disillusione del popolo ha infatti generato la
crisi delle istituzioni democratiche mondiali, testimoniata dal sempre minore afflusso alle
elezioni.
3. Istituzioni, imprese e cittadini
La conquista del potere avviene con mezzi concreti (armi o denaro) e un uso strategico
della risorsa immateriale della parola, spesso volta a denigrare l’avversario, magnificare
sé stessi, fare promesse in caso di vittoria e ricondurre i partiti al leader per semplificare
visibilità e riconoscibilità, ma anche per creare alleanze. La regia comunicativa svolge
inoltre un ruolo primario in ordine al problema della conservazione del potere, per
fronteggiare l’opposizione, impegnata a sminuire i risultati. L’astensione dimostra che la
realtà del vissuto supera la capacità di creare speranza attraverso la comunicazione
elettorale. Il grosso della spesa in ricerca durante le elezioni va nel marketing di
posizionamento e non nell’analisi di scenario. Castells, in Comunicazione e potere,
definisce infatti il potere come la capacità relazionale che permette a un attore sociale di
influenzare le decisioni di altri, grazie al ruolo giocato dal mito nel target scelto.
Espressione e accoglienza dei bisogni, rivendicazione e tutela dei diritti e confronto su
regole e modalità condivise per il loro cambiamento sono parti di processi comunicativi.
Nella relazione tra comunicazione e sapere intervengono:
• Economia, per la valenza sui principi di organizzazione e sul rendimento;
• Diritto, in quanto regole e procedure sono pre-condizioni dell’agire pubblico;
• Scienze politiche, che spiegano l’approccio alla progettazione di politiche pubbliche;
• Filosofia, che ricostruire il passaggio da astratto a concreto e come il pensiero vi crea
coerenza;
• Statistica e tecnologia, che sorregge ogni ambito di analisi trasversale sull’efficacia
dei processi;
• Storia, in quanto non è possibile fissare regole senza considerare il contesto di
tradizioni presenti;
• Sociologia, poiché l’individuazione e la profilazione dei soggetti nell’agire
comunicativo richiede l’analisi su bisogni individuali e comportamenti collettivi.
i ranking internazionali un tempo articolati sul PIL, oggi ricercano parametri più
complessi e qualitativi, che misurino habitat cognitivi globali che travolgano regole
formative e linguistiche. L’approccio formativo agli operatori che fanno da ponte tra
istituzioni e cittadini sono tipicamente chiusi, anche a causa di un sapere scientifico
assente nelle classi dirigenti, che non hanno quindi gli strumenti di comprensione
necessari al riconoscimento di un vero potere. La cooperazione intergenerazionale, al
contrario, può combinare competenze educative e comunicative.
Il capitalismo vanta la forza dell’ingegno produttivo e legittima il premio a capaci e
meritevoli, mentre il collettivismo sostiene la parità dei punti di partenza tra cittadini.
Entrambi, tuttavia, vedono al centro la battaglia tra corruzione e trasparenza, accentuata
da crisi economica e occupazionale, eccesso fiscale, accesso a servizi e strutture regolato
dal favoritismo. I cardini stessi della comunicazione pubblica, che dovrebbe spiegare
leggi e accompagnare cittadini nell’accesso, sono messi in discussione o ridicolizzati. Da
metà anni ’90, infatti, sono stati avviati sportelli orientati a ridurre l’impatto negativo
della burocrazia sullo svolgimento di prestazioni dovute, ma anche orientamenti pratici e
concreti della comunicazione pubblica dal lato degli operatori e dei fornitori, per
fronteggiare l’insufficienza della cultura del servizio nel settore pubblico.
Il paradigma funzionale della comunicazione per eccellenza è quello che contribuisce a
sanare le ferite di sviluppo diseguale, crisi ed emergenze provocate dalla natura. La
solidarietà nasce quindi per iniziativa della società, laica o religiosa, per compensare
l’insufficienza della pubblica amministrazione. Il trattamento riservato ai cittadini è
diventato un fattore molto incidente sulla reputazione dei paesi, quanto condizioni
economiche e tutela ambientale. Istituzioni e associazionismo di settore hanno infatti
cercato criteri condivisi nel rapporto tra bisogni e risorse, per vincere la battaglia delle
nazioni e dei territori per attrattività e competitività, generate dalla reputazione.
La tendenza della comunicazione a sostenere funzioni di marketing territoriale e
accoglienza, crea quella che Anholt chiama identità competitiva, ossia il convincimento
della comunità di possedere, nelle proprie tradizioni, gli strumenti per attrarre
investimenti, turisti, intelligenze, attraverso un ben strutturato storytelling.
Il servizio pubblico svolge la funzione di cerniera comunicativa e informativa tra
istituzioni e cittadini:
1. Dal 1924, attraverso l’URI (Unione Radiofonica Italiana),
2. Dal 1927 con l’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche),
3. Dal 1944 la RAI (Radio Audizioni Italiane), diventata nel dopoguerra Rai-
Radiotelevisione Italiana.
La tv compone oggi la parte preponderante del dibattito pubblico nazionale, grazie alla
mediazione professionale di apparati tecnici e creativi organizzati e orientati dal potere
politico. La deontologia professionale è quindi influenzata dal giornalismo pubblico e dal
servizio educativo e culturale, a causa dell’ampia delega alla comunicazione ricevuta da
istituzioni inadeguate. La tv è assieme al cinema la fonte principale dell’immaginario, che
ha offerto una lingua unificante, un accompagnamento educativo e voci e immagini di un
mondo prima solo leggibile. Essa ha tuttavia sempre più inseguito la concorrenza,
rinunciando a gran parte della sua dimensione pedagogica. Ronchey ha coniato inoltre il
termine “lottizzazione”, per segnalare la trasformazione del controllo monopolistico della
Democrazia Cristiana in quello della pluralità di partiti in Parlamento, sebbene si
conservino alcune regole di responsabilità sociale dei contenuti. Mentre l’Italia passa da
fascismo a ricostruzione e democrazia, il sistema radiotelevisivo passa da propaganda a
pedagogia civile, anche grazie alle trasformazioni tecnologiche. Si definirà quindi l’assetto
duopolistico, in cui la gestione della Rai dipenderà spesso fortemente dalla politica. I
costituzionalisti condannano inoltre l’assenza di una norma esplicita sul diritto
all’informazione, che la Corte ha cercato di sanare imponendo un ruolo attivo,
trasparente e pluralistico del servizio pubblico, inquadrando l’informazione tra le attività
di rilevanza pubblica e preminente interesse generale, anche quando esercitata
dall’impresa privata.
3. L’amministrazione come sistema