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Due casi: una delle mie prime psicoterapie

Peter, un giovane psicotico tossicodipendente, ad una delle prime sedute girò il tavolino attorno a cui eravamo seduti, rivolgendo la punta contro la mia pancia mimando di violentarmi. Io, svincolandomi terrorizzato, gli dissi "Quello che stai facendo mi spaventa, ma penso che tu agisca così perché tu stesso devi essere terrorizzato da questi nostri incontri". Lui si calmò e impallidì e fu mio paziente per dieci anni. Quando ebbe più confidenza mi raccontò che era stato sodomizzato nei bagni della comunità dove aveva vissuto.

Il secondo caso è quello di Silvana, adolescente psicotica, appena dimessa da un ricovero ospedaliero per un generale stato confusionale con allucinazioni e idee deliranti di persecuzione contro i familiari ed altri, che secondo lei si erano impossessati dei suoi pensieri e della sua mente. Nelle sedute, Silvana parlava con frasi diverse e contraddittorie che...

Non riuscivo a connettere né riordinare. Io pensavo che avrei voluto uscire dall'astanza, così che libero da tutto questo rumore avrei potuto riconnettere le idee – che avevo bisogno di quiete e silenzio. Lo comunicai a chi controllava l'andamento di questi colloqui di prova ed ella, più ansiosa di me, mi tolse il caso affermando: "Borgogno, tu mi stai dicendo preconsciamente che non vuoi occuparti di questa paziente perché ti allarma troppo e ti confonde". Ne fui sollevato, anche per l'ansietà del supervisore. Poco dopo confidai questa vicenda alla dottoressa Guidi Gagliardi, il supervisore assegnatomi al Servizio di Psicologia Clinica del Paolo Pini di Milano, che fu solidale con me, osservando che con pazienti psicotici molto persecutori e perseguitanti il principale problema è l'"onnipotenza del pensiero", per cui è sempre bene fare con loro un passo indietro e a lato, e attendere con pazienza.Con loro non dobbiamo muoverci come se sapessimo cosa c'è nella loro mente (questa è la loro fantasia) ma all'opposto aspettare e incoraggiarli a dirci loro qualcosa di sé. Altro caso quello della paziente svizzero-tedesca che ebbe su di me un impatto così forte che le dissi al terzo colloquio "per l'atteggiamento che ha nei miei confronti ho l'impressione di trovarmi con una soldatessa della Gestapo che viene qui a torturarmi, ma penso che questa violenza che sento provenire da lei possa essere il problema per cui chiede aiuto". Infatti lei aveva buttato giù dal quinto piano i figli, e ora aveva paura che avrebbe potuto fare lo stesso con il figlio che voleva avere con il nuovo compagno. Piansi ma le promisi che avrei cercato qualcuno che la prendesse in analisi (non io, vista la mia reazione così forte). Un'altra importante esperienza fu quella di una supervisione da parte di Virginia Prosdocimi, di Poldo.un bambino affetto da enuresi. Grazie a lei ho imparato come il sintomo di un bambino possa essere il frutto e la denuncia inconscia di un disagio familiare. Lei mi chiese "Ma tu hai indagato com'è la relazione della madre di Poldo con il marito?" -> grazie all'enuresi Poldo si infilava ogni sera in mezzo a loro nel letto, salvando la madre dalle avances e furie del marito, da cui voleva separarsi. Quando si separarono, l'enuresi sparì. Poldo assisteva alla sottile lotta fra mamma e papà, e il suo sintomo ne era l'espressione: per paura di esserne responsabile, finiva nel loro letto. - In quel momento imparai quanto fosse importante esplorare il familiare e l'atmosfera emotiva in cui il paziente era cresciuto e in cui al presente viveva, apprendendo come le fantasie inconsce pogginosempre su resti-residui di vita che spesso vengono trascurati e non esplorati. 77'/78' con Ferro frequentai i gruppi di supervisione della

Generali Clements, di stampo kleiniano. Fu scuola per apprendere le fondamenta del metodo e i suoi elementi essenziali, da cosa è il setting, esterno e interno, a cosa è il transfert e la sua interpretazione, con attenzione a che cosa accade nella relazione paziente-analista. Diversa dal clima di dissociazione libera che c'era al tempo. Dopo 7/8 anni di scuola ne apparvero i difetti, che ci fecero allontanare:

  • Il paziente ha sempre torto, e a volte anche l'analista, che non era abbastanza analizzato. Ciò portava anche a essere radiati dal gruppo - il che faceva temere di essere i prossimi, o che questiche sparivano non fossero voci e parti proprie che non ricevevano più ascolto;
  • Alcuni kleiniani sembrano non conoscere il "venire da lontano" che è centrale per essere buoni analisti: non ricordano che ogni analista ha avuto un'infanzia e non possono mettersi nei panni dell'altro simpatizzando con le sue difficoltà.
non vedendo gli sforzi per comunicare, ma solo lespinte per attaccare l'analista. Non ricordano dell'importanza di ricevere credito; Per queste ragioni molti del Nord-Ovest hanno abbandonato lo stile kleiniano: io, Ferro, i Meotti: Franca, che introdusse la rilevanza della riparazione del sé mortificato accanto, o prima, a quella dell'oggetto, e Alberto, che ci esortava a scandagliare il transgenerazionale e i suoi mandati nascosti. Anche Vallino, per cui il ritiro può essere un modo per abbozzare i primi rudimenti del sé e del proprio pensiero, e per cui non si può dare per scontato ciò che non è mai esistito, per cui si tratta prima di far sorgere "quel qualcosa" perché sia poi possibile distruggerlo o ripararlo, introducendo nel discorso e nel gioco con i nostri pazienti concetti che essi non parevano conoscere. Gaburri, necessità di accettare la solitudine e di trasgredire per rendere il nostro campo.

