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Il ragionamento clinico dimensionale funziona dal generale al singolare, essa formula

regole e modelli sul caso singolo e specifico. Una sensibilità nei confronti di questa logica può

favorire l’incontro con la singolarità, la specificità e l’unicità di una persona.

Utilizzo proprio di una teoria psicopatologica e problema della condivisibilità

I concetti e le teorie possono essere più o meno generali e più o meno condivise. Il lavoro di

elaborazione teorica, di ricerca, di validazione scientifica deve trovare quei livelli di bassa

astrazione che permettano una formulazione del caso comprensibile anche a chi non condivida i

fondamenti di quella teoria, favorendo la condivisibilità del caso tra i clinici.

Un compito della teoria è quello di sviluppare un linguaggio che permetta una buona

condivisibilità con chi si riconosce in paradigmi teorici differenti.

2.4. Linguistica pragmatica e conoscenza della psicopatologia ai livelli impliciti e procedurali

Il presupposto teorico della pragmatica è che le parole e il discorso sono azioni (speech acts), gesti

discorsivi. Wittgenstein afferma che per sapere cosa significa una parola bisogna studiare i luoghi e

i modi nei quali la parola viene usata. La comunicazione viene studiata nel suo contesto pratico:

riguarda la comprensione del discorso in situazioni concrete, le conoscenze e i contenuti scambianti

che avvengono a vari livelli in base al contesto. Le parole assumono il proprio significato nello

scambio interpersonale e contribuiscono a definire gli stessi ruoli dei parlanti, talvolta cambiando le

loro identità sociali. ! 7

Trasferendo il discorso nella clinica, le unità di analisi privilegiate diventano la relazione e

l’interazione. Come la costruzione dei significati delle parole è un processo continuo che avviene

dell’intersoggettività, anche il processo di valutazione psicopatologica è un processo continuo e

intersoggettivo. La valutazione diagnostica inizia fin dal primo contatto e avviene insieme al

paziente. Il clinico valuta qualcosa che prende forma all’interno dell’incontro. Il clinico mette in

gioco le sue valutazioni, ha un effetto sul paziente e tale effetto è compreso nella valutazione: la

diagnosi comprende la patologia ma anche la relazione in corso.

Anche questa logica è un modo che la nostra mente ha di conoscere gli altri mentre facciamo

qualcosa insieme a loro: tale potenzialità è presente fin dall’inizio della vita e costruisce nella mente

rappresentazioni presimboliche (enactive relational representations) che strutturano il livello

implicito della mente. La conoscenza che il clinico si costruisce è una conoscenza “dell’altro in

interazione con lui” (implicit relational knowing), e non è immediatamente traducibile in

rappresentazioni dichiarative.

Il ragionamento clinico retto da logiche semantiche dà un inquadramento sindromico e un

eventuale classificazione del disturbo del paziente; quello governato da logiche sintattiche conduce

a un modello delle regole del funzionamento mentale e dell’organizzazione di personalità; la

conoscenza pragmatica ha però notevoli implicazioni per la diagnosi.

Secondo questo punto di vista la patologia del paziente prende corpo e agisce tramite il

dialogo e la relazione (non è qualcosa che il paziente ha!). La dicotomia soggetto osservante-

osservato viene superata. L’oggettività non è soltanto impossibile ma è un processo continuo e

intersoggettivo.

I sintomi possono essere considerati in modo simile a livello descrittivo anche in persone

differenti, ma secondo un’ottica pragmatica i sintomi possono avere significati differenti.

2.5. La logica pragmatica del ragionamento clinico e il suo patrimonio di conoscenze

diagnostiche

Ogni clinico sa che nei primi incontri con il paziente è fondamentale instaurare con lui una

relazione ricettiva. Sa anche che il paziente ha bisogno di sentire che il clinico sta formulando, a

livello implicito, qualcosa che lo riguarda in modo specifico e che facilita il contatto o il cominciare

a parlarsi di questioni intime. Il paziente si deve sentire accolto, conosciuto, pensato. Per costruire

tale relazione il clinico usa sopratutto conoscenze procedurali che costruisce sull’interazione con il

paziente. Se il clinico non è in grado di avviare immediatamente su tale piano un processo

conoscitivo, lo stesso processo diagnostico è in discussione. La conoscenza implicita ha quindi una

piena dignità diagnostica. È necessario quindi che il clinico abbia confidenza con questo livello,

che abbia una formazione teorica e personale (intuito, funzionamento implicito e relazionale ecc.),

specifica per questa logica diagnostica. Dal livello implicito dipende fortemente la competenza

relazionale ed è necessario che il clinico impari ad utilizzare al meglio i livelli non simbolici del

proprio funzionamento. La logica pragmatica è fondamentale nel ragionamento clinico fin dal

! 8

primo incontro con il paziente, anche se è difficile da concepire dal punto di vista teorico (e servono

modelli e teorie per studiare tale logica) è uno strumento prezioso per conoscere il paziente.

2.6. Discussione

Nessuna di queste logiche può comprendere la psicopatologia in modo assoluto e definitivo. È

necessario che i clinici lavorino con i loro pazienti attivando ragionamenti clinici aperti e in

relazione dialettica tra loro, in cerca sempre di migliori punti di vista possibili. I pazienti hanno

bisogno sia di rappresentazioni coerenti delle loro condizioni, sia di un pensiero vivo, disposto a

mettersi in gioco senza troppe certezze. La psicopatologia difficilmente potrà essere compresa in

modo definitivo tramite una via riduzionistica, alla stregua di una malattia come quelle del corpo.

