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Pixar: un modello industriale unico
Pixar è quella di fare in modo che i propri prodotti diventino un vero e proprio standard in grado di agire al livello dei modelli mentali di un pubblico generalizzato. La decisione presa nel 2015 di rendere disponibile gratuitamente una versione completa di RenderMan grazie a una nuova licenza non commerciale va esattamente in questa direzione. Chiunque, in pratica, oggi può scaricare dal sito della casa madre una copia del software che può essere usato senza limiti per ricerca, educazione, valutazione e per lo sviluppo di qualsiasi progetto personale che non generi profitti. Tutto questo dimostra come la Pixar intenda imporsi quale modello industriale del tutto unico e dell'identità composita, confermando una volta di più di non poter essere considerata solo uno studio d'animazione come tanti, ma da subito un organismo complesso e articolato che si regge su più modelli produttivi intrecciati. 6. Monoliti, memorie e "loghi".comuni»La prima Pixar non è ancora uno studio lanciato a posizionarsi in un ruolo strategico nel mercato dellaproduzione audiovisiva ma vuole essere soprattutto un’azienda produttrice di sistemi integrati di hardwaree software con l’ambizione di radicarsi profondamente nelle abitudini delle persone. Di questa missioneviene investito il Pixar Imagine Computer, l’unità hardware che Jobs eredita dalla Lucasfilm nel 1986.La costosa macchina è l’oggetto da cui il fondatore di Apple si aspetta arrivino i maggiori ricevi e intende→destinarlo al mercato di massa. A motivare Jobs è un’idea (che risulterà vincente) quella per cui la genteGiulia Zaffinosarebbe andata pazza per il trattamento digitale delle immagini e la modellazione 3D, grazie ai qualichiunque avrebbe potuto esprimere la sua creatività e il suo talento».→A caratterizzare il dispositivo particolare design: il Pixar Image Computer o PIC
È un cubo il Pixar ImageComputer o PIC è un cubo di colore grigio antracite e l'apparenza è quella di un blocco di granito la cui faccia principale è rappresentata da un quadrato smussato con un cerchio incavato e la scritta PIXAR. Il design semplice è frutto della mente di John Lasseter. Egli può essere stato influenzato dai computer Apple, soprattutto dal Macintish 128, ugualmente caratterizzato da un involucro compatto ed essenziale. Non mancano comunque delle differenze tra le due tipologia di prodotti: - Le macchine della Apple sono blocchi integrati comprendenti anche lo schermo; - Il PIC prevede un monitor separato. Inoltre, quest'ultimo si caratterizza per una forma dai contorni meno arrotondati e soprattutto per quel colore scuro storicamente avversato da Jobs. → PIC perfetto esempio di quel "look industriale pesante fatto tutto di nero, nero, nero, nero" che il fondatore di Apple rifugge contrapponendovi i suoi.«prodotti high-tech essenziali […] chiari e puri eonesti», salvo poi seguire la medesima strada quando immetterà sul mercato nel 1990 un computer (ilNeXTcube) molto simile al PIC sia per forma che per colore.
Quanto evidenziato dimostra che il PIC dal punto di vista di una storia culturale della tecnologiainformatica costituisce un interessante caso, soprattutto se messo in relazione con gli sviluppi futuri dellaPixar. Va considerato per la sua «capacità narrativa», ancora una volta cioè per l’immaginario che esso è ingrado di evocare con il suo design. Non stupisce quindi che la sua natura di oggetto in qualche modomisterioso abbia portato taluni a scomodare addirittura il monolite di 2001: Odissea nello spazio (StanleyKubrick, 1968). Dall’apparenza a suo modo aliena anche il PIC potrebbe infatti rappresentare l’«epifania diun’alta tecnologia», una sorta di nuova «pietra filosofale».
Capace di tutto stoccare e tutto contenere". In quel "cubo" sarebbero già contenuti in nuce l'immaginario e la filosofia della Pixar come studio d'animazione che punterà tutto su un'intelligenza artificiale intesa quale garante e catalizzatore di una memoria per i posteri. Al di là del fallimento commerciale, è interessante come la Pixar di allora si configuri già quale caso unico di laboratorio di sperimentazione congiuntamente sul piano dell'immaginario e su quello dei modelli di produzione industriale. Sono anni cruciali in cui la compagnia comincia a elaborare i vari elementi che andranno a costituire il suo brand. Tra le varie testimonianze sulla genesi del suo nome, quella di uno dei protagonisti, Catmull, restituisce con maggiore chiarezza gli immaginari che i fondatori della compagnia volevano racchiudere in quell'unica, secca, parola. "Pixar" sarebbe nato durante una cena del 1981.
