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LA TRADIZIONE GIURIDICA DEI PAESI NORDICI

Nello studio del diritto comparato o comparazione giuridica lo scontro/incontro, ossia la

contrapposizione

esistente tra civil law e common law è inevitabile. Attenzione, però, a non cadere in errore:

considerare

solo queste due famiglie può essere un grave errore. Certo le varie classificazioni succedutesi

nella storia

non aiutano a capire dove i sistemi nordici (o scandinavi), ossia gli ordinamenti di Svezia,

Norvegia,

Danimarca, Islanda e Finlandia, debbano essere collocati.

Ed in effetti non è sulla collocazione degli ordinamenti nordici che dobbiamo soffermarci,

quanto più sulle ragioni che rendono difficile la loro classificazione.

La suddivisione interna della “famiglia” nordica e la lingua come elemento unificante

La famiglia giuridica nordica è suddivisibile in due sottoinsiemi: il primo definito come

tradizione nordica

“occidentale”, in cui l’ordinamento trainante, rispetto a quello finlandese, è quello svedese; il

secondo

definito come tradizione nordica “orientale”, in cui a farla da padrone è l’ordinamento danese,

rispetto a

quello islandese e norvegese.

Partiamo dalla prima tradizione: fino al 1809 la Finlandia, e con essa il proprio diritto,

semplicemente non

esiste, in quanto figura, sin dal Medioevo, come provincia del Regno di Svezia; le errate scelte

svedesi

durante le guerre napoleoniche, però, portano la Finlandia sotto il controllo russo e da quel

momento essa

viene considerata come granducato, potendo mantenere il proprio diritto, ossia quello svedese,

ma senza

poterlo innovare. Quando nel 1917 arriva finalmente l’indipendenza, il punto di riferimento

giuridico resta

comunque il diritto svedese.

La medesima situazione si ripropone per quanto riguarda la tradizione nordica orientale: la

Norvegia è

regno autonomo nel Medioevo, per poi passare sotto il controllo danese sino al 1814, anno in cui

si unisce

alla Svezia senza però esserne influenzata, per poi divenire indipendente nel 1905 e restare

ancorato al

modello della Danimarca. Per ciò che riguarda l’Islanda, invece, l’influenza danese è ancor più

forte: essa

diventa indipendente solo nel 1944 ed è normalissimo che, dopo un così lungo dominio, si ispiri

in tutto e

per tutto al modello giuridico danese.

Una situazione particolare è quella della Groenlandia e delle Isole Faroer, da sempre legate alla

Danimarca,

ma laboratori di interessanti tentativi di coesistenza tra diritto nordico e diritto tradizionale

popolare.

Un fattore importante è quello linguistico: ognuno di questi Stati gode di una propria lingua

ufficiale, ma le similitudini tra norvegese, svedese e danese permettono una comunicazione,

anche tra giuristi, mentre ciò non vale per islandese e finnico, totalmente diverse.

La tradizione giuridica dei Paesi nordici presenta un carattere comune rispetto alla common law,

ossia la 77

continuità storica degli ordinamenti che la esprimono. Il diritto inglese, infatti, manca di

caratteri

discontinui dall’affermazione dei normanni nel 1066, così come la tradizione nordica si evolve a

partire

dall’unificazione dei regni scandinavi nel XI secolo. Tuttavia, sottolineata la

convergenza, occorre analizzare la divergenza: se in Inghilterra tale continuità è garantita dalle

decisioni

delle corti regie, in Scandinavia si affermano precocemente delle fonti del diritto che potremmo

definire

“legislative”. Particolarmente rilevanti sono le “leggi provinciali” del XIII secolo.

Accanto alle leggi provinciali, poi, figurano le “leggi cittadine”.

Tornando alle leggi provinciali, se esse risentono da un lato delle consuetudini germaniche,

sembrano

essere anche influenzate dal diritto canonico: non è giusta, quindi, l’osservazione degli storici

tedeschi

dell’Ottocento, che vedono nel diritto dei Paesi nordici l’affermazione di antichi principi solo e

solamenti

tedeschi.

Quello che ci interessa osservare, però, è che tutti questi testi normativi non sono scritti in

latino, bensì

nelle lingue nazionali, e riflettono una cultura giuridica che, sebbene influenzata, esprime una

propria

autonomia.

Le leggi medievali di cui abbiamo parlato vengono superate col passare del tempo da testi

normativi

unificati per ognuno dei regni nordici.

Durante il 1600, però, anche tali testi vengono modificati ad opera dei singoli sovrani: si tratta

di opere che non rompono con il passato, ma che tendono ad escludere tutto ciò che risulta

inutile e a reintrodurre quanto è stato preservato e modificato.

Per la loro connessione con la realtà del tempo, tali testi normativi vengono avverti dalla

popolazione come

simboli della cultura nazionale e non permettono al movimento per la codificazione di travolgere

il sistema.

Tale corrispondenza, però, rappresenta, oltre che la fortuna, anche la debolezza di questi testi:

troppo

ancorati alla realtà del tempo e privi di clausole generali che permettano una sopravvivenza nei

secoli, essi

finiranno per essere travolti dai cambiamenti della società.

La “codificazione mancata” in Svezia. Per capire il rapporto tra il movimento per la

codificazione, che dilaga nell’Europa continentale, ed i Paesi nordici, prendiamo in

considerazione l’esempio svedese.

