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Warren Buffett: la filosofia di investimento in borsa
Warren Buffett è uno degli investitori più conosciuti al mondo, definito una leggenda vivente nel mondo della borsa. Attraverso la sua società di holding, la Berkshire Hathaway, ha costruito un archivio che tiene traccia degli investimenti fatti. La sua esperienza si focalizza sull'importanza delle potenzialità di crescita e di gestione di un'azienda, e non ha scritto molti libri sul suo approccio all'investimento (piuttosto sono decine le pubblicazioni che lo riguardano).
Buffett è convinto che un investimento riuscito, in campo azionario, sia collegato al successo del core business dell'azienda: se l'azienda è buona, gli utili saranno più prevedibili e cresceranno in modo consistente. Considera le azioni come obbligazioni a utile variabile, e investe basandosi sul loro valore intrinseco, misurato dalla capacità di generare utili e dividendi negli anni.
Egli sceglie società che esistono da un periodo di tempo considerevole, in settori facili da capire e analizzare, con un forte trend in ascesa per gli utili e un indebitamento prudenziale, con un basso livello di spesa necessario per mantenere le operazioni correnti, con un rendimento del capitale netto abbastanza alto, e con un alto livello di utili non distribuiti, utilizzati proficuamente. Non sceglie mai società non floride con un valore intrinseco in caduta.
Per controllare il rischio all'interno del portafoglio, Buffett non favorisce una grande diversificazione, poiché è difficile analizzare e capire a sufficienza un numero elevato di società. È necessario invece assicurarsi di investire in società in espansione, capire accuratamente e analizzare la natura delle società, essere sicuri di pagare un prezzo ragionevole per le azioni. È un investitore prevalentemente a lungo termine, e vende soltanto quando le
potenzialità di crescita della società saranno più basse di quelle di investimenti alternativi. Consigli pratici per gli investitori e la filosofia di investimento, di Warren Buffett:
- Comprare a buon prezzo, un buon business, con fondamentali eccellenti e un abile ed onesto management. Poi si dovrà solo monitorare che queste qualità vengano preservate. Un buon business è facilmente comprensibile, e possiede la virtuale certezza che i guadagni futuri saranno sempre più alti rispetto ad oggi. Per valutare bene un'azienda, questa dovrebbe essere rientrare nel proprio "circolo di competenza", cioè essere facilmente comprensibile sulla base delle proprie conoscenze: per questo Buffett ha sempre evitato le azioni tecnologiche, pur apprezzandone i miglioramenti e le innovazioni.
- Sono necessarie solo due competenze vere: come valutare un business, e come pensare riguardo ai prezzi di mercato, non operando mai al di fuori
valutare la performance economica di una società, ma appunto il raggiungimento di un elevato rendimento del capitale investito. Buffett sottolinea che esiste una correlazione tra l'andamento del (ROE) di una società e il trend degli utili futuri: e si è in grado di stimare la crescita del ROE futuro di una società, allora si riusciranno a stimare anche i potenziali utili futuri. Quasi tutte le società quotate in cui Buffett investe hanno dei ROE di almeno il 15%.
Lettera di Buffett agli azionisti: "pensiamo ai nostri azionisti come proprietari-partner, e speriamo che vi consideriate come proprietari in parte di un business nel quale rimarrete per un tempo indefinito, e vi vediamo come membri di un'impresa alla quale hanno affidato i loro fondi...". Infatti, la percentuale di scambi di azioni della Berkshire è minima rispetto alle altre grandi aziende americane.
L'incremento medio del valore, aggiornato al 2003, è
stato del 22,2% annualizzato, contro una media di periodo del 10,4% dell'indice S&P.
7 regole d'oro di Warren Buffett
- I manager devono gestire razionalmente i soldi degli azionisti
- L'impresa deve aumentare nel tempo i guadagni dei suoi azionisti
- Al momento dell'acquisto, la quotazione deve essere almeno il 25% inferiore al valore intrinseco
- I manager devono essere in grado di convertire le vendite in profitti
- L'impresa deve evitare l'eccesso di debiti
- L'impresa deve "performare" in maniera consistente
- I manager devono veramente aumentare il valore per gli azionisti
62 - ORIGINI STORICHE DELLA FINANZA
La finanza è nata in Italia, tra Genova, Venezia e la Toscana, e l'Italia ha dato alla finanza moderna quasi tutti gli strumenti ancora oggi in uso: l'assegno, la girata, la cambiale, la lettera di cambio, lo scoperto, la partita doppia (che figura già in un documento genovese del 1340). Le banche
Le banche più antiche del mondo sono il Monte dei Paschi di Siena (1472) e CARIGE (Monte di pietà di Genova, 1483). Anche in materia di assicurazioni e riassicurazioni, l'Italia è stata la pioniera europea. Gli italiani, comunque, sono stati considerati usurai in Europa.
