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Sé viene mantenuta e non è possibile abbandonarla senza l’aiuto di una persona che in relazione

con noi riesca a riconoscerla. Infatti, quando in terapia si affaccia l’ombra di una disregolazione,

il paziente farà ricorso alla dissociazione, determinando un cambiamento simmetrico anche nello

stato del Sé del terapeuta (enactment).

• Cause: tali stati diventano dissociati quando la persona è molto giovane ma in generale ciò si

verifica quando si fa l’esperienza di essere invalidati come “reali” nella mente di qualcun altro

significativo/genitore > non riconoscimento. Per preservare il legame con il genitore e

proteggere la stabilità mentale la mente innesca la dissociazione per aggirare la

disorganizzazione, erigendo categorie separate di diverse esperienze di Sé. Il desiderio del

bambino di comunicare la sua esperienza soggettiva a un altro viene corrotto, viene infuso di

vergogna, perché l’altro non riconosce l’esperienza del bambino come legittimamente pensabile.

Dissociando una parte di sé originariamente sentita come reale, l’individuo inizia a dubitare

della propria legittimità come persona, sia della realtà che della sua esperienza interna: da

adulto convive con la sensazione che è successo qualcosa di cattivo, ma non è organizzato come

pensiero, resta un fantasma affettivo.

• Differenza tra dissociazione e rimozione: la rimozione si riferisce a un processo volto a negare

un contenuto mentale che può portare a un conflitto intrapsichico. Quando però il conflitto è

insostenibile si verifica la dissociazione. La dissociazione è intrinsecamente non conflittuale: ha

a che fare con il paradosso estremo.

Enactment:

• L’enactment è un processo di comunicazione diadico inconscio che riflette quelle aree

dell’esperienza di sé del paziente in cui il trauma ha compromesso la capacità di regolazione

affettiva e quindi lo sviluppo del Sé a livello dell’elaborazione simbolica attraverso pensiero e

linguaggio. In tale processo analista e paziente si legano con una modalità dissociata di

relazionarsi, ognuno in uno stato non-me responsivo a quello dell’altro. L’analista deve

“sopravvivere alla confusione” affettiva e tener duro. È attraverso il coinvolgimento personale

(e la condivisione di come ognuno si sente nella relazione) che il non-me può essere elaborato

simbolicamente.

• Come avviene? Quello di cui fa esperienza l’analista è un “barcollare e aggrapparsi”: per un

certo periodo di tempo l’analista perde i suoi punti di riferimento/non riesce a restare sintonizzato

emotivamente con il paziente e non è in grado di riflettere su quello di cui sta facendo esperienza.

Non riesce neanche a trovare un modo utile di relazionarsi con il paziente nel qui e ora perché la

mente altrui è sentita come non familiare. Il processo clinico perde vitalità senza che il terapeuta

se ne accorga. Per il terapeuta diventa sempre più difficile concentrarsi. Quindi si dissocia e si

disconnette dal paziente e si rivolge alla libreria dentro alla sua mente. Si crea così un bozzolo

dissociativo condiviso (spesso tale processo ha inizio nel paziente). Il terapeuta non si rende

conto consciamente di ciò perché i suoi stati del Sé cambiamo dissociativamente dopo quelli del

paziente, così che il cambiamento non è percepito fino a che non si fa evidente la presenza di un

disagio, una destabilizzazione dei processi mentali dell’analista (che testimonia un cambiamento

negli stati del Sé). La dissociazione altera l’esperienza percettiva e prosciuga il contesto

interpersonale di significato, scollegando la mente dalla percezione riflessiva dell’esperienza.

• In terapia oltre a comunicare verbalmente, vi è una “conversazione tra sistemi limbici” che

avviene tra paziente e terapeuta. Nel caso dell’enactment è una conversazione tra sistemi nervosi

limbici e autonomi destri.

Psicoterapia:

• Quello che si va a cercare dal terapeuta è una riparazione della legittimità del diritto di

esistere come più che un oggetto nella mente altrui. Spesso è il desiderio di liberarsi dalla

sensazione di essere posseduto a portare queste persone finalmente in terapia. È difficile infatti

che tali persone cerchino aiuto, perché una parte di loro sa che la relazione con il terapeuta può

mettere a rischio il loro sistema protettivo.

• Se il clinico cerca di comprendere il problema del paziente usando l’interpretazione dei

contenuti dichiarativi, usando un linguaggio del conflitto, non può far altro che rendere il

paziente ancora più confuso, perché si ostina a cercare qualcosa che è nascosto nel paziente,

mentre in realtà si deve lavorare su qualcosa che è assente. Per questo è necessario qualcosa in

più del solo uso dell’interpretazione: è necessaria la relazione nel qui e ora (perché i MOID

operano a livello implicito).

• La Teoria della Regolazione di Shore, sostiene che il meccanismo di cambiamento relazionale

insito nell’alleanza terapeutica avviene non attraverso il cervello sinistro del terapeuta,

consegnando interpretazioni di contenuto all’emisfero destro del paziente, ma attraverso un

processo reciproco e bidirezionale di comunicazione e regolazione tra emisferi destri (una

“conversazione tra sistemi limbici”).

