Anteprima
Vedrai una selezione di 5 pagine su 18
Riassunto esame Art and media curatorship, Prof. De Simone, libro consigliato Art Power, Groys Pag. 1 Riassunto esame Art and media curatorship, Prof. De Simone, libro consigliato Art Power, Groys Pag. 2
Anteprima di 5 pagg. su 18.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Art and media curatorship, Prof. De Simone, libro consigliato Art Power, Groys Pag. 6
Anteprima di 5 pagg. su 18.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Art and media curatorship, Prof. De Simone, libro consigliato Art Power, Groys Pag. 11
Anteprima di 5 pagg. su 18.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Art and media curatorship, Prof. De Simone, libro consigliato Art Power, Groys Pag. 16
1 su 18
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Il ruolo controverso del curatore d'arte

Curatore d'arte, e questo porta inevitabilmente alla loro relativizzazione. Gli artisti moderni cominciarono quindi a condannare i curatori, perché la figura del curatore veniva percepita come l'incarnazione del lato oscuro pericoloso, iconoclasta della pratica espositiva: i musei cominciarono ad essere regolarmente paragonati ai cimiteri e curatori ai becchini. Grazie a questi insulti (travestiti da critica istituzionale) gli artisti hanno portato il pubblico generico dalla loro parte, la gente non conosceva tutta la storia dell'arte, né voleva ascoltarla. Al pubblico importa solo trovarsi direttamente a confronto con le singole opere, all'impatto senza mediazioni. Il pubblico crede fermamente nel significato autonomo della singola opera, che si pensa si riveli ai suoi occhi. Qualsiasi mediazione e curatoriale è vista con sospetto: il curatore è visto come qualcuno che sta tra l'opera e lo spettatore, un manipolatore della percezione.

Dello spettatore che vuole togliere il potere al pubblico. Per il pubblico, il mercato dell'arte è più godibile del museo. Le opere che circolano sul mercato sono selezionate, decontestualizzate, non curate: così esse hanno apparentemente la possibilità di dimostrare il loro valore intrinseco. Di conseguenza il mercato dell'arte è un esempio estremo di ciò che Marx ha definito feticismo della merce, intendendo il credo nel valore intrinseco di un oggetto, essendo il valore di una delle sue qualità caratterizzanti.

Ha avuto così un periodo di degradazione e sventura per i curatori: l'età moderna. La miglior curatela è l'assenza di curatela, la non cura. Da questa prospettiva, la cosa migliore sembra essere quella di lasciare l'opera da sola, permettendo allo spettatore di confrontarsi direttamente con essa. Ciò nonostante, neanche il rinnovato white cube funziona sufficientemente bene a tale scopo.

Allo spettatore viene spesso suggerito di astrarsi totalmente dal contesto spaziale circostante l'opera e di immergersi totalmente in una contemplazione che neghi se stessa e il mondo. Solo a queste condizioni, cioè, al di là di qualsiasi curatela, si può ritenere l'incontro con l'opera d'arte come autentico e sinceramente riuscito.

Giorgio Agamben scrive: "l'immagine è un essere, e la sua essenza sta nel suo aspetto, visibilità e apparenza". Tuttavia questa definizione dell'essenza di un'opera d'arte non basta a garantire la visibilità di un'opera materiale. Un'opera, infatti, non può presentare se stessa in virtù della sua stessa definizione costringendo lo spettatore alla contemplazione; non possiede la vitalità, l'energia e la salute necessarie. L'opera d'arte sembra sinceramente malata e indifesa, lo spettatore va guidato all'opera come

l’infermiere che accompagna un visitatore a vedere un paziente è costretto a letto. Non è una coincidenza che la parola “curatore” sia legata etimologicamente al termine “cura”. La curatela è una cura. Il processo curatoriale cura la mancanza di potere dell’immagine, la sua incapacità ad auto presentarsi. L’opera d’arte ha bisogno di un aiuto esterno, ha bisogno di una mostra e un curatore per essere visibile. La medicina che fa apparire sana l’immagine malata, che fa letteralmente apparire l’immagine, e lo fa nella miglior luce, è la mostra. La pratica curatoriale è anche una minaccia per l’iconofilia, poiché il suo artificio medico non può essere nascosto del tutto allo spettatore. La curatela rimane quindi involontariamente iconoclasta anche se è programmaticamente iconofila. L’attività curatoriale, infatti, ha la funzione di integratore o.

