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Estratto del documento

La prima spedizione etnografica

quella allo Stretto di Torres del 1898. Si trattò di una spedizione interdisciplinare che comprendeva

al suo interno studiosi di varia formazione appartenenti all’Università di Cambridge, tra cui il biologo

diresse. L’obiettivo della

A. C. Haddon che la promosse e la spedizione era la raccolta di dati e di

informazioni utili a costruire uno studio della vita dei nativi sotto vari punti di vista; diversi metodi

furono sperimentati e messi a punto nel corso della spedizione: raccolta di interviste, di genealogie e

di informazioni etnografiche di varia natura, tra le quali anche fotografie e riprese cinematografiche

relative a rituali e usanze locali. Lo sforzo del fotografo andava nella direzione di evitare ogni

intervento soggettivo, standardizzando il più possibile le scelte raffigurative. A partire da questa

spedizione la fotografia verrà sempre più spesso utilizzata nella ricerca sul campo.

Malinowski realizzerà un numero abbastanza nutrito di fotografie su vari aspetti della cultura delle

isole Trobriand, che sarebbero forse sfuggiti ad un’analisi più tradizionale. Nella sua agenda

antropologica messa a punto in “Argonauti del Pacifico Occidentale” espresse l’esigenza di

(1922)

visivamente quelli che l’autore definisce gli

studiare e documentare imponderabilia della vita reale,

cioè tutte quelle azioni della vita quotidiana le quali rimangono verbalmente inespresse e ineffabili,

e che tuttavia costituiscono una parte importante della reale sostanza della vita sociale. Come

Malinowski altri grandi antropologi si sentirono a loro volta attratti dalla fotografia.

Ricordiamo, ad esempio, E. E. Evans- Pritchardt il quale inserì un certo numero di immagini

suggestive nella trilogia sui Nuer, e C. Lévi-Strauss, il quale pubblicò un volume fotografico intitolato

“Saudades do Brasil” (1994) che raccoglie alcune delle sue fotografie sudamericane.

- Gregory Bateson e Margaret Mead: una ricerca etnovisiva

Quando si conobbero, e si sposarono, M. Mead e G. Bateson avevano già realizzato ciascuno per

conto proprio importanti ricerche sul campo. La Mead era divenuta famosa per le sue ricerche

sull’adolescenza nelle isole Samoa e in Nuova Guinea, mentre Bateson aveva completato sempre in

Nuova Guinea il suo studio su un rituale di travestimento degli Iatmul, il Naven, che sarebbe stato

pubblicato di lì a poco (1936). Qui Bateson mette subito in evidenza una difficoltà di fondo insita nel

lavoro etnografico e soprattutto nella sua interpretazione, ovvero il fatto che la descrizione strutturale

di una società non può esaurire il compito dell’antropologia poiché le culture vanno comprese anche

il loro “ethos”, cioè il retroterra

sulla base di ciò che lui battezzò come emotivo che muove gli attori

sociali. L’ethos emerge in una molteplicità di fattori osservabili nella vita culturale, come ad esempio

nel portamento con cui le persone camminano o si muovono, nello stile del loro atteggiamento

corporeo durante il lavoro o nelle cerimonie, sulle decorazioni del corpo, nelle maschere e nelle danze

con cui i rituali sono costruiti, e in tutti quegli aspetti della vita sociale capaci di veicolare sentimenti

che Bateson significativamente dedica “al dottor A. C. Haddon”, il tentativo

ed emozioni. In Naven,

di cogliere la dimensione emotiva della cultura è affidato almeno in parte alle fotografie. La prima

edizione del libro è infatti corredata da un buon numero di immagini, che rappresentano scene

particolarmente vivaci della vita e dei rituali Iatmul, corredate da lunghe didascalie esplicative.

relativa all’ethos balinese

Negli anni successivi, a Bali, Mead e Bateson intraprenderanno una ricerca,

sistematicamente basata su riprese fotografiche e cinematografiche, finanziata dal comitato per lo

studio della dementia precox, una patologia mentale successivamente classificata come schizofrenia.

(1942) Mead e Bateson cercarono di ricostruire l’ethos dei balinesi così come

In Balinese Character

emergeva dall’osservazione dell’allevamento dei bambini, dei processi di inculturazione, e delle

problematiche di genere. Le tavole di cui il volume è composto presentano ciascuna da cinque a nove

fotografie. L’interpretazione delle immagini e la presentazione delle tesi sarebbero emersi soltanto

dalla scelta del campo fotografico e soprattutto dall’accostamento delle foto sulla tavola. Bateson e

Mead si dedicarono successivamente anche alle riprese cinematografiche e negli anni ’50 M. Mead

decise di editare il materiale cinematografico realizzato con Bateson in una serie di sei brevi film,

ciascuno dei quali affrontava un tema specifico in termini estremamente semplici e divulgativi. Il

titolo fu Character formation in different cultures (nel 1979 venne aggiunto un ultimo film dal

titolo “Learning to Dance in Bali”). Mead montò i filmati, post-sonorizzandoli e accompagnandoli da

un commento esplicativo, letto da lei stessa.