La psicopatologia può essere intesa in senso dimensionale come lo scompenso di

un’organizzazione di personalità e lo slivellamento di un funzionamento mentale. Ma la patologia

riguarda anche i contesti di vita, i sistemi a cui l’individuo appartiene, i modi singolari di entrare in

contatto con tutte le persone per lui significative.

Il ragionamento clinico ci deve far pensare a quello di cui il paziente ha bisogno. Anche se

alcuni pazienti chiedono esplicitamente una diagnosi “Che cosa ho?” , tutti chiedono aiuto.

Capitolo 4 - Il Manuale diagnostico psicodinamico (PDM)

4.1. Un manuale diagnostico psicoanalitico

Il PDM è stato pubblicato negli USA nel 2006 e concepisce la diagnosi in senso dimensionale,

oltre che categoriale, prestando attenzione alla singolarità del paziente, per individuare la sua

patologia ma anche le sue risorse. Gli obiettivi del PDM sono giungere a una comprensione

complessiva e articolata del funzionamento mentale del singolo, utile alla formulazione dei casi e

la progettazione di interventi su misura. L’impianto teorico del PDM si basa sulle evidenze

empiriche delle ricerche nel campo delle neuroscienze, negli esiti dei trattamenti, e altri studi

finalizzati alla operazionalizzazione dei costrutti psicoanalitici e la loro misurazione.

Il PDM propone una diagnosi dimensionale articolata in tre macro-dimensioni:

- Asse P: configurazioni di personalità sane e disturbate

- Asse M: profili individuali del funzionamento mentale

- Asse S: pattern sintomatici e l’esperienza soggettiva che di essi fanno i pazienti

Nonostante un’apparente somiglianza alla struttura “multiassiale” del DSM, i tre Assi del PDM non

hanno somiglianza con il DSM, in quanto il manuale non è da intendere nel ragionamento clinico

categoriale-nosografico, ma dimensionale. Il termine Asse, indica una prospettiva osservativa della

realtà del paziente che va sempre integrata con altre dimensioni per la formulazione clinica della

diagnosi. Il PDM non è volto ad affermare la presenza/assenza malattia, o a classificare i disturbi in

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contenitori differenti, ma propone una molteplicità di prospettive osservative (sintomi, personalità,

funzionamento mentale ecc.) e una loro integrazione in un profilo diagnostico del paziente che

risulta ricco di informazioni per formulare un trattamento. Il processo diagnostico diventa

un’operazione conoscitiva sostenuta in modo sistematico dal manuale stesso.

4.2. PSM e DSM: spunti per un breve confronto

- mentre il DSM è una tassonomia di patologie psichiche, il PDM è orientato alla comprensione

del funzionamento del singolo individuo. La diagnosi psichica è differente da quella che riguarda

il corpo, perché è un processo di conoscenza di molteplici dimensioni.

- il DSM è ateorico ed evita attribuzioni di significato ai sintomi; il PDM cerca la

comprensione funzionale ed eziologica che sono alla base della diagnosi e del trattamento (e si

colloca nella cornice teorica psicoanalitica);

- Il DSM utilizza delle soglie di cut-off, e include a volte le condizioni di comorbidità (due

problemi che si presentano insieme); il DSM è retto dall’idea che i problemi psichici siano

malattie analoghe a quelle somatiche, cagionate da disfunzioni biologiche le cui eziologie sono

da considerare in larga parte sconosciute.

- nel DSM la diagnosi è multiassiale, categoriale e politetica (sindromi sono intese come

categorie presenti/assenti, reciprocamente indipendenti e definite da un numero minimo di

criteri); nel PDM la diagnosi è multiassiale, multidimensionale e prototipica, in quanto cerca

di prendere in considerazione sia le sindromi cliniche sia l’esperienza soggettiva del paziente

(insieme al profilo del funzionamento mentale, lo stile di personalità, le sue basi strutturali e la

sua funzionalità globale nel contesto di vita).

- DSM si è posto per fini epidemiologici o il trattamento psicofarmacologico; il PDM è pensato

invece per la formulazione del caso e la pianificazione del trattamento psicoterapeutico.

4.3. Breve descrizione dell’impostazione del PDM

PDM si articola in tre sezioni:

1. Classificazione dei disturbi mentali degli adulti

2. Classificazione de disturbi mentali di bambini e adolescenti + Classificazione dei disturbi mentali e dello sviluppo

di neonati e bambini piccoli

3. Basi concettuali ed empiriche per una classificazione psicodinamica dei disturbi mentali (principali contributi

teorici e metodologici che sono alla base del sistema diagnostico proposto)

4.4 La valutazione della personalità (prima macro-dimensione: Asse P)

La personalità è un insieme di pattern relativamente stabili di pensare, sentire, comportarsi e

mettersi in relazione con gli altri. In questo asse ci sono due prospettive osservative: una che

presenta 15 configurazioni e disturbi di personalità (costruito su categorie da usare come prototipi

modello) e un’altra che ipotizza tre livelli di organizzazione di personalit&agr

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
38 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Mad_Cupcake di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Clinica dell'attaccamento e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Albasi Cesare.