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La persuasione e i modelli di comunicazione persuasiva
Nella persuasione, una fonte cerca di influenzare gli atteggiamenti di un destinatario attraverso un messaggio o una comunicazione. Ci sono due principali modelli che hanno indagato la comunicazione persuasiva: il modello della probabilità di elaborazione dell'informazione e il modello euristico-sistematico.
Entrambi gli approcci stabiliscono che in condizioni di bassa elaborazione cognitiva gli atteggiamenti verranno influenzati non tanto dal contenuto e dalla qualità delle argomentazioni, quanto da indici periferici (percorso periferico di elaborazione). Al contrario, in condizioni di alta elaborazione cognitiva, gli atteggiamenti saranno maggiormente influenzati dalla qualità delle argomentazioni (percorso centrale): le argomentazioni forti produrranno persuasione, mentre le argomentazioni deboli non modificheranno gli atteggiamenti.
Ma quali sono gli indici periferici che utilizziamo in condizioni di scarsa elaborazione del messaggio? Se la fonte è attraente, simile a noi o...
percepita come credibile è più probabile che abbia successo nel persuaderci. Anche il numero di argomentazioni può influenzare l'esito del processo di elaborazione euristica. Un'altra domanda interessante è relativa alle condizioni che spingeranno i destinatari di un messaggio persuasivo a intraprendere il percorso centrale o il percorso periferico.
Un primo fattore è la rilevanza personale del messaggio; più un messaggio è importante per noi, più è probabile che esamineremo la qualità delle argomentazioni in esso contenute. Un secondo fattore è la disponibilità di risorse cognitive: quando le risorse sono ridotte o il messaggio è troppo complesso, è più probabile che intraprenderemo il percorso periferico.
Un altro fattore è il tempo a disposizione: quando un messaggio viene comunicato velocemente, vi è meno possibilità di riflettere sulle argomentazioni. Anche
Il nostro bagaglio di conoscenza sull'argomento può influenzare il tipo di elaborazione: se le informazioni sono insufficienti è più probabile che elaboreremo il messaggio attraverso il percorso periferico. Un ultimo fattore sono alcune variabili di differenza individuale, come il bisogno di cognizione e il bisogno di chiusura cognitiva. Le persone con alto bisogno di cognizione tendono ad intraprendere e apprezzare attività che richiedono sforzo intellettuale e compiti cognitivamente complessi, e potrebbero essere più motivate a seguire il percorso centrale. Al contrario, le persone con elevato bisogno di chiusura cognitiva preferiscono avere una risposta molto veloce e evitare di rimanere in uno stato di incertezza, e per questo saranno poco inclini a intraprendere il percorso centrale.
La credibilità del comunicatore
All'epoca in cui si cominciarono a svolgere gli esperimenti sulla
comunicazione persuasiva le strategie tese ad associare una data opinione a personaggi famosi o prestigiosi in ambiti pertinenti erano già utilizzate nella politica e nella pubblicità, tuttavia non era mai stato verificato il livello reale di efficacia di queste strategie. La credibilità viene definita come una caratteristica attribuita dal ricevente alla fonte quando possa supporre che questa abbia una conoscenza approfondita di un dato tema e sia affidabile in quanto veritiera sul tema in questione al di là degli interessi personali in gioco. Hovland e Weiss presentarono quattro esperimenti condotti applicando lo stesso piano sperimentale a diversi temi della comunicazione. Per ciascun tema veniva presentato ad un gruppo di soggetti sperimentali un'opinione favorevole oppure contraria alla questione posta e il messaggio veniva attribuito o ad una fonte credibile oppure ad una fonte poco credibile. Prima dell'esposizione alla comunicazione persuasiva, vienesomministrato un questionario ai partecipanti che includeva il giudizio di abilità di una lunga lista di enti o giornali, fra i quali erano incluse anche le fonti utilizzate nei quattro esperimenti. Le risposte dei soggetti dimostravano che effettivamente le fonti incluse nei disegni sperimentali erano percepite