Anteprima
Vedrai una selezione di 3 pagine su 8
Riassunto esame Antropologia Sociale, docente Viazzo, libro Consigliato La parentela: cos’è e cosa non è, Autore Marshall Sahnlins Pag. 1 Riassunto esame Antropologia Sociale, docente Viazzo, libro Consigliato La parentela: cos’è e cosa non è, Autore Marshall Sahnlins Pag. 2
Anteprima di 3 pagg. su 8.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Antropologia Sociale, docente Viazzo, libro Consigliato La parentela: cos’è e cosa non è, Autore Marshall Sahnlins Pag. 6
1 su 8
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Un esempio sono nuovamente le tribù delle fiji dove l’esperienza personale è intimamente radicata nel suo

contesto relazionale, fra i parenti e nella comunità del villaggio. Monica Wilson la chiama “interdipendenza

mistica” collegandola alla ricaduta degli effetti della condotta personale fra i parenti. Un figlio che non partecipi

ai riti funerari del padre potrebbe impazzire; un nipote uterino che mancasse di assumere certi medicamenti a

una nascita gemellare della zia materna potrebbe vedere i suoi figli gonfiarsi fino a morire. Questa concezione

sfida apertamente il senso comune occidentale a proposito di casualità fisica e confini individuali. Ad esempio la

morte: si condivide l’esperienza della morte nelle tribù Nyakyusa in modo condiviso col defunto. Ci si auto-

mutila, ci si strappa i vestiti. La morte è condivisa fino al rituale funerario che di colpo spezza il legame di

parentela, in pratica termina la relazione. Nell’isola di Gawa i riti di compartecipazione e di separazione dal

defunto sono intrapresi solo dalle persone affini al clan matrilineare dell’estinto. Anche qui ci si tinge di nero, ci

si rasa i capelli e ci si veste con abiti grezzi. Assumendosi la negatività della morte, gli affini consentono alla gente

del defunto di poterlo in futuro richiamare ritualmente all’interno del sé clanico. Anche i Toraja praticavano sia la

separazione sia la continuità con riti volti a evitare che le anime dei parenti stretti si unissero a quella del

defunto, tabu riguardanti il lavoro nei campi, l’ospitalità, le urla e i litigi (udibili dagli altri) e altre limitazioni alla

loro vita sociale. Così facendo i Toraja agevolano il passaggio del defunto nell’oltretomba. Stessa cosa per le

donne: essendo ad un livello minore in queste società sono afflitte da molte proibizioni e prescrizioni,

soprattutto quando i mariti sono impegnati nella guerra. Questo avviene per scongiurare la sfortuna dell’altro.

Possono esserci effetti nefasti che ricadono sul marito qualora la donna non rispetti la condotta prescritta in una

situazione di pericolo, in particolare durante la perdita di sangue mestruale, che già di per sé è segno di una

riproduzione fallita. La reciprocità vale anche per gli uomini con la couvade, dove questi assistono le mogli

durante il parto per manifestare il loro legame parentale con il bambino. Un altro fenomeno della reciprocità

dell’essere riguarda le colpe dei padri che ricadono sui figli e su tutti i discendenti. Nel caso dei Nyakyusa

giungeranno fino ai pronipoti, i quali si ammaleranno perché il bisnonno ha versato del sangue o ha commesso

qualche altra grave colpa. Le punizioni ancestrali a causa di violazioni da parte dei membri del clan o del

lignaggio rivelano l’oggettivazione dell’io familiare ad esempio nei maori. Negli Araweté la colpa di incesto non si

trasmette solo ai propri discendenti, ma anche a tutto il villaggio. Altra manifestazione della reciprocità

dell’essere riguarda l’offesa patita da uno con la sofferenza patita da altri. L’offesa arrecata potrebbe richiedere

una compensazione da corrispondere ai parenti dell’offeso per la pena subita, anche qualora l’atto fosse auto-

inflitto. Ad esempio se un uomo Gahuku-Gama, della Nuova Guinea, si taglia i capelli, è tenuto a ricompensare i

suoi parenti. Costoro entrano in lutto cospargendosi di argilla e cenere e a volte tagliandosi un dito. L’uomo deve

quindi sanare questa ferita offrendo ai parenti un banchetto a base di maiale o doni di valore. In genere sono

quindi gli affini (parenti strettissimi) ad essere maggiormente ricompensati, mentre tutti gli altri parenti di clan o

lignaggio sono ritenuti responsabili dell’accaduto, quindi costretti a risarcire. Esempio: un uomo giovane Maori

era caduto nel fuoco e si era ustionato. I parenti matrilineari si sono schierati in assetto da guerra contro quelli

patrilineari perché ritenuti responsabili. I primi fecero piazza pulita delle proprietà dei secondi, prendendo

qualsiasi cosa. Per dimostrare grande considerazione per i vincitori il padre del ragazzo dovette pure far loro un

banchetto, nonostante lo avessero appena depredato. Altra manifestazione della reciprocità la si trova anche

nella condizione del corpo di qualcuno, che riflette automaticamente il successo di chi si è preso cura di lui.