Durante la Seconda guerra mondiale Bateson intraprese anche un tentativo di etnografia a distanza,

di un film di propaganda nazista,

condotta a partire dall’analisi Hitlerjunge Quex (1933), diretto da

H. Steinhoff. Il film non è soltanto il risultato dell’immaginazione individuale di un artista, esso è

anche un mito creato da e per un particolare gruppo umano. Bateson analizza le immagini e il

montaggio del film a partire dalle intenzione comunicative implicite in essi, facendo emergere in

questo modo elementi significativi della cultura che l’ha prodotto. Le immagini in quanto espressioni

dei sentimenti e dell’ethos di una cultura sono miti potenti in grado di veicolare e anche talvolta di

reificare in una simbologia visiva l’insieme dei valori e delle emozioni che caratterizzano un’epoca,

un luogo, una cultura.

Dopo la separazione da M. Mead, Bateson si allontanò definitivamente anche dalla fotografia e dal

cinema mentre la Mead continuerà a occuparsi di questi temi; sarà lei ad aprire infatti i lavori del

congresso dell’American Anthropological Association a Chicago nel 1973.

- Fotografie per la ricerca

Immagini fisse di tipo fotografico ma anche di tipo grafico possono essere utilizzate in varie fasi della

ricerca; esse possono costituire fonti di informazioni che l’antropologo raccoglie e poi interpreta alla

luce dei suoi specifici interessi, e/o mezzi di comunicazione dei risultati.

Realizzare le proprie fotografie di campo e analizzare fotografie scattate da altri costituiscono due

metodi di lavoro piuttosto differenti, tuttavia li accomuna l’esigenza di strumenti teorici capaci di

interpretare e valorizzare le scelte visive operate dagli autori nella percezione, nella conoscenza e

nella comunicazione di un tema antropologico. Tra gli autori che più hanno elaborato un metodo di

indagine quasi esclusivamente fondato sulla fotografia troviamo J. Collier jr. e M. Collier, che hanno

illustrato tale metodo nel volume “Visual Anthropology” (1967).

Essi descrivono la ricerca etnografica in una successione di fasi.

- Una fase preliminare di avvicinamento e familiarizzazione con il terreno. Fotografare il

paesaggio, da prospettive aeree o a lunga distanza, può fornire una quantità pressoché

infinita di informazioni economiche, sociali e culturali. È possibile, con questo tipo di

mappa visiva, farsi una prima idea dell’organizzazione urbanistica di una città o di un

centro, e delle strutture presenti in essi (negozi, attività, distanza tra le case, interazioni

sociali). La fotografia costituisce una tecnica universalmente conosciuta in grado di

costruire una base di dialogo e superare difficoltà di traduzione linguistica e culturale.

- Una seconda fase in cui il tema specifico prescelto per la ricerca viene approfondito. Un

metodo di ricerca visiva proposto a questo punto è quello dell’inventario culturale. Il tipo

di beni contenuti in una casa e la loro disposizione sono rivelatori della cultura materiale,

come anche del livello economico e dello stile di vita della famiglia. Inoltre, gli oggetti

presentano codici estetici e simbolici che esprimono scale di valori, religioni, ideologie.

- Una terza fase di sintesi e presentazione dei risultati. Tecnologie di varia natura possono

essere utilmente studiate con l’ausilio del mezzo fotografico. La fotografia risponde qui a

esigenze analitiche e di documentazione di fenomeni processuali che saranno visivamente

scomposti nei loro procedimenti tecnici per essere più agevolmente studiati

Il metodo proposto dai Collier consente di valorizzare al massimo lo strumento fotografico in

ciascuna di queste tre fasi e quando si osservano e si fotografano le interazioni sociali è importante

conto della successione cronologica degli eventi e del flusso delle azioni, dell’organizzazione

tener

spaziale, della prossemica e della cinesica, della gestualità, delle posture assunte, delle espressioni

quali l’abbigliamento, le

del volto, oltre ai parametri culturali acconciature, le decorazioni del corpo.

- Interpretazione, elicitazione e restituzione

Ogni immagine è passibile di interpretazioni diverse, determinate da specifici convenzioni culturali

che assegnano significati a certe forme e a certi simboli, dalle proiezioni soggettive che ciascuno

effettua di fronte a un’immagine data, dal fuoco posto su alcuni elementi piuttosto che su altri, da

connessioni con il contesto che l’immagine spesso omette ma sottintende. Talune fotografie o film

derivano la loro fortuna dalla polisemicità e talvolta dalla indeterminatezza che li contraddistingue.

Per entrare in contatto con la visione altrui è necessario registrare e mettere a confronto diverse

interpretazioni delle immagini raccolte. Questa esperienza può essere ottenuta attraverso una tecnica

di elicitazione basata sistematicamente sulle fotografie e sulle sequenze cinematografiche che

possono essere utilizzare per suscitare commenti, ricordi, discussioni durante interviste semi-

strutturate che consentono di cogliere il significato attribuito dall’informatore a un elemento dato.

Si è sviluppato fin dagli anni settanta un dibattito sulla restituzione delle immagini antropologiche ai

soggetti fotografati e filmati, i quali, divenendo spettatori di se stessi e dell’operazione antropologica

che li ha coinvolti, possono dire la loro sulla rappresentazione culturale che li riguarda, eventualmente

o modificare tale rappresentazione e negoziare con i ricercatori un’immagine comune in

correggere

cui possano rispecchiarsi. Spesso tali rappresentazioni assumono un ruolo sulle scene politiche locali,

modificando la percezione di intere comunità e il ruolo da essere svolto in contesti più ampi.

- La nascita del cinema etnografico (3)

- Le esposizioni

Dettagli
A.A. 2018-2019
17 pagine
7 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessandro.lora-1993 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia visuale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Pennacini Cecilia.