come sintesi di pixer e radar, termini suggeriti rispettivamente da Alvy Ray Smith e Loren Carpenter. Se per Carpenter radar poteva funzionare per l'impressione high tech che restituiva; Smith immaginava una parola che assomigliasse a un verso spagnolo, di qui la sua proposta di pixer che, in un falso spagnolo, avrebbe dovuto significare "fare immagini" (to make pictures). Già a livello del suo nome, dunque, la Pixar racconta un sincretismo, un compositing tra elementi eterogenei provenienti da retroterra culturali diversi: - Da un lato quello tecnologico e militare da cui tutto nasce: la parola radar viene infatti coniata nel 1940 dalla marina militare degli Stati Uniti; - Dall'altro canto c'è un suono che a sua volta si radica in un vissuto personale profondamente americano, quello del profondo sud degli Stati Uniti, terra di fusione tra tradizione e culture eterogenee e quindi luogo di per sé meticcio, ma anche orizzonte.desertico che chiamanuovamente in causa il problema dell'orientamento rispetto a un'origine e a una meta. Giulia Zaffino Questo nome verrà rapidamente associato all'attuale, celebre logo della società, rappresentato dall'altrettanto famosa lampada da studio L-1 dell'azienda norvegese Luxo, disegnata da Jacob Jacobsen nel 1937, cui John Lasseter si ispira per il cortometraggio Luxo Jr. realizzato dalla Pixar proprio nell'anno della sua fondazione. È un oggetto retro che, grazie ai prodigi della tecnologia digitale, ritrova letteralmente una nuova vita. La breve animazione che introduce ciascuna produzione dello studio, oltre a essere diventata un vero e proprio feticcio per molti suoi fan, si configura così come ideale sintesi del mito fondativo di questa società individuabile nella fusione tra creatività e tecnologia, incarnate paradigmaticamente in un oggetto dall'affascinante design che, richiamandocontemporaneamente passato e futuro, guarda verso il pubblico proiettandovi la sua luce...
7. Un modello eccezionale
I nove anni (1986-1995) che intercorrono tra la fondazione della Pixar e l'uscita del suo primo lungometraggio rappresentano un periodo di fondamentali ricerche e formidabili sperimentazioni che si concretizzano nella realizzazione di brevi film e una serie molto nutrita di spot commerciali.
Tali produzioni avrebbero dovuto funzionare da spot pubblicitari per gli stessi software e hardware impiegati. Se tuttavia i programmi di rendering vi giocano un ruolo essenziale, il PIC viene invece utilizzato per uno solo cortometraggio Il sogno di Red (John Lasseter, 1987).
La Disney, dal canto suo, intuisce immediatamente il potenziale commerciale insito in tali prodotti, esperta com'è di modelli economici fondati sul media franchise. Nasce così l'iniziale idea di espandere uno di quei corti, Tin Toy, in uno speciale televisivo per Natale e quindi, con
L'accordo stipulato nel 1991, la decisione da parte della Disney di passare direttamente alla produzione di lungometraggi computerizzati appaltandone esternamente alla Pixar la realizzazione (si tratterà di Toy Story, A Bug's Life e Toy Story 2. Woody e Buzz alla riscossa, diretto nel 1999 da John Lasseter, Lee Unkrich e Ash Brannon).
Il colosso di Burbank dimostra così di voler cominciare a fare i conti col digitale anche nell'ambito dell'animazione. Solo nel 2005 deciderà di avvalersi dell'informatica per forgiare in proprio il suo primo film di animazione computerizzata 3D Chicken Little (Mark Dindal), il quale, insieme al successivo I Robinson (Stephen J. Anderson, 2007), modo, sarà un insuccesso proprio in quanto tentativo "di uscire dai tipici schemi disneyani, e di provare a sporcarsi le mani con prodotti più adulti [...] "provando a fare la Pixar" senza veramente capire quali fossero le.
qualità della casa rivale, e saccheggiandone soltanto gli elementi superficiali".
Tra alti e bassi, la relazione a distanza tra Disney e Pixar dura fino al 2006, quando la prima acquisisce la seconda per l'ingente cifra di 7,4 miliardi di dollari, dando avvio a una colossale operazione di assorbimento, che riguarderà anche la Marvel e la Lucasfilm.
A differenza di questi ultimi due marchi, tuttavia, la Pixar diventa un vero e proprio centro strategico, come dimostrano le posizioni chiave ivi ricoperte tutt'ora da Catmull e Lasseter (presidente e direttore creativo).
Scelta che si è rivelata vincente visti gli ottimi risultati ottenuti al botteghino, a partire dal 2006:
- Rapunzel - L'intreccio della torre (Nathan Greno e Byron Howard, 2010)
- Frozen - Il regno di ghiaccio (Chris Buck e Jennifer Lee, 2013)
- Ralph Spaccatutto (Rich Moore, 2012)
- Big Hero 6 (Don Hall e Chris Williams, 2014)
- Zootropolis (Byron Howard e Rich Moore, 2016)
Oceania (Ron Clements e John Musker, 2016). Tutti prodotti pervasi da un vero e proprio processo di «pixerizzazione» consistente nella messa a frutto del know how dello studio di Emeryville, ossia del suo peculiare sistema creativo e produttivo.
Dal canto suo, la Pixar ha costantemente voluto difendere e rimarcare la sua natura eccezionale attraverso una serie di scelte dal forte valore simbolico mirate a indicare le profonde differenze tra la sua filosofia e la mentalità, lo stile aziendale, il tipo di relazioni vigenti a Hollywood.
Ed Catmull, in qualità di vertice degli studi d’animazione Disney e Pixar, ha evitato di confondere i secondi con i primi, come dimostrano alcuni punti nel contratto del 2006:
- Lasciare ben distinto il logo della Pixar dal marchio della Disney nella presentazione del film
- Mantenere separati i team e le sedi dei due studi.
L’apporto della Pixar all’attuale industria dell’intrattenimento sembra un
«concorso esterno», di una«collusione» solo parziale vista la costante necessità da parte di Catmull e soci di rimarcare in ognioccasione uno sta