Questo può significare che perfino nutrirsi è un atto trasnpersonale come si evidenzia nei Melanesiani. 4

- Solidarietà e conflitto nella parentela

C’è una grande differenza che distingue il “noi”, la “propria gente” e “gli altri” in ogni famiglia. La “propria

gente”, ossia il gruppo dal quale gli individui derivano la loro affiliazione primaria e la loro identità, rimanda

tipicamente “allo stesso”, ragion per cui fra i membri vige la consueta proibizione di sposarsi fra loro. Costituiti

come una sola entità di soggetti distinti, i membri del gruppo sono uniti dalla condivisione degli antenati, della

residenza, della commensalità, dell’uso delle terra e di altri mezzi. All’opposto del gruppo esogamico primario,

ossia la gente dello stesso tipo, i parenti affini sono uniti dalla differenza. Se ci si sposa avviene la separazione di

coloro che sono dello stesso tipo, ma al contempo si genera una nuova unione di persone che sono diverse. Ma il

gruppo primario per sopravvivere ha bisogno di riprodursi, quindi è necessario l’intervento di una persona

esterna (qui ha luogo il matrimonio) che da luogo ad una alleanza tra la “propria gente” e “gli altri”. Una volta

nato un bambino questo diventerà a sua volta mezzo di alleanza fra i due gruppi, per via della loro doppia

appartenenza. Ma come ogni famiglia anche qui si litiga (vedi il caso del maori caduto nel fuoco) e quindi la

potenziale vicinana o ostilità tra i due gruppi può essere mitigata da regole matrimoniali prescrittive che

compensino i gruppi alleati nel trasferimento del loro potenziale riproduttivo.

- La misteriosa efficacia della relazionalità

De castro affermava che la parentela, lo scambio di doni e la magia sono modalità diverse dello stesso ordine

animista. Ovvero sono tutte transazioni intersoggettive dei poteri dell’essere, che oprano attraverso la

mediazione tipicamente umana dell’intenzione e dell’influenza, diventando quindi altrettante realizzazioni della

misteriosa efficacia della relazionalità. Per l’autore tutti e tre gli ambiti possono racchiudere in se stessi tutti gli

altri. Nella misura in cui le parti si appropriano reciprocamente di oggetti che sono associati all’altra parte, lo

scambio può creare condivisione, quella partecipazione intersoggettiva che è il sigillo della parentela. Non solo,

ma il dispiegamento intenzionale di una cosa-persona con il proposito di produrre effetti benefici (un

controdono, un legame amicale) ha inoltre la qualità distintiva di un atto magico. La magia poi può essere anche

introiettata per via coercitiva, nel caso non ha a che vedere con la reciprocità della parentela. La stregoneria e la

fattucchieria sono infatti dimostrazioni del fallimento della parentela. Anche lo scambio mancato, come la magia

nera, provoca una rottura del legame di amicizia tra le due parti. A seconda della differenze di quantità,

frequenza, valore degli oggetti scambiati, i doni possono generare facilmente disuguaglianze, dominio e

gerarchie. Per De Castro, quindi, al contrario di Schneider che voleva eliminare la parentela dall’agenda

antropologica, ha di fatto un ruolo cosmico, un ruolo super importante nella gestione di una semplice tribù o di

una intera società.

Capitolo 2 – Cosa la parentela non è: biologia

Molti sociobiologi e gli psicologi evolutivi hanno lungamente asserito che le relazioni descritte nel primo capitolo

sono solo metafore di parentela, oppure che si tratta di parentela fittizia, dato che nessuna relazione biogenetica

è coinvolta. La vera parentela per loro è la relazione che viene stabilita a partire dalla nascita, come attesta

anche la concezione occidentale dei legami di sangue. Molti studiosi rilevano che sia possibile avere parenti

anche non per sangue ma solo in alcuni rari casi, come nella folk biologia dove le relazioni di procreazione e

nascita sono concepite diversamente nelle varie società in accordo con la loro teoria della riproduzione; o

un’altra licenza concessa è stata che la rete di relazioni genealogiche effettive può coniugarsi in vario modo con

altre considerazioni di ordine sociale, in particolare con gli schemi di discendenza; o altra licenza ancora quella

che riguarda considerare parenti persone amiche sulla base del “come se” (come se fosse mia sorella ecc.). ma

questo capitolo è un’argomentazione contro tutte le concezioni biologiche della parentela: se i bambini concepiti

dal sangue della madre e dallo sperma del padre, queste non sono mere sostanze fisiologiche di riproduzione,

ma qualità sociali significative che rimandano a identità e forze ancestrali. Ne consegue che a essere riprodotto

nella nascita è un sistema di parentela e di categorie che attribuisce alla parentela stessa una fenomenologia

simbolico – culturale, più che biologica. La parentela analizzata dal punto di vista biologico è stata troppo spesso

analizzata dal punto di vista degli individui che la vivono e la apprendono, come se le logiche cognitive

domestiche fossero la raison d’etre del sistema.

- Il sangue non è acqua, la famiglia non è sangue 5

Come fonte di parentela le relazioni geneaoliche legate alla riproduzione in molte società sono, se non

completamente ignorate, ricombinate in svariati modi in base a considerazioni extra-natali che rimandando alla

reciprocità dell’essere. Per esempio i Ku Waru dove il Kopong (il grasso) è il filo conduttore della parentela. È la

materia essenziale degli organismi viventi che si trova nel suolo, nello sperma del padre, nel latte della madre,

nelle patate, nel maiale. Questo permette di diventare parenti anche solo la condivisione del cibo. il suolo

diventa quindi fonte di legami parentali. esistono anche altre forme per diventare parenti: nascere lo stesso

giorno (inuit), aver osservato gli stessi tabu (Arewete), essere sopravvissuti insieme ad una situazione difficile

(Truk) e persino aver sofferto insieme di tigna (Kaluli). Più largamente diffusa è la parentela per condivisione del

nome fra viventi, dove chi riceve un certo nome assume anche la personalità e le relazioni del donatore, che

fossero o no già parenti. Questa parentela per omonimina non riguarda dare ad un bimbo il nome di un defunto,

ma il nome di anche qualcuno in vita. questo fa diventare gli omonimi la stessa persona; la persona nominata

assume l’identità del donatore del nome. Q

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
8 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher simosuxyeah di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Viazzo Pier Paolo.