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RELAZIONALE E I MOID
Capitolo 5 - Le origini del concetto di dissociazione e il fondamento della
prospettiva relazionale sulla dissociazione nel pensiero di Ferenczi
5.1. Introduzione
Molte definizioni della letteratura clinica definiscono la dissociazione come la perdita della
capacità di integrare o associare informazioni e significati delle esperienze vissute in modo
mediamente prevedibile.
Sul piano descrittivo, la dissociazione non è un processo sempre patologico: brevi
esperienze di stati alterati della coscienza e del senso di Sé sono rintracciabili in alcuni ambiti
quotidiani (automatismi, sport estremo, assunzione sostanze, rapporti sessuali, realtà virtuali al
computer o televisione). Come costrutto teorico invece vi sono vari punti di vista (visti dopo!).
Trauma e problemi di attaccamento sono in vario modo collegati alla dissociazione.
Alcune ricerche mettono in connessione anche trauma, dissociazione e alterazioni biologiche
(alcune ricerche mostrano che fallimenti nel legame di attaccamento, portano al mancato sviluppo
delle aree cerebrali deputate alla regolazione stress, affetti e adattamento a un ambiente che cambia
velocemente). ! 21
Nell’ambito teorico della psicoanalisi relazionale statunitense, il concetto di dissociazione
non viene usato solo per indicare i sintomi classificati nel DSM, ma i processi dissociativi sono
visti come essenziali per articolare la strutture della soggettività: sono fondamentali funzioni
costitutive della molteplicità essenziale della mente umana, che possono anche essere utilizzate
per far fronte a situazioni traumatiche. Per riflettere cosa significa che i processi dissociativi siano
presenti nell’esperienza della molteplicità umana, si può pensare al fatto che noi uomini abbiamo un
senso di coerenza interna e di continuità nell’esperienza di noi stessi, ma allo stesso modo, sempre
nel quotidiano, ci capita di sentirci “persone diverse”, a seconda delle persone con cui siamo, del
luogo in cui ci troviamo o dell’esperienza che stiamo facendo. Questa esperienza della molteplicità
è anche dettata dai contesti e dal ruolo che nelle diverse relazioni interpersonali dobbiamo
assumere.
La mente abbraccia una confederazione di entità psichiche. La nostra soggettività è
molteplice. Esistono molti centri di creazione del significato dell’esperienza, a volte in relazione tra
loro a volte non connessi (dissociati) che possono dare vita a conflitti interni. La nostra mente
contiene quindi multiple versioni di Sé e l’identità funziona come struttura di sintesi
sovrastante. Non ci sono quindi nuclei permanenti del Sé (o un aspetto privilegiato dell’identità): la
costituzione di ogni soggetto è un sistema idiosincratico di processi che sono costruiti di continuo. I
processi dissociativi concorrono ad organizzare la soggettività in ambiti di significato distinti.
Se i confini tra questi ambiti si irrigidiscono, i processi dissociativi possono dare vita a
sintomi/psicopatologie gravi, sia creando a un primo livello un’impossibilità di comunicazione tra
diversi significati della propria esperienza di Sé, sia a un secondo livello impedendo l’accesso di
significati troppo angoscianti, che rimangono primitivi e isolati da altri aspetti del funzionamento
mentale.
La psicopatologia dissociativa è quindi l’esito distorto di processi che sono presenti anche
nel funzionamento fisiologico della mente umana, ma che degenerano in disturbi: sono quindi
un’esagerazione patologica di processi di base del funzionamento mentale presenti fin dalla
nascita.
Seguendo la linea dei pensieri di Ferenczi, possiamo dire che l’integrazione tra processi
dissociativi e processi integrativi viene persa per la profonda distorsione della relazione di
attaccamento, che avrebbe il compito di favorire il controbilanciamento tra questi processi
differenti. La fisiologica molteplicità dell’essere umano, mediata anche dai processi dissociativi,
andrebbe quindi contenuta attraverso il riconoscimento operato dal caregiver.
5.2. Gli “Studi sull’isteria” di Freud e Breuer (1892)
La dissociazione è un argomento di cui Freud si è occupato sopratutto negli Studi sull’isteria
(1892). Nella sua ottica il paziente ha una sofferenza psicopatologica nevrotica quando nella sua
mente vi è un intenso conflitto che non permette soluzioni. Si attivano così le difese (rimozione): il
contenuto sgradito che crea conflitto viene sospinto nell’inconscio, generando però il sintomo. ! 22
Il modello di apparato psichico a cui fa riferimento Freud (presente nell’Interpretazione
dei sogni, 1899), vede la mente umana come un’unità complessiva, con gradi progressivi di accesso
dei contenuti mentali alla coscienza (inconscio-preconscio-coscienza), regolati dalle difese dell’Io.
Negli Studi sull’isteria, scritti insieme a Breuer, Freud usa il concetto di dissociazione per
comprendere la patologia dei pazienti isterici. Egli vede una netta distinzione tra gli stati di
coscienza vigile e quelli di trance indotti dall’ipnosi (non ricordano cosa era avvenuto nello stato
ipnotico). Ipotizza quindi che la dissociazione di questi due stati di coscienza sia alla base
dell’isteria e che essa rappresenti una forma rudimentale di personalità multipla.