d'azionemobile e fertile, richiamando a come sia inevitabile per noi sostare nella posizione schizo-paranoideper giungere in modo autentico al pensiero integrativo che connota la posizione depressiva.

Non tutti i kleiniani sono uguali–Meltzer, non si fondava su ciò che era visibile nel materiale ma sucome tutta la sua persona risuonava ad esso, a volte intuendo reazioni future. L'ultimo Rosenfeld,che aveva modificato il suo approccio al paziente, aumentando la cura del sentiero su cui li si invitaa camminare. Lussana, che sostituì la Generali riuscendo a risanare le ferite di quell'esperienza,promuovendo un'aria di scambio e di incontro, priva del timore di sbagliare.

Un caso, in cui l'apprendimento della risposta emozionale mi è pervenuta in negativo, dopo averrigettato più volte ciò che avevo avvertito con il mio paziente nelle sedute, è quello di Gipo: nelparlare ogni tanto faceva uscire una voce da film horror.

che Gemma afferma di avere il dono della chiaroveggenza grazie al suo spirito guida Cardio.che Gemma ha imparato nella sua vita, è vero che chi si affida agli spiriti non ha fiducia negli umani, ma non si contrapponga a Cardio, ne sia curioso, lo conosca". Ella cambiò – da kleiniana (il paziente sta tentando di sviarla) a qualcos'altro (il paziente ha ragione, le sta dicendo in cosa ha sbagliato): da una psicoanalisi incentrata sul sospetto a una incentrata sul rispetto e riconoscimento del paziente, e dei buoni motivi per cui si comporta in un modo piuttosto che un altro. Era sempre pronta a puntare il dito sulle tue carenze, sulla tua non piena accoglienza (sempre un po' identificata con l'aggressore), ma con una maggiore considerazione della vittima e del candidato. Schietta, ma mai sadica, sapeva chiedere scusa riparando i torti. Giuseppe di Chiara – dava tempo, trasmettendo l'idea che si può aspettare a parlare e interpretare, che lo stare a pensare accanto al paziente e già d'aiuto. Non era il dialogo, il fulcro.ma erano le note di base della sua partitura, i punti nevralgici, gli snodi. Vigile però su cosa immettevi nel discorso (immettere qualcosa è rilevante solo se promuove la comprensione personale del soggetto). Aveva in mente la storia psichica di un rapporto e le sue trasformazioni, mostrandoti come si andava a costruire la relazione analitica, alla luce delle vicende relazionali del pz: il presente non era l'unico focus, ma l'evoluzione, costruzione e promozione del pensiero del pz. Importanza del far credito e della speranza, principali promotori insieme alla pazienza della crescita del soggetto e del pensiero. - Il caso è quello di Guidalberto, disperato per una serie di separazioni e sparizioni di cui non capiva il senso. Spesso egli spariva senza alcuna spiegazione, fui io il bambino e il marito abbandonato. Aveva scarse capacità espressive e verbali, emozioni nulle: Di Chiara fu di conforto nel reggere la disperazione del pz e nel cercare le parole.per farlo ritornare nel mondo dei sentimenti e delle relazioni. Stefania Manfredi Turillazzi non supervisore, ma molto di supporto. Contro tutto ciò prescrittivo, sinonimo di non pensiero, per lei ogni messaggio di contenuto è sempre un messaggio di relazione, per cui ogni semantica è pragmatica e ogni pragmatica è semantica, e un'azione può essere più interpretativa di un'interpretazione, che a sua volta può essere un'azione su cui meditare per comprendere le vicende intrapsichiche del paziente e gli eventi relazionali del suo passato. Non amava focalizzarsi sulla singola seduta, ma sui movimenti relazionali tra le sedute, su ciò che Borgogno chiama il percorso o l'onda lunga dell'analisi. Anche Stefania aveva in mente l'ammalarsi temporaneamente dello stesso male del paziente, tipico mio e di Ferro, o l'uomo a mare di Gaburri, il navigare in mare aperto senza bussole: situazione cheichiede capacità di resistere nell’inermità e nell’indifferenziazione per salvare la barca e ogni passeggero, senza liberarsene per alleggerire il peso. Il l'intrapsichico è interpsichico, intersoggettivo, tr
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Publisher
A.A. 2021-2022
22 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher irislvcia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Clinica psicoanalitica dell'ascolto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Granieri Antonella.