In Svezia, nel 1734, viene promulgato il Rikes lag (la legge del Regno). Negli anni successivi,

però, seguono ad esso una serie di disposizioni integrative, volte ad innovare tale testo. Dopo il

disastro del 1809 si apre un periodo in cui sembra possibile un totale rinnovamento: la Svezia

risente del movimento per la codificazione ed al Riksdag (il Parlamento) vengono presentate

mozioni per l’ammodernamento del Rikes lag e per l’eventuale adozione di un “testo del tutto

nuovo” (praticamente un codice). Le resistenze che una tale proposta incontra non sono poche e

si decide di dar luogo ad una semplice semplificazione, con eventuale miglioramento, della

legislazione vigente. Nel 1811 viene istituita una Commissione per la riforma legislativa,

composta da accademici e giuristi, con il compito di dar luogo ad una proposta di riforma che

78

mantenga la divisione in balkar della legge precedente. Nel 1826 arriva la “Proposta di legge

civile generale”. La proposta viene inviata alla Corte suprema per un parere preventivo e nel

frattempo prende vita un progetto di riforma della legislazione penale, molto incline al

modello francese del Code penal. Qualche anno dopo arriva il parere della Corte suprema, la

quale boccia sotto più punti di vista la Proposta di legge civile del 1826, riscontrando nella stessa

un’eccessiva aderenza a modelli stranieri ed un alto numero di innovazioni, incapaci di essere

attuate all’interno del Paese.

Il parere della Corte ha come effetto un vero e proprio arresto del processo di riforma, poi

ripreso nel 1844

da Oscar I ed abbandonato nuovamente per il forte contrasto conservatore presente in Svezia,

fino a

scomparire del tutto.

L’avvio della cooperazione legislativa nordica. Sino alla metà del XIX secolo, dunque, le riforme

legislative procedono separatamente nei vari Paesi nordici, ma nel 1872 viene fatto un notevole

passo in avanti: si hanno, per la prima volta, gli “incontri nordici dei giuristi” si discute di

problemi comuni ai singoli Paesi ed in cui nasce l’idea di una legislazione uniforme, specie in

materia di cambiale. Attenzione però: non viene creato alcun organo ad hoc per realizzare una

collaborazione nei processi di riforma, né tanto meno vengono stretti trattati internazionali; si

tratta solo ed esclusivamente di una collaborazione tra cancellerie e commissioni governative.

La cooperazione continua sia dopo il primo conflitto mondiale, sia dopo il secondo, arricchendosi

della

partecipazione della Finlandia e di nuove materie sulle quali intervenire.

A partire dagli anni ’70, poi, viene realizzato un particolare modello di welfare state: vengono

introdotte discipline inerenti la protezione del consumatore, l’assistenza legale ai non abbienti,

le unioni di fatto e la tutela dei lavoratori, tutte materie sui cui si legifera con uno spirito

riformatore ed innovatore, anche rispetto al resto d’Europa.

Le peculiarità nordiche nella struttura e nei caratteri della legislazione. Le riforme degli anni

’70 hanno confermato la centralità della legislazione all’interno dei Paesi nordici, avvicinando

gli stessi più alla tradizione di civil law che a quella di common law. Tuttavia, sono presenti

anche notevoli elementi di differenziazione rispetto ai nostri sistemi. Anzitutto la struttura dei

codici scandinavi appare differente.

A contraddistinguere la legislazione recente, poi, vi sono un’elevata qualità linguistica,

comunque vicina ed

accessibile ai laici, così come il frequente uso di clausole generali inerenti criteri di valutazione

abbastanza

indefiniti: pensiamo al richiamo alla “ragionevolezza” secondo cui “ad un fatto x si applica la

conseguenza y, salvo che particolari ragioni non depongano altrimenti”. Vi sono, quindi, una

serie di richiami molto vaghi ed indefiniti, il che però non apre, automaticamente, alla

discrezionalità del giudice e ad un suo ruolo integrativo forte.

Il peso dei lavori preparatori nel sistema delle fonti. I lavori preparatori di una legge assumono

estrema importanza nel sistema delle fonti.

Anzitutto essi rivestono un ruolo chiave al giorno d’oggi nell’interpretazione di un documento

legislativo:

per il giudice, ha acquisito un’importanza tale nella pratica da rendere le corti sempre attente

alla

fase antecedente all’emanazione di una legge; si parla di fonte occulta, in quanto vincolante

nella prassi 79

ma non sotto il profilo formale.

Soffermiamoci un attimo sul rapporto che vi è tra la forza dei lavori preparatori nel sistema

delle fonti e la

tecnica legislativa.

Il legislatore, nonostante si trovi a dover introdurre nuovi principi di diritto o a cristallizzare

quelli derivanti dalla giurisprudenza riesce comunque ad utilizzare un linguaggio comprensibile a

tutti, accessibile al laico.

Al di fuori dei casi più problematici il legislatore degli anni ’70 può contare sulla fedeltà delle

corti a quanto previsto nella fase preparatoria: ciò comporta la creazione di un duplice livello

legislativo, dato che l’inserimento di una norma all’interno del testo approvato o all’interno dei

lavori precedenti all’approvazione finisce con il non sottrarre effettività a quella norma stessa.

Questo particolare funzionamento del sistem

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Publisher
A.A. 2017-2018
93 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/02 Diritto privato comparato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fran_93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Comparazione giuridica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi del Sannio o del prof Casucci Felice.