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LA DATAZIONE

Datare i codici che descrive è un compito cui un catalogatore; poiché una qualche forma di

datazione è ritenuta uno degli elementi essenziali di una qualsivoglia descrizione di un “frammento

del passato” ' ed è ritenuta elemento costitutivo della descrizione codicologica sin da quando essa ha

cominciato ad essere delineata in modo scientifico, e cioè dal secolo xvn.

Datare significa collocare un determinato reperto entro una griglia cronologica divisa per secoli; si

dovrebbe, datare in modo meno largo ed impreciso, secondo periodi più brevi e comunque

storicamente più significativi.

Ma come datare?

Considerazioni --> La copia di un manoscritto deve essere (o meglio non può che essere):

a) posteriore alla data di compilazione del testo che contiene;

b) posteriore all’esemplare da cui è copiato;

c) anteriore alle glosse, note e aggiunte;

d) anteriore all’epoca nota di cessazione dall’uso del tipo di scrittura in cui è scritto;

e) posteriore all’epoca o data di fattura o di primo uso della materia sulla quale è scritto:

 se papiraceo su papiro già adoperato su uno dei due lati, posteriore all’epoca di

scrittura del primo testo;

 se membranaceo e palinsesto, posteriore (per la scrittura superiore) alla datazione

della scrittura inferiore.

Il catalogatore dovrà preoccuparsi di trarre elementi per la datazione non soltanto dalla scrittura e

dall’ ornamentazione del codice, ma da tutti i suoi elementi costitutivi come dal testo e dal suo

aspetto linguistico e ortografico; dalle tecniche di fattura (rigatura e foratura, fa- scicolazione,

legatura), dalle notizie sulla sua storia e sulla sua provenienza.

Indubbiamente il datare una scrittura è parte della scienza paleografica e perciò compito del

paleografo.

Le metodologie adatte a collocare nel tempo scritture formali tipizzate o canonizzate non possono

essere applicate sic et simpliciter per datare anche scritture corsive di ambito usuale-documentario;

che criteri utili a proposito di scritture e di codici altomedievali risultano inapplicabili a prodotti

grafici tardomedievali o rinascimentali, e così via.

Cosa può e deve fare il catalogatore? Lasciati al paleografo l’esame ed il confronto stilistici e

formali della scrittura, egli potrà basarsi su una serie di elementi minori, grafici ed extragrafici, che

pure forniscono criteri di datazione, in quanto assai spesso sono ripetuti dagli scribi

indipendentemente dallo stile di scrittura adoperato e finiscono per avere una validità generale.

Così è, per esempio, per alcune abbreviazioni, come quella per q(uia), formata dalla q e da un

piccolo 2 ad essa accostato sulla destra, adoperata in Italia prevalentemente dopo il 1050; così è per

alcuni usi codicologici, come il richiamo, costituito dall’apposizione della prima parola del

fascicolo seguente nel margine inferiore dell’ultima carta del fascicolo che precede, ecc..

LA LOCALIZZAZIONE

La localizzazione non è indispensabile; non molti cataloghi contengono attribuzioni di codici a

questa o a quell’area territoriale. Il catalogatore può omettere questo dato, o limitarsi a registrarlo

ove nel codice stesso sia espresso ovvero sia stato autorevolmente accertato da ricerche precedenti.

Il problema della localizzazione si pone soltanto per i codici medievali e rinascimentali; e ciò

perché una paleografia dell’età moderna ancora non esiste.

Localizzare un codice significa in sostanza identificarne il luogo o la zona di origine, dove esso è

stato materialmente prodotto come scritto; per origine si intende il luogo o la zona dove il codice è

stato prodotto e scritto, per provenienza si intende l’ultima sede nella quale il codice è stato

conservato prima di raggiungere l’attuale e perciò quella dalla quale in senso proprio proviene.

Nel 1927 Falconer Madan, autore del Summary catalogne della biblioteca di Oxford, consigliava di

basarsi su tre generi di elementi: le abbreviazioni, che hanno spesso aree di diffusione differenziate;

la forma delle lettere; i dati codicologici (materia, struttura, rigatura, numerazione dei fascicoli).

Il Lowe enunciava i principi generali che erano alla base del suo lavoro di censimento di tutti i

manoscritti latini anteriori all’anno 800 e fra questi anche i criteri che guidavano le sue sicure

localizzazioni. Tali criteri erano:

1. il luogo di conservazione;

2. la connessione con persone particolari (committenti, primi possessori);

3. la sottoscrizione degli esecutori (scrivente, o scriventi, miniatori, ecc.);

4. la zona in cui erano state eseguite eventuali correzioni ed aggiunte di poco posteriori

all’età di fattura del codice;

5. il testo con i suoi particolari elementi di contenuto e linguistici;

6. i sintomi più propriamente grafici.

Come comportarsi allora di fronte al problema della localizzazione di un codice? Se si tratta di un

codice latino dei secoli IX-XII, non appartenente alle individuate aree caratterizzate dalle cosiddette

scritture nazionali (insulari, visigotica, beneventana) o da scritture legate a specifiche aree

territoriali (alamannica, retica, romanesca), il catalogatore valuterà il sistema abbreviativo; le

iniziali calligrafiche eseguite con stili e colori differenti nelle varie regioni d’Europa; e più in

generale l’ornamentazione . Se si tratta di un codice di epoca posteriore si avvarrà anche dei dati

ricavabili dalla storia del pezzo, dall’eventuale legatura originale se si tratta di un cartaceo, e se si

tratta, infine, di un codice in volgare, degli indizi di carattere fonetico e lessicale rivelati dall’analisi

linguistica.

