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TUIR: Categorie di reddito
1. Redditi fondiari;
2. Redditi di capitale;
3. Redditi di lavoro dipendente e di pensione;
4. Redditi di lavoro autonomo;
5. Redditi di impresa.
Le cinque categorie che sono state scelte hanno una loro caratteristica generale, per questo motivo la categoria dei redditi diversi è stata esclusa perché si compone di tante fattispecie molto differenziate che non consentono di individuare un criterio generale.
Redditi fondiari: è la più semplice perché i redditi provenienti da un terreno o fabbricato saranno localizzati nello Stato nel quale è situato fisicamente. (unico criterio previsto e possibile)
Questo criterio, come già visto, è previsto anche nelle convenzioni bilaterali ispirate dal modello OCSE (dove a tassare il reddito è lo Stato dove è situato il fabbricato e l'altro lo esenta.)
Redditi di capitale: il criterio è abbastanza razionale perché i redditi di capitale si considerano prodotti nello Stato.
nel quale risiede il soggetto che li eroga. (questo criterio è definito comunemente come il criterio del soggetto pagatore). Questo criterio risolve in parte il problema della doppia tassazione con la concessione del credito d'imposta e non con l'esenzione.
I redditi di lavoro e i redditi di impresa hanno in comune il fatto che la fonte produttiva non è facilmente localizzabile. Nelle due categorie precedenti la fonte produttiva coincide con un asset patrimoniale, in queste invece la fonte produttiva coincide con lo svolgimento di un'attività. Il reddito di lavoro (dipendente o autonomo) e reddito di impresa si considerano prodotti nello Stato in cui viene svolta concretamente l'attività. È un criterio generale e comprensibile, ma il problema è che queste attività sono facilmente trasferibili all'estero al fine di ottenere un vantaggio fiscale. Per questo motivo quando si tratta di tassare le attività da cui
deriva un reddito transfrontaliero, occorre prevedere ulteriori precisazioni al fine di ridurre i rischi di evasione o di elusione fiscale internazionale. Nei redditi di lavoro dipendente questo fenomeno era poco diffuso perché se un lavoratore dipendente avesse voluto trasferire la propria attività lavorativa in uno Stato differente da quello della residenza avrebbe dovuto trasferire anche la propria residenza fiscale. Oggi non è più così, e questo particolare momento di crisi che stiamo attraversando accentua ancora di più la tendenza che già si era verificata negli ultimi anni. Nel senso che il lavoro dipendente oggi può essere svolto senza la presenza fisica cioè ad esempio tramite piattaforme e servizi digitali, che permettono di svolgere la propria attività lavorativa a distanza e consentono di mantenere la residenza in uno Stato differente da quello in cui viene svolta l'attività lavorativa. Quindi è
È diventato più difficile verificare l'esistenza del requisito (Stato di svolgimento dell'attività). Oltre a questo, ci sono dei casi particolari che riguardano molte persone che hanno la residenza fiscale in Italia e che però svolgono un'attività lavorativa in un altro Stato:
- Ad esempio, il caso dei lavoratori dipendenti che vengono mandati in missione all'estero (lavoratori comandati: dipendenti delle ambasciate, dei consolati, i militari, i tecnici delle multinazionali, ...). Questi soggetti svolgono l'attività lavorativa in uno Stato diverso da quello italiano perché comandati a svolgere quella determinata attività in un contesto internazionale. È chiaro che questi soggetti non svolgono attività all'estero per eludere il fisco italiano, e per questo motivo devono essere tassati nella maniera adeguata.
Queste persone non possono essere considerate residenti fiscali all'estero.
perché nel giro di qualche anno saranno destinati a rientrare in Italia.→ Per questo motivo questi soggetti non perdono la residenza fiscale in Italia quindicontinuano ad essere tassati in Italia (come se fossero redditi prodotti all'estero).Oltretutto lo stato italiano gli riconoscerà una deduzione dalla base imponibile, checonsiste in una specie di compensazione degli svantaggi, disagi e difficoltà che questepersone devono sostenere per trasferire la propria attività all'estero, sulla base delpresupposto che generalmente queste attività vengono svolte in condizioni diparticolare disagio.