come poco o molto credibili, proprio come previsto dai ricercatori. Successivamente i soggetti sperimentali venivano esposti alla comunicazione persuasiva, poi manifestavano la propria opinione a proposito del tema in questione. I risultati di tre prove sperimentali su quattro mostravano che il cambiamento di opinione nella direzione sostenuta dalla fonte si realizzava molto più spesso quando il messaggio veniva attribuito alla fonte credibile. Tuttavia emerse un effetto non previsto. Fu effettuata una seconda rilevazione quattro settimane più tardi: si evidenziava una diminuzione dell'accordo rispetto alla posizione sostenuta dalla fonte credibile e un aumento.dare attenzione al messaggio e ad agire per evitare la minaccia. Questo tipo di appello può essere efficace nel persuadere le persone a prendere precauzioni o ad adottare determinati comportamenti. Tuttavia, è importante notare che l'efficacia dell'appello alla paura dipende da diversi fattori. Innanzitutto, la minaccia deve essere percepita come credibile e rilevante per il destinatario. Se la minaccia sembra poco probabile o distante dalla realtà del destinatario, potrebbe non suscitare una reazione emotiva significativa. Inoltre, l'appello alla paura deve essere accompagnato da informazioni su come evitare o affrontare la minaccia. Se il destinatario non ha una chiara idea di cosa fare per proteggersi, potrebbe sentirsi impotente o sopraffatto dalla paura, riducendo così l'efficacia del messaggio persuasivo. Infine, è importante considerare il tono e lo stile di comunicazione utilizzati nell'appello alla paura. Se il messaggio è troppo aggressivo o allarmante, potrebbe suscitare una reazione di difesa o di negazione da parte del destinatario. D'altra parte, se il messaggio è troppo debole o poco convincente, potrebbe non suscitare una reazione emotiva sufficiente per spingere il destinatario all'azione. In conclusione, l'appello alla paura può essere un efficace strumento persuasivo, ma deve essere utilizzato con cura e considerando attentamente i fattori che influenzano la sua efficacia.considerare diverse risposte quando non trova quella che riesce a riequilibrare lo stato emotivo negativo. Il tipo di risposte che egli prende in considerazione è determinato innanzitutto dal repertorio di possibilità che si è costruito nel corso di apprendimenti ed esperienze passate nelle quali stati emotivi simili sono stati eliminati. Ma se nel messaggio minaccioso è contenuta la raccomandazione rassicurante, anche questa possibilità entra nel repertorio delle risposte in grado di riequilibrare lo stato emotivo negativo. Essa sarà probabilmente adottata se il messaggio riesce a neutralizzare la spontanea tendenza a minimizzare il rischio da parte dell'audience, che potrebbe rimuovere l'emozione negativa semplicemente prendendo le distanze dalle conseguenze negative paventate (a me non capiterà). Una serie di esperimenti furono condotti per verificare l'efficacia degli appelli alla paura sia nell'indurre lo stato emotivo negativo.sacrificando però la durata dell'effetto nel tempo. Inoltre, l'appello debole permette ai soggetti di elaborare meglio le informazioni e di valutare in modo più razionale le conseguenze delle proprie azioni. Questo studio dimostra l'importanza di trovare un equilibrio tra l'intensità dell'appello alla paura e la capacità di persuasione nel promuovere comportamenti salutari. È fondamentale che i messaggi siano abbastanza forti da suscitare una reazione emotiva, ma non così intensi da sopraffare la capacità di ragionamento dei destinatari. In conclusione, l'utilizzo dell'appello alla paura può essere un efficace strumento per promuovere comportamenti salutari, ma è necessario utilizzarlo con cautela e considerare attentamente l'intensità del messaggio per ottenere i migliori risultati.Questo è possibile ignorando o minimizzando la portata della minaccia. 24fi ffi ff ff fi fl ffi ff ff fi ffi ff ffi ffi fi fi fi Al contrario, un debole richiamo alla paura aumenta la probabilità che il soggetto consideri il problema e, senza adottare risposte difensive, ponga attenzione alle raccomandazioni contenute nel messaggio.