Sul finire della Repubblica romana e durante tutto l'Impero, il sesterzio era la moneta più diffusa in Europa e in Asia. Durante il Medioevo non circolava nessuna moneta, poiché non se ne avvertiva l'esigenza, e si utilizzava il baratto (solo i grandi mercanti internazionali ne usavano alcune, comunque poco diffuse). Carlo Magno, tra il 781 e il 794, decise di coniare una moneta che iniziò a circolare nel suo vastissimo impero, il denaro; con una libbra d'argento si coniavano 240 denari, e da lì il termine "lira". Intorno all'anno mille, l'Italia settentrionale era l'area economica più sviluppata d'Europa, e forniva i
denari per far girare l'economia europea. In seguito, con la nascita della borghesia, ogni città in cui il commercio internazionale era sviluppato coniava una propria moneta. Così, nel XIII secolo Genova conia una moneta d'oro, il genovino, Firenze il fiorino, Venezia il ducato, che riuscì facilmente a conquistare la fiducia dei mercanti d'Europa, del medio oriente e dell'Asia, e che prese poi il nome di zecchino con una purezza di oro di 997 millesimi. Tutte le zecche d'Europa e alcune zecche orientali coniarono monete auree ricalcanti o il ducato o il fiorino. L'attività bancaria moderna vide la luce tra Lucca, Siena, Roma e Genova all'inizio del XII secolo; nel trecento e quattrocento prevalse Firenze, mentre nel cinquecento e seicento prevalse Genova. Era fondamentale la figura del cambiavalute: in Italia circolavano monete dei vari stati con concentrazioni di metalli preziosi variabili da moneta a moneta, e solo ilCambiavalute conosceva i loro rapporti di cambio. Nel XVI secolo la finanza uscì dall'Italia e si trasferì progressivamente a Bruges, Anversa, Amsterdam e Londra. Il nome di banchiere fu sinonimo di onestà e affidabilità. I più grandi banchieri del trecento furono i senesi: le più importanti famiglie di Siena furono i Chigi, i Salimbeni, i Tolomei, i Piccolomini, oltre Bonsignori con la sua Gran Tavola, prototipo di banca universale. I Peruzzi furono un'antica famiglia di Firenze. A Genova il piacentino Guglielmo Leccacorvo fondò il suo banco che, da un documento del 1244, è il primo che possa definirsi moderno, che però fallì dopo la sua morte. Gli Acciaiuoli di Brescia fondarono una compagnia commerciale che divenne molto ricca e potente. L'attività bancaria di altissima importanza degli Strozzi, che aveva filiali in tutta Europa, permise alla famiglia di costruire una solida base economica e politica.
La famiglia Medici fondò una banca importantissima, che al momento del fallimento era ancora la più grande d'Europa, ma non si occupò mai di assicurazioni. Lorenzo "il Magnifico" non si occupò del Banco di famiglia, ma concentrò il patrimonio della banca nel patrocinio di artisti e letterati. L'italiano suddito di Venezia, Benedetto Cotrugli, fu il primo a riflettere attorno ai danni provocati dalla perdita delle proprie mercanzie, anche se l'assicurazione fu inventata a Genova: sul finire del XVI secolo si sottoscrivevano ogni anno polizze per 3,6 milioni di ducati. Sul finire del seicento, il fulcro del mondo assicurativo si spostò a Londra. I banchieri che prestavano piccole somme a persone comuni venivano additati al pubblico disprezzo per l'abominevole guadagno, mentre i grandi banchieri si videro attribuire altissima considerazione sociale (e i Medici, ad esempio, arrivarono addirittura al principato): infatti,nella classificazione sociale dei banchi, "piccolo è brutto e peccaminoso", mentre "grande è bello e virtuoso". I prestatori di piccole somme, indicati spesso con il nome generico di lombardi (a nord delle Alpi gli italiani erano dispregiativamente chiamati lombardi), erano gravati da rischi come l'insolvenza dei creditori e le prevaricazioni degli stati. Questi piccoli prestatori invasero l'Europa concorrendo in modo considerevole al suo sviluppo e creando le basi del capitalismo moderno. Alla base degli stanziamenti dei prestadenaro vi erano quasi sempre le necessità finanziarie delle autorità locali, le quali servivano a dare al prestatore un permesso, limitato nel tempo ma di solito rinnovato senza particolari difficoltà, con cui si accordava loro l'esercizio del prestito dietro precise condizioni. In regioni e città sottoposte a un'autorità di tipo regio, ducale, comitale o vescovile (ma non incittà politicamente autonome) erano stati molti coloro che avevano avuto la possibilità di un'ascesa politica. 63 - STORIA DELLA BORSA VALORI La Borsa valori è il mercato regolamentato dove si realizzano i contratti di compravendita finanziaria, cioè il mercato organizzato per la negoziazione e l