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3) LUOGHI, EVENTI E TRANSIZIONI: VERSO L’IMMAGINE-SENTIMENTO

Una delle caratteristiche del cinema di Ozu è la particolarità dei suoi piani di transizione, quelle

inquadrature che servono a passare da una sequenza a un’altra. Pur non rinunciando ai

cosiddetti piani d’ambientazione, evita l’uso dei tradizionali campi totali o piani d’insieme. Tali

inquadrature, inoltre, sono spesso definibili come still life shot, poiché prive di elementi umani

in movimento, e tendono ad essere di numero superiore di quanto solitamente non accada sia

nel cinema occidentale, sia nel resto del cinema orientale.

Esempio delle scene che si svolgono a casa Hirayama, l’arrivo in casa di Setsuko e Yukiko. È

possibile subito notare che le due scene relative alle visite di Yukiko e Sasaki sono trattate alla

stessa maniera, e in modo diverso da tutte le altre. Entrambi gli episodi sono aperti da uno

stesso piano di transizione: un esterno che ci mostra la strada adiacente all’abitazione degli

Hirayama. Le altre sequenze ambientate in quella casa (consideriamo le prime cinque di queste

sei scene) presentano nel loro complesso e per ciò che riguarda l’uso delle transizioni, una

chiara struttura simmetrica. La prima e la quarta si aprono infatti con uno o due piani di

transizione che mostrano, con leggere variazioni, alcuni oggetti del soggiorno di casa

Hirayama, fra cui un tavolino basso, una teiera rossa, un vaso bianco, dei fiori, due bicchieri, un

furoshiki. La seconda e la quinta rappresentano invece un corridoio, con sedia di vimini con

cuscino rosso. La terza scena elimina il ricorso ai piani di transizione veri e propri, per mostrarci

invece subito Kiyoko in mezzo primo piano.

Come si è potuto evincere da quanto sin qui detto, il modo in cui Ozu organizza la dimensione

sintagmatica dei propri piani di transizione corrisponde a evidenti meccanismi di ripetizione e

differenza. Gli stessi spazi e oggetti sono destinati a ritornare più volte, ma sempre attraverso

variazioni che possono concernere il contenuto di questi spazi.

4) CONVERSAZIONI

La conversazione a due personaggi è una delle situazioni diegetiche più frequentate dal

cinema. La conversazione è un evento minimale, spesso privo d’azione o accompagnato da

semplici gesti come l’alzarsi, il sedersi, il sorseggiare un caffè o l’accendersi una sigaretta.

Proprio a partire dal numero ridotto di azioni che la caratterizzano, la scena di conversazione

rappresenta un utile e agevole campo di studio per individuare, con più precisione che altrove,

determinate caratteristiche della rappresentazione audiovisiva e dello stile di un certo

movimento, tendenza o autore. Per il cinema classico la forma più usata nel dialogo è quella

del campo e controcampo, ovvero l’alternanza, attraverso l’uso di stacchi di montaggio, di

inquadrature dei due interlocutori. Importante è la regola dei 180° in modo da tenere sempre lo

spettatore dallo stesso lato dell’azione e rispettare così i corretti raccordi di posizione e

direzione di sguardi.

Poi vi possono essere specifiche varianti come l’implicare l’uso di angolazioni anomale, piani

sequenza e/o particolari movimenti di macchina. Fra gli autori che indubbiamente sono riusciti

con sistematica coerenza ad elaborare dei modelli alternativi di rappresentazione delle scene di

dialogo, Ozu occupa un posto di primo piano, attraverso un’inedita combinazione di effetti

appartenenti al modello classico e sorprendenti variazioni.

Esempio di due scene di dialogo, quella tra Hirayama e Mikami e quella tra Taniguchi e Setsuko.

Tutte e due composte da 18 inquadrature, quella che può apparire come una coincidenza si

intentio auctoris

rivela però essere una possibile quando notiamo che la struttura delle due

scene è esattamente la stessa. Entrambe composte da piano d’insieme, prima alternanza di

sette campi e controcampi, un secondo piano d’insieme che si trova a metà, una seconda

alternanza di otto campi controcampi e un conclusivo piano d’insieme. La prima serie di campi

e contro campi si apre e chiude con l’inquadratura di uno dei due interlocutori. Nella seconda

serie di campi e controcampi che invece si chiuderà con l’inquadratura dell’altro personaggio.

In entrambe le scene c’è qualcuno che deve rivelare qualcosa a qualcun altro.

Ozu sembra voler ridurre al minimo il numero di figure cinematografiche cui ricorrere. Nel

cinema classico si preferisce un ricorso variato a mezzi primi piani, primi piani e primissimi

piani, mentre Ozu usa soltanto quella più lontano dal soggetto. Un’altra importante scelta

concerne poi la possibilità di inquadrare il personaggio che ascolta, cosa che Ozu evita sempre

di fare, limitandosi a inquadrare sempre e solo chi parla. Ozu inoltre pone la telecamera sopra

la linea immaginaria che unisce i due interlocutori, inquadrando così i loro volti in posizione

decisamente frontale, come se stessero parlando con lo spettatore, non sembrano più

guardarsi l’uno l’altro. I diversi piani d’insieme sono filmati con la macchina da presa in una

posizione decisamente bassa, anche quando i personaggi si trovano in piedi. Uso dello spazio a

360°. Scelta di riprendere la donna da una posizione più ravvicinata rispetto a quella dell’uomo,

in modo che le sagome di entrambi finiscano quasi per sovrapporsi e coincidere l’una con

l’altra. Questa scelta va ricondotta a quel principio e ricerca di armonia, il guardare nella stessa

direzione dei personaggi e la coincidenza delle forme, che è uno die principi basilari del cinema

di Ozu come della cultura del suo paese.