CAPITOLO 6: IL SÉ, AUTOREGOLAZIONE, MOTIVAZIONE ED EMOZIONI
1 Le origini e le funzioni del sé
William James affermava che è l'esperienza che facciamo di noi stessi come attori sociali a permetterci di costruire la nostra identità. Inoltre, egli sosteneva che questo processo di acquisizione di consapevolezza del sé è continuamente soggetto a variazioni.
Tali variazioni scaturiscono dai feedback ricevuti durante le interazioni sociali. Feedback positivi tendono a corroborare le nostre risorse, permettendoci di costruire nuove competenze su di esse; mentre i feedback negativi dovrebbero incrementare la
La nostra consapevolezza su degli aspetti poco funzionali e permetterci di autoregolare la condotta in un processo di adattamento all'ambiente in cui viviamo.
George Mead aveva sviluppato una teoria in grado di legare il sé all'interazione sociale. Egli affermava che il gioco assume un ruolo fondamentale nello sviluppo del sé, poiché attraverso di esso il bambino inizia ad assumere la prospettiva dell'altro e a vedere se stesso dal punto di vista altrui. Successivamente, quando il bambino inizia ad accedere a giochi che includono regole, ha la possibilità di vedere se stesso come individuo calato in un tessuto sociale.
Il lavoro del sé
Un modo per definire il sé deriva dal descrivere le sue funzioni. Le funzioni principali del sé possono essere individuate attraverso tre aree: autocoscienza, sé interpersonale e agenticità del sé. L'area dell'autocoscienza racchiude informazioni su noi stessi (autoconsapevolezza).
Identificare la funzione che ci permette di arricchire la coscienza di noi stessi per poi collocarla al meglio nel tessuto sociale in cui siamo immersi. Conoscere ciò che ci piace, ciò che ci fa star bene, cosa ci provoca dispiacere e quindi dovremmo evitare, è una delle principali funzioni del nostro Sé.
Il Sé interpersonale, oppure il nostro Sé pubblico, ha una funzione che viene espressa attraverso elementi quali il senso di appartenenza, che assumiamo entrando a far parte di un determinato gruppo, la relazione che instauriamo con un partner, la reputazione che ci costruiamo. In altre parole, tutti gli attributi che noi usiamo per definire la nostra identità da presentare al pubblico.
L'agenticità del Sé rappresenta le funzioni esecutive che il Sé esplica, come la capacità decisionale, l'autocontrollo e la risposta attiva a situazioni quotidiane.
I meccanismi motivazionali del Sé:
Autoefficacia percepita:
'agency' di Bandura, che si riferisce alla capacità di un individuo di agire in modo intenzionale e di influenzare il proprio ambiente. Secondo questa teoria, l'agenticità del sé è un fattore adattivo e di promozione del sé, in quanto consente alle persone di assumere il controllo delle proprie azioni e di perseguire i propri obiettivi. L'agenticità del sé implica la consapevolezza delle proprie capacità e competenze, nonché la fiducia nella propria capacità di raggiungere gli obiettivi desiderati. Questo concetto è strettamente legato all'autostima e all'autonomia, in quanto una persona che si percepisce come agente del proprio destino è più propensa a prendere iniziative e a perseguire i propri interessi. Nella teoria dell'agency, Bandura sottolinea l'importanza dell'apprendimento sociale e dell'osservazione dei modelli di comportamento. Le persone imparano a essere agenti del proprio sé attraverso l'osservazione e l'imitazione di modelli di comportamento efficaci. Questo processo di apprendimento sociale può avvenire sia attraverso l'osservazione diretta di modelli di comportamento, sia attraverso l'osservazione dei media e dei personaggi pubblici. In conclusione, l'agenticità del sé è un fattore adattivo e di promozione del sé che consente alle persone di assumere il controllo delle proprie azioni e di influenzare il proprio ambiente. Questo concetto è fondamentale per lo sviluppo dell'autostima e dell'autonomia, e può essere favorito attraverso l'apprendimento sociale e l'osservazione dei modelli di comportamento efficaci.