“farmaco ” (Derrida ), in quanto cura l’immagine anche quando la fa ammalare.Al pari dell’arte, la cura non può evitare di essere al tempo stesso iconofila e iconoclasta.Questa affermazione implica una domanda: qual è la pratica curatoriale appropriata?Dato che la curatela non può mai essere totalmente occultata, il suo obiettivo principale deve essere lapropria visibilità, la manifestazione esplicita della sua attività. La visibilità della cura tela richiede unasimultanea mobilitazione del suo potenziale iconoclasta. Collocando l’opera d’arte in un ambientecontrollato, insieme ad altri oggetti attentamente selezionati, e soprattutto coinvolgendola in una narrazionespecifica, il curatore compie un’azione iconoclasta. Se questa azione è compiuta in modo sufficientemente5 GIORGIO AGAMBEN (1942): è un filosofo e accademico italiano. Ha scritto diverse opere, che spaziano

dall'estetica alla politica.

6 PHARMAKON: (dagli appunti di Boccali) ne "La farmacia di Platone", Derrida sostiene che il farmaco è un veleno. Curada una parte, nuoce dall'altra (si pensi a tutti gli effetti collaterali riportati dai bugiardini).

7 JACQUES DERRIDA (1930-2004): è stato un filosofo, saggista, accademico ed epistemologo francese.

esplicito, la curatela torna alle sue origini, resistendo alla trasformazione dell'arte in arte-come-religione, ediventa espressione dell'arte-come-ateismo. La feticizzazione dell'arte si sta verificando al di fuori del museo,vale a dire fuori dalla zona dove il curatore di solito esercita la sua autorialità. Le opere oggi non diventanoiconiche grazie al loro allestimento nel museo ma attraverso la circolazione nel mercato e nei mass-media.In queste circostanze, curare un'opera d'arte significa farla ritornare alla storia, la trasformazione da operaautonoma a illustrazione:

un posto nell'arte attraverso un'arte che sia al contempo fedele alla tradizione islamica e aperta all'influenza occidentale. Questo conflitto tra tradizione e innovazione, tra iconoclastia e iconofilia, è il cuore del romanzo di Pamuk. Attraverso le vicende dei personaggi, il romanzo esplora anche temi come l'amore, la gelosia, la religione e la politica. I personaggi sono complessi e sfaccettati, ognuno con le proprie ambizioni, paure e desideri. Il racconto si sviluppa in modo intricato, con numerosi intrecci narrativi e punti di vista diversi. La scrittura di Pamuk è ricca e suggestiva, con una grande attenzione ai dettagli e una profonda conoscenza della storia e della cultura turca. Il romanzo è un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio, che ci porta nella Turchia del XVI secolo e ci fa immergere nella vita e nelle passioni degli artisti e dei personaggi che popolano il libro. "Il mio nome è Rosso" è un romanzo affascinante e coinvolgente, che ci fa riflettere sul potere dell'arte e sulla sua capacità di influenzare e trasformare la realtà. È un libro che ci invita a guardare oltre le apparenze e a scoprire la bellezza e la complessità del mondo che ci circonda.