8) FINO ALL’ULTIMO RESPIRO - Film del 1960, analisi di Paolo Bertetto.

Il primo lungometraggio di Godard. È il manifesto della Nouvelles Vagues internazionali e

l’affermazione assoluta e romantica della libertà dei nuovi soggetti metropolitani. L’analisi e

l’interpretazione del film in quanto tale dovranno essere sviluppate quindi escludendo le

mitologie indotte e studiandone invece le tecniche, le opzioni formali attivate e l’universo

immaginario inventato. Si tratterà dunque di cercare il testo e la messa in scena. Fin dall’inizio

il film rivela strategie di messa in scena complesse, diversificate ed esplicitamente

contraddittorie. Invece di essere un testo semplice e omogeneo, il film si rivela come un testo

conflittuale, attraversato da procedure e logiche differenti, esattamente programmate e

realizzate con piena consapevolezza progettuale.

PRIMA SEQUENZA già la prima inquadratura della prima sequenza si apre con una

successione di immagini diverse, che presentano una complessità di elementi e una

stratificazione di sensi. La prima immagine del film propone quindi non una presenza

antropomorfica, né un paesaggio, ma un giornale e introduce subito il mondo artificiale dei

massmedia. Poi il giornale viene rapidamente abbassato e in piano ravvicinato appare il volto di

un personaggio, interpretato da Jean Paul Belmondo.

La recitazione eccessiva, il gioco di occhiate, le espressioni del volto, sono eccessivamente

espliciti, troppo sottolineati, e puntano a oggettivare non solo un micro evento particolare, ma

anche e soprattutto le procedure specifiche della messa in scena e della recitazione. C’è molta

esibizione recitativa intenzionale e quindi di molto cinema esibito nelle prime sequenze,

apparentemente neutre. Il passaggio del pollice sopra le labbra, rinvia ad un gesto simile

effettuato abitualmente da Humphrey Bogart. Il personaggio si costruisce quindi in relazione al

modello del duro o del gangster americano, al tempo stesso rinvia anche al cinema di Bogart e

al suo mondo del film noir americano. È quindi un personaggio che si sottrae ai valori diffusi,

affermando la propria individualità, ma presenta al tempo stesso aspetti di eterodirezione e di

dipendenza dai media, che tra l’altro, ne attestano la modernità.

Un’altra specifica contraddizione è nella scelta del regista. Godard lavora nello stesso tempo

sull’autenticità esistenziale e sull’immediatezza e la scarsa manipolazione dell’immagine

filmica. Ma al tempo stesso Godard realizza una messa in scena cinematografica di estrema

complessità ed elaborazione. Sono elementi di contraddittorietà produttiva, che attestano il

carattere dinamico, contrastato e differenziato del testo filmico stesso. È insomma l’idea e la

pratica di un testo conflittuale, costituito sull’opposizione di modi e di procedure diverse e che

attiva dunque una permanente dinamica di contrasti e differenze. L’assenza di un establishing

shot sottolinea già la differenza nei confronti del cinema classico.

SECONDA SEQUENZA se nella prima sequenza le tracce innovative e la contraddittorietà

produttiva sono intrecciate a soluzioni meno personali e restano almeno parzialmente

mascherate, nella seconda sequenza, dedicata al viaggio da Marsiglia a Parigi, la messa in

scena godardiana esplicita più palesemente la volontà di rovesciamento dello statuto e delle

tecniche del cinema classico e il suo gusto per modi di trasgressione.

1) Anomalie della messa in scena, la mdp posta sul sedile posteriore dell’auto, dalla parte

opposta del guidatore, consentendo quindi una ripresa con un’angolazione posteriore e obliqua.

Michael appare dunque di dietro e di tre quarti e spesso accentua la sua gestualità laterale

destra per non offrire all’obiettivo soltanto una nuca.

2) Le inquadrature sono realizzate con luce naturale, che da un surplus di verità fenomenica,

anche se dall’altro propone un’immagine meno precisa ed efficace sul piano della definizione.

In tutta la sequenza e nel film stesso le inquadrature sono spesso sporche e apparentemente

casuali, non presentano una struttura formalizzata dell’immagine, e non appaiono esattamente

programmate.

3) Jump cuts, Godard seleziona vari momenti del viaggio, con un’attenzione insieme allo

sviluppo della narrazione e alla graduale messa a fuoco del personaggio. Godard infatti non

correla le inquadrature successive con i raccordi messi in atto abitualmente dal cinema

classico, ma attraverso veri e propri salti o jump cuts, che costituiscono una violazione palese

delle regole non scritte della messa in scena. Godard taglia impietosamente le inquadrature e

non si preoccupa di effettuare alcuno dei raccordi classici, ma spesso giustappone una

inquadratura all’altra, determinando dei veri e propri salti nella immagine proiettata. I salti

corrispondono all’eliminazione di una serie più o meno ampia di immagini nella continuità di un

piano. Irregolare e provocatoria, che rappresenta un rifiuto radicale e ostentato delle regole

della scrittura classica del cinema di qualità. Il ricorso sistematico ai

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
28 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Giulia_1809 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Analisi del film e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Di Donato Mauro.