- Un altro caso è quello dei lavoratori frontalieri.Questa situazione si verifica in modo frequente all'interno dell'Unione Europeasoprattutto nelle zone di confine tra i diversi Stati che ne fanno parte.Per l'Italia questo problema riguarda essenzialmente Francia, Svizzera, Austria, SanMarino, Slovenia.Il problema è che
numerose migliaia di persone fisiche residenti in Italia in una zona di confine svolgono la propria attività nello Stato estero confinante. L'Italia registra questo fenomeno in maniera elevata soprattutto con la Svizzera (45mila persone che risiedono nelle zone della Lombardia) e in maniera minore anche con la Francia e con San Marino. Questa situazione che si viene a creare ci porta a fare una riflessione sul fondamento della tassazione. La tassazione ha la funzione di raccogliere risorse finanziarie che saranno destinate a finanziare la spesa pubblica. In questi casi la simmetria tra tassazione e servizio pubblico finanziato viene meno perché queste persone che risiedono in Italia ricevono servizi pubblici erogati dallo Stato italiano, ma la ricchezza che producono si trova in un altro Stato. Occorre allora contemperare le esigenze di entrambi gli Stati e stabilire dei criteri per non far disperdere il potere di tassare la ricchezza prodotta nel territorio, riconoscendo ilfatta in base alla sede effettiva dell'azienda, mentre per i redditi di lavoro autonomo si considera il luogo in cui viene prestata l'attività. È importante sottolineare che le convenzioni bilaterali tra Stati sono fondamentali per garantire una corretta tassazione dei redditi dei cittadini che operano all'estero. Queste convenzioni permettono di evitare la doppia imposizione, ovvero il rischio di essere tassati sia nello Stato di residenza che in quello in cui si svolge l'attività. In conclusione, la tassazione dei redditi dei cittadini che operano all'estero è regolata dalle convenzioni bilaterali tra gli Stati, che stabiliscono il criterio di tassazione in base allo Stato di residenza o allo Stato di svolgimento dell'attività. Questo permette di garantire una corretta tassazione e di evitare la doppia imposizione.effettua la propria attività. Tuttavia, anche in questo caso, si applica il principio della tassazione nello Stato in cui viene svolta l'attività. Questo evita una doppia tassazione eccessiva e permette una distribuzione razionale della base imponibile negli Stati in cui si svolge l'attività. Nel caso dei redditi di lavoro autonomo, si utilizza il concetto di base fissa, che corrisponde alla stabile organizzazione ma con un concetto più limitato. Non si può parlare propriamente di una stabile organizzazione nel reddito di lavoro autonomo, in quanto non sono presenti laboratori, depositi o succursali. Si tratta piuttosto di uno studio o di una sede secondaria in cui il lavoratore svolge la propria attività.autonomo svolge la sua attività. (cambiano le dimensioni organizzative ma il concetto di base fissa è la trasposizione nell'ambito del lavoro autonomo del concetto di stabile organizzazione utilizzato per i redditi d'impresa).
- Stabile organizzazione in Italia dei non residenti
Per quanto riguarda l'Italia, la definizione di stabile organizzazione contenuta nel Tuir è largamente modellata sulla definizione convenzionale del modello OCSE (con qualche adattamento formale ma con una larga coincidenza). Quindi anche nell'ambito italiano avremo una stabile organizzazione materiale e una stabile organizzazione personale, la cui natura giuridica differisce ma non cambiano le conseguenze fiscali.
il reddito d'impresa (di un soggetto residente all'estero) prodotto in Italia attraverso una stabile organizzazione viene imputato (non in capo alla società estera) ma in capo alla stabile organizzazione (cioè in Italia).
- Il
problema riguarda (come già detto in termini generali) la difficoltà di individuare unastabile organizzazione quando si tratta di attività d'impresa svolte tramite piattaforme o servizi digitali. → L'Italia ha provato a porre un rimedio introducendo nell'art. 162 (articolo che contiene la definizione di stabile organizzazione) una precisazione che attribuisce la qualifica di stabile organizzazione anche alle imprese che operano tramite una presenza digitale significativa e continua all'interno dello Stato. Questa definizione è molto sfuggente. Il problema è che il concetto di stabile organizzazione per come è accolto nel modello OCSE e trasfuso negli ordinamenti nazionali, evoca una presenza fisica e mal si adatta al contesto della economia digitale. In particolare, nel caso delle attività svolte in Italia dai soggetti non residenti, questi devono nominare in Italia un rappresentante fiscale, cioè un soggetto alQuale possano essere comunicate tutte quelle informazioni e tutti quegli atti che l'amministrazione finanziaria italiana intenda trasmettere al soggetto estero. Dal momento che nel contesto internazionale esiste un principio generalissimo di territorialità degli atti amministrativi, sarebbe più complesso per l'amministrazione finanziaria italiana notificare atti impositivi ai soggetti residenti in uno stato estero, e per questo si obbliga il soggetto estero a nominare un rappresentante fiscale in Italia al quale è più facile notificare gli atti.
Un'ultima caratteristica è che da qualche anno è attiva una procedura di interpello sui nuovi investimenti delle imprese non residenti. Le imprese non residenti che intendono svolgere un'attività d'impresa nel territorio italiano possono inviare invia preventiva alle agenzie delle entrate una richiesta di chiarimenti sull'effettivo impatto fiscale che avrà.
quella determinata attività una volta avviata. (L'amministrazione fin)