Un modo per assumere una posizione iconoclasta coerentemente onesta, senza uscire dal territorio dell'arte. Un sultano turco, con una teoria sull'arte che sarebbe effettivamente utile come consiglio per la pratica artistica contemporanea, gli mostra la via: [...] un'illustrazione che non integra una storia, alla fine, diventerà un falso idolo. Dal momento che non si può credere a una storia che non c'è, si comincerà naturalmente a credere nell'immagine stessa. Non ci sarebbe differenza tra questo e il culto degli idoli nella Kaaba, emerso prima che il Nostro Profeta, pace e benedizione a lui, li distruggesse... Se credessi, Dio non voglia, in quello in cui credono questi infedeli, che il Profeta Gesù era anche Dio stesso... solo allora accetterei la rappresentazione dell'umanità nel dettaglio ed esporrei tali immagini. Voi capite che, in quel caso, inizieremmo senza pensarci ad adorare qualsiasi immagine.

Appesa alle pareti, non credete?

Le tendenze e le correnti fortemente iconoclaste si trovavano naturalmente anche nell'Occidente cristiano, in particolare nell'arte moderna del XX secolo. Infatti, l'arte più moderna veniva creata attraverso l'iconoclastia. L'avanguardia, infatti, aveva messo in scena un martirio dell'immagine, che sostituiva il martirio dell'immagine sacra. L'avanguardia sottoponeva la pittura a ogni sorta di tortura, operazione che

8 ORHAN PAMUK (1952): è uno scrittore, accademico e saggista turco. Tra i maggiori romanzieri turchi contemporanei, oltreché il più letto in assoluto (dei suoi romanzi ne sono stati vendute oltre tredici milioni di copie, tradotte in più di sessanta lingue), le sue opere, sospese tra il reale ed il fiabesco, si caratterizzano per sinossi dense ed elaborate, con trame e personaggi complessi e spesso disturbanti, ricchi di colpi di scena e perlopiù incentrati

Sulle complesse tematiche legate alla storica dicotomia Occidente/Oriente e sul conseguente stato di confusione e perdita d'identità nella società turca di ieri e di oggi. È stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 2006.

Richiamava prima di tutto la tortura a cui erano sottoposti i santi raffigurati nei dipinti del Medioevo. L'immagine è quindi (simbolicamente e letteralmente) segata, tagliata, frammentata, perforata, trafitta, trascinata nel fango ed esposta al ridicolo. Gli artisti dell'avanguardia parlavano di demolire la tradizione, rompere le convenzioni, distruggere il patrimonio artistico e sopprimere gli antichi valori. Il gesto iconoclasta è istituito qui come un metodo artistico, non tanto per distruggere le vecchie icone, quanto per produrre nuove immagini, quindi nuove icone e nuovi idoli. L'arte moderna ha tratto molti benefici adottando l'iconoclastia come modo di produzione. Infatti, per tutto

Il periodo modernista ogni volta che un'immagine iconoclasta è stata prodotta, appesa al muro o esposta in una mostra, essa è diventata un idolo. La ragione è chiara: l'arte moderna ha combattuto duramente soprattutto contro l'uso illustrativo dell'immagine e della sua fruizione narrativa. Il risultato di questa lotta illustra la premonizione del sultano. L'arte moderna voleva purificare l'immagine da qualsiasi elemento esterno, per renderla autonoma e autosufficiente, ma così facendo si finiva solo per affermare l'iconofilia dominante. L'iconoclastia è stata subordinata all'iconofilia: il martirio simbolico dell'immagine ha solo rafforzato il nostro credo in essa. Da Magritte in poi, quando si guarda all'immagine di una pipa, sappiamo che non si sta guardando una pipa reale ma rappresentata. La pipa in quanto tale non è lì, non è presente; viene raffigurata perché

assente.Nonostante si sia cosciente di questo, resta l'inclinazione a credere che quando si guarda un'opera d'arte, ci si confronti direttamente e istantaneamente con "l'arte". Si guarda un'opera come se incarnasse l'arte.Con la celebre distinzione tra arte e non-arte si
Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
18 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Eciledda di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Art and media curatorship e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof De Simone Anna Luigia.