• Bisogna creare uno spazio mentale condiviso (co-creando un inconscio relazionale che

appartiene a entrambe le persone e a nessuno dei due) in condizioni sicure ma non troppo: deve

esserci una relazione che consente di rivivere il doloroso del trauma, ma senza che questa diventi

una ripetizione cieca del passato (per questo il terapeuta deve esprimere un continuo interesse per

la sicurezza affettiva del paziente e l’impegno verso l’importanza dell’inevitabile rivivere

doloroso). Bisogna far sì che l’enactment diventi contesto per la crescita di qualcosa di nuovo

che non era anticipato “una sorpresa sicura”; la dissociazione automatica può così essere

abbandonata e ognuno può riflettere sulla mente dell’altro che fa esperienza della propria.

• Tutto ciò può essere fatto solo se l’analista è sintonizzato momento-per-momento nella

relazione, senza evitare collisioni tra le soggettività e negoziando insieme significati: è la co-

creazione di significati ristabilisce l’integrità di essere uomini. Inoltre è importante la

spontaneità e l’onestà affettiva da parte dell’analista: i pazienti sentono in maniera continua lo

sforzo di essere con loro e ciò è comunicato attraverso il legame.

• Il focus di attenzione del terapeuta deve essere volto ai cambiamenti degli stati della mente /

impatto che la persona che parla ha su di sé (non sul contenuto), che vengono percepiti come

la consapevolezza di un fastidio. Un coinvolgimento attivo con i cambiamenti negli stati del Sé

(con la condivisione da parte dell’analista di quello che sta avvenendo/sentendo) permette a ogni

partner di coinvolgersi in un incontro percettivo con i suoi stati non-me, in un processo che

potrebbe essere chiamato “colmare il vuoto dissociativo”. Con tale processo, condividendo i

propri stati, si può creare uno spazio condiviso con un linguaggio verbale co-creato, dove

l’immediato ricorso alla dissociazione diminuisce, consentendo alla mente del paziente di

sostenere un maggior sviluppo dell’intersoggettività e del sostenimento del conflitto interno.

• Un’emozione che prova spesso il paziente è la vergogna. Il desiderio di comunicare in qualche

modo questo “fantasma affettivo” diventa fonte di vergogna. Il paziente prova una doppia

vergogna: la prima fonte proviene dal credere che quello che si sente non sarà considerato reale

dagli altri; la seconda deriva dalla paura di perdere l’attaccamento degli altri. Inoltre il paziente

prova vergogna a causa del piccolo evento che ha riacceso la vergogna legata al trauma. È quindi

importante scovare la vergogna in terapia, perché il paziente vive la propria verità sospettando

comunque che essa sia una bugia, un’esagerazione, non è sicuro se sia reale o inventato.

• Un’altra situazione frequente può riguardare dopo una seduta produttiva il presentarsi di uno

stato oppositivo del paziente. Ciò accade perché in seduta si presenta quel Sé che era

precedentemente dissociato: ora questo non-me è arrabbiato perché si è sentito messo da parte

dall’analista come se non avesse alcun valore. Ciò che accade è che quando il sistema protettivo

viene attenuato da un momento di autoriflessività, i Sé-difensori della stabilità affettiva si

adirano.

• Il paziente può sperimentare la capacità di essere solo (Winnicott), di sentirsi integro, un

momento in cui la gioia viene vissuta senza preoccuparsi del fatto che verrà sottratta; un

momento in cui non deve mettere da parte degli aspetti di sé. Se prova tutto questo può voler dire

che il paziente è impegnato in un processo di risimbolizzazione cognitiva del Sé. Questa nuova

capacità è connessa a un’accresciuta capacità di elaborare e regolare gli affetti potenzialmente

traumatici.

• Il processo di espansione dell’esperienza di sé di un paziente non si basa sulla scoperta di

verità assolute, ma sulla realtà di due esseri umani che co-creano una capacità sempre maggiore

di spontaneità. La realtà e la verità non sono qualcosa di “assoluto”: quello che chiamiamo verità

dipenderà da quale parte del Sé ha accesso alla coscienza in quel momento.

• Centrale è l’aumento della competenza nella regolazione degli stati affettivi: un terapeuta

sintonizzato sul paziente consente a quest’ultimo di ri-esperire gli affetti disregolati in dosi

affettivamente tollerabili nel contesto di un ambiente sicuro, così da imparare a regolarli e

integrarli nella vita emotiva, senza ricorrere automaticamente alla dissociazione. Il paziente non

viene ri-traumatizzato perché ora è presente anche nel dolore qualcuno di premuroso,

autoriflessivo e coinvolto. Inoltre è importante sviluppare l’autoriflessione e scongelare la

mentalizzazione. L’obiettivo della terapia è aiutare le persone a stare negli spazi, a favorire il

passaggio dalla dipendenza dalla protezione della dissociazione alla capacità di percepire il

conflitto interno come qualcosa di sostenibile (bisogna ar

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
6 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Mad_Cupcake di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Clinica dell'attaccamento e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Albasi Cesare.