Notevole rilievo hanno, nel Quattrocento, le scritture d’apparato: per fare qualche esempio Fuso di

maiuscole con sottili E e M “alla greca” è caratteristico di codici in semigotica ed in umanistica

prodotti nell’Italia padana fra il 1420 e il 1450 all’incirca; inoltre i particolari tipi di rigatura a secco

e i modi di apposizione dei “richiami” permettono di identificare le regioni d’Italia di cui

determinati codici in umanistica sono originari, e così via.

Per quanto riguarda i codici greci medievali, la metodologia della localizzazione è basata sul

riconoscimento di determinati stili grafici e di ornamentazione, che differenziano i manoscritti di

determinate zone dell’Italia meridionale fra loro e rispetto a manoscritti prodotti in altre province

dell’impero bizantino; anche l’analisi applicata allo studio dei diversi generi di rigatura e dei diversi

tipi di carta, potrebbe offrire sussidi per una più corretta localizzazione sia dei manoscritti italioti,

sia di quelli di altra origine.

LA TERMINOLOGIA PALEOGRAFICA E CODICOLOGICA

Per quanto riguarda la definizione delle scritture, alcune delle regole di descrizione in uso

pretendono che tale definizione sia fornita, anche se non indicano in quale modo lo si debba fare.

Inoltre molto spesso le scritture adoperate nei manoscritti, sia greci, sia latini ed in particolare in

quelli tardomedievali. Il catalogatore potrebbe anche decidere di evitare di fornire una qualsiasi

definizione della scrittura. Se invece la si vuole dare, la definizione non deve essere errata o

ambigua, ma abbastanza vicina alla realtà grafica che vuole rappresentare e sia chiaramente

espressa. IL CONTENUTO

Il catalogatore deve perciò risolvere tutti i problemi di identificazione di autori e di testi che

l’incerta bibliografia soprattutto medievale gli presenta di volta in volta nei modi più diversi.

La descrizione del contenuto di un manoscritto, e perciò l’identificazione dei testi che esso

tramanda, sono compiti primari dell’opera di catalogazione. Si tratta di un’esigenza evidente

soprattutto per i manoscritti di età medievale, nei quali la individuazione degli autori dei testi è più

incerta, spesso erronea, molto spesso del tutto assente; ma si tratta di un’esigenza che si presenta

pure per i manoscritti di età moderna. Nei manoscritti medievali frequentissimi sono i casi di

attribuzioni inesatte o di quelle cosiddette “d’autorità”, per cui un trattato o un sermone venivano

sottratti all’autore reale ed attribuiti ad un Padre della Chiesa assai più noto.

Per i testi inesattamente attribuiti il catalogatore li deve restituire ai veri autori, dopo aver compiuto

le indagini bibliografiche del caso: confronto con le edizioni (possibilmente critiche) del Padre cui

l’opera è attribuita; ricerche sulla bibliografia più recente riguardante l’autore presunto; ricerche sui

repertori e sugli incipitari relativi al genere letterario cui l’opera appartiene. Ma molto spesso

l’opera si presenta anonima e il catalogatore non sa riconoscerne l’autore. Egli inizierà allora un'

opera di ricerca, partendo dagli “incipitari”, cioè dalle raccolte di “initia” di opere tardo antiche e

medievali, disposti in ordine alfabetico. Ma spesso tali strumenti non forniscono alcun aiuto: o

perché l’incipit dell’opera in questione in essi manca, o perché nel manoscritto le prime righe o i

primi versi sono assenti o tramandati in forma diversa; onde occorrerà trarre elementi di

identificazione dal testo stesso, cercando parole poco comuni o nomi propri rari, che più facilmente

vengono registrati nei dizionari linguistici con il rinvio alle citazioni che li riguardano; e, infine,

avviare uno studio del testo complessivo dell’opera, per tentare di collocarla nell’ambito del suo

proprio genere letterario e della sua propria epoca e per arrivare finalmente ad attribuirle in tal

modo la paternità.

Analogo, ma in genere assai più semplice da risolvere è il caso del testo manoscritto che al posto

del nome esatto dell’autore rechi un suo pseudonimo; caso che va risolto ricorrendo agli appositi

repertori. Ma autori e titoli vanno anche indicati nella forma più corretta e nella lingua originale

(per gli autori greci si ricorre di solito alla forma latina). Occorrerà dunque pure per questo ricorrere

alle edizioni critiche più recenti o anche a repertori e dizionari biografici che forniscano l’esatta

forma del nome dei singoli autori nella loro lingua originale.

LA DESCRIZIONE ESTERNA

Ai catalogatori viene richiesto di fornire notizie circa la fattura fisica del codice, la sua struttura, le

tecniche impiegate dagli artigiani che lo hanno materialmente composto.

La struttura di un codice consiste nella sua costituzione in più fascicoli, fatti ciascuno di un certo

numero di fogli ripiegati al centro, inseriti l’uno dentro l’altro e cuciti fra loro lungo la piegatura

centrale. Spesso la struttura risulta irregolare o perché t

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A.A. 2019-2020
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/09 Paleografia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nora96_96 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Codicologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Ca' Foscari di Venezia o del prof Eleuteri Paolo.