In particolare ciò che predispone alla malattia isterica è il “l’abituale sognare a occhi aperti,
che pone il fondamento della dissociazione”.
Secondo Freud quindi, nell’isteria la coscienza si organizza in gruppi di contenuti mentali
che non sono fra loro connessi, dando vita allo stato ipnoide.
Freud, considera alla base dell’isteria la dissociazione come fattore importante, ma sostiene
anche che la scissione della coscienza avviene per un atto intenzionale, e che non hanno peso i
traumi subiti dalla persona (dal 1897 considererà fantasie i ricordi di traumi infantili che riportano
i pazienti).
In seguito infatti vedrà i sintomi legati alla soddisfazione di un desiderio di origine
pulsionale, non conseguenti a una mancata risposta dall’ambiente a un bisogno fondamentale
dell’individuo. Tale visione portò la comunità clinica lontano dal modello della mente basato sulla
dissociazione, che enfatizzava la molteplicità degli stati di sé e l’importanza dell’ambiente ecc. e la
portò verso un modello basato sulla rimozione e il conflitto intrapsichico.
5.3. La teoria di Pierre Janet (1889)
Janet è il primo a studiare la dissociazione come processo di risposta della mente al trauma.
Secondo Janet, attraverso la dissociazione, le emozioni, i pensieri, le cognizioni connesse al trauma
diventano “idee fisse subconsce”, ovvero memorie collocate in una coscienza separata da quella
ordinaria, a causa dell’impossibilità di trovarvi un senso; tali idee continuano a influenzare la vita
del soggetto restando invariate.
I traumi appartengono alla sfera di ciò che è stato sperimentato soggettivamente e interiorizzato ma
che non può essere riconosciuto a causa dell’intensità dell’esperienza, della sua durata e
ripetitività. A seconda di queste caratteristiche infatti cambia il grado di disintegrazione della
coscienza. La severità della psicopatologia è determinata dalla forza della reazione emotiva al
trauma: più è forte l’intensità emotiva, più la persona fa fatica ad elaborare concettualmente il
trauma e a immagazzinarlo in memoria.
Anzi, immagazzinamento e categorizzazione non sono attuabili: le esperienze traumatiche
non sono integrati, è impossibilitata la sintesi personale, che alla fine è ciò che permette all’uomo
di adattarsi al suo ambiente. Ciò significa che il soggetto non sarà in grado di raccontare la
! 23
storia del trauma subito, né di integrare la storia del trauma nella sua storia di vita (incapacità di
raccontare = impossibilità di prenderne coscienza).
Secondo Janet, a causa dell’impossibilità di integrare il trauma, si perde la possibilità di
assimilare nuove esperienze e l’evoluzione della vita di tali soggetti sembra bloccarsi.
Per tale autore la dissociazione è sempre patologica.
Dissociazione e psicopatologia:
I sintomi che seguono il trauma possono essere per Janet sia somatici che psicologici. La
psicopatologia non emerge subito dopo il trauma, c’è sempre un periodo di latenza. Il soggetto
cerca di dimenticare l’episodio e la persona si trova impossibilitata a costruire una memoria
narrativa dell’evento: ciò porta a una fobia della memoria, che impedisce l’integrazione
dell’evento traumatico. Quello che accade è invece che il ricordo viene dissociato.
Finché le memorie traumatiche non saranno narrate continueranno ad essere intrusive
(ad agire nel soggetto con percezioni paurose, preoccupazioni ossessive, rivivere trauma, ansia,
abulia, sintomi relativi al sistema endocrino, respiratorio, cardiovascolare e digerente ecc.) Il
trauma infatti continua a ripetersi in questi soggetti nella speranza di cambiarne l’esito.
5.4. Il contributo di Sàndor Ferenczi: origini e fondamenti di una comprensione
psicoanalitica del trauma e della dissociazione
Ferenczi fu un grande innovatore poiché si concentrò anche sulla natura potenzialmente traumatica
del fallimento adulto nel comprendere i significati del mondo psicologico del bambino: ha
importanza anche ciò che accade nella relazione, nel contesto di crescita, dell’intersoggettività.
Inoltre Ferenczi afferma che la psicoterapia psicoanalitica non può essere una sorta di
introspezione guidata del paziente. Con il concetto di “ritmo”, di necessità di adattarsi al paziente,
di smarrire anche a volte i confini dell’individualità per poi ritrovarli, dà vita a un vivo pensiero
intersoggettivo. Ferenczi è infatti interessato a studiare i processi reciproci che sono all’opera
nella costruzione della relazione intersoggettiva. In sintesi, i due temi principali (che ci
interessano in questa sede) nella sua opera sono: la reciprocità della relazione terapeutica (che
vedremo nei capitoli dopo) e il concetto di dissociazione (da lui chiamato “metafora della
frammentazione”).
Dissociazione e molteplicità:
Secondo Ferenczi l’ambiente che accoglie il bambino segna in modo fondamentale la nascita
psicologica dell’individuo.
Ferenczi inizialmente ipotizzava un concetto di inconscio molto vicino a quello descritto da
Freud (insieme di frammenti pulsionali esplosivi e disorganizzati); nonostante ciò Freud elaborerà
poi il concetto di rimozione come modello di difesa prototipico, mentre Ferenczi svilupper&a