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LE SUCCESSIONI MORTIS CAUSA
47. Il fenomeno della successione. L'espressione successio in locum, insieme a successio in ius ed a successio, esprimeva l'idea del passaggio di posizioni giuridiche soggettive da un soggetto ad un altro. Il fenomeno poteva riguardare sia posizioni giuridiche attive (diritti soggettivi) che passive (crediti, debiti). Chi trasmette era il dante causa, la persona alla quale si trasmette era il successore o l'avente causa e questo acquistava a titolo derivativo.
La successione poteva essere in universum ius (a titolo universale), se il successore subentrava per l'intero o per una quota in un complesso unitariamente considerato di posizioni giuridiche soggettive, o in singulas res (a titolo particolare), se il successore subentrava, per l'intero o per una quota, al posto di un'altra persona in singole determinate posizioni giuridiche soggettive.
La successione poteva avere luogo inter vivos o mortis causa.
48. La successione universale mortis causa.
causa secondo il ius civile. Concetti e principi fondamentali. Nel ius civile, i successori mortis causa a titolo universale erano gli heredes. Invece, il complesso delle situazioni giuridiche soggettive che facevano capo al defunto-dante causa e che passavano agli heredes costituivano l'hereditas. L'acquisto delle hereditas presupponeva la chiamata all'eredità, che era generalmente lo stesso della morte dell'ereditando. La chiamata poteva essere testamentaria, se in forza di testamento valido ed efficace (ex testamento), o legittima, se in forza di legge. Quest'ultima era detta successione ab intestato. Il chiamato diveniva heres, talvolta, automaticamente per il fatto stesso della chiamata, altre volte a seguito di un'accettazione. Da ciò la distinzione tra heredes necessari ed heredes voluntarii. La qualità di erede non poteva essere ceduta in nessuno dei due casi. Risalente nel tempo era il principio del ius civile che stabilival'incompatibilità trasuccessione testamentaria e successione ab intestato. Un altro principio del iuscivile era quello dell'intrasmissibilità della chiamata ereditaria. Questa regolasubì temperamenti per ragioni di equità. Infine, Giustiniano introdusse la transmissioIustinianea con cui riconnobbe agli eredi del chiamato di acquistare in vece sual'eredità, però, avrebbero dovuto accettarla entro un anno.La chiamata ereditaria intrasmissibile mortis causa era a fortiori intrasmissibile conatti inter vivos. Non rappresentò un'eccezione la in iure cessio hereditatis, per cuil'erede volontario ab intestato, prima di accettare, cedeva l'eredità così che ilcessionario divenisse egli stesso erede direttamente. Non si trattava di trasmissionedella chiamata perchè il cessionario non subentrava nella chiamata, ma divenivaheres già in forza della in iure cessio. Questa pratica cadde indesuetudine nell'età postclassica.- Capacità di trasmettere e acquistare di ereditanto ed eredi.
48.2 Capacitas e legislazione caducaria. La lex Iulia de maritandis ordinibus e la lex Papia Poppea parlarono di capacitas con particolare riguardo alle incapacità ad acquistare mortis causa dalle stesse leggi stabilite, con cui si vollero colpire caelibes e orbi. In ordine ai beni da questi ultimi non acquistati fu disposto un regime tutto proprio. I caelibes erano i non coniugati in età matrimoniale, orbi i coniugati senza figli. A loro si negò la capacità di acquistare per testamento: totale per i celibi, della metà di quanto disposto per gli orbi. La capacitas era richiesta al tempo della morte del testatore, ma i caelibes avrebbero potuto conseguirla entro cento giorni successivi. Quanto non acquistato si accresceva infavore dei coeredi che fossero discendenti o ascendentidel testatore. Se questi mancavano, esso diventava caducum ed era devoluto in primo luogo ai coeredi con figli, poi ai legatari con figli, in difetto all'aerariumpopuli Romani. Da età classica all'erario si sostituì il fisco. Per la persecuzione dei caduca, l'erario o il fisco avrebbero agito extraordinem con la caducorum vindicatio. Fuori da questa legge ne restarono le disposizioni testamentarie in favore dei parenti in linea retta e quelle nulle ab initio, per esse trovò applicazione il ius antiquum che continuò ad avere vigore nella successione ab intestato. Successivamente, Caracalla abolì i privilegi di coeredi e legatari con figli. Poi, le disposizione della lex Iulia et Papia Poppea furono gradualmente abrogate e tornò in vigore il ius antiquum. 48.3 Indegnità a succedere. Dai primi tempi del principato si andarono sanzionando con l'indegnità a succedere il
comportamento di quanti si ritennero indegni a subentrare al defunto iure hereditario. Quello che avrebbero potuto acquistare veniva rivendicato extra ordinem dall'aerarium populi Romani, e successivamente, dal fisco. Gli indegni, una volta divenuti heredes restavano tali anche dopo l'azione dell'erario o del fisco, solo che il pretore avrebbe denegato le azioni ereditarie contro ed a favore di essi. Ad esempio, furono ritenuti indigni: l'uccisore dell'ereditando, chi avesse impedito all'ereditando di testare, etc.
48.4 L'acquisto dell'eredità. Gli eredi necessari. Erano eredi necessari sia i sui sia gli schiavi manomessi nel testamento del dominus e, nello stesso testamento, istituiti eredi. Si dissero necessari perché divenivano automaticamente eredi con la morte dell'ereditando, senza bisogno di accettazione ma anche senza possibilità di rinunziare. I sui erano i familiari immediatamente soggetti alla potestas.
stata effettuata a nome dello schiavo, preservando così la reputazione del defunto. Inoltre, il testatore poteva anche nominare un tutore per i suoi eredi minori, al fine di proteggere i loro interessi e garantire una corretta gestione del patrimonio ereditato. È importante sottolineare che il sistema di eredità romano era basato sulla discendenza maschile, quindi solo i figli maschi potevano essere eredi. Le figlie e le donne in generale non potevano ereditare direttamente, ma potevano ricevere una porzione dell'eredità come donazione o legato. In conclusione, il sistema di eredità romano prevedeva che gli eredi subentrassero al defunto sia nell'attivo che nel passivo, con il rischio di dover onorare i debiti ereditari con il proprio patrimonio personale. Tuttavia, il pretore concedeva il beneficium abstinendi per evitare la proscriptio e le procedure esecutive. In alcuni casi, il testatore poteva manipolare il testamento nominando uno schiavo come erede per preservare la reputazione del defunto.stata a suo nome.
48.4.1 Gli eredi volontari.
Gli altri chiamati all'eredità erano, invece, eredi volontari. Furono detti anche heredes extranei. Diventavano eredi a seguito ad accettazione (aditio). Prima dell'accettazione, dunque, l'eredità era considerata giacente ed esposta all'eventualità dell'usucapio pro herede.
48.4.2 L'accettazione dell'eredità.
L'accettazione poteva aver luogo mediante creatio o pro herede gestio.
La creatio --> Era un atto formale, uno degli actus legitimi, perciò si compiva con la pronunzia di certa verba, tra queste, vi erano le parole adeo cernoque, che esprimevano la volontà di accettare l'eredità. Nella successione testamentaria, si doveva far necessariamente ricorso alla creatio quando il testatore subordinava l'istituzione dell'erede alla condizione che l'istituto accettasse mediante creatio entro un certo termine. Scomparve in età
postclassica. La pro herede gestio -> Era un'accettazione tacita dell'eredità. Consisteva in comportamenti che denunziavano senza possibilità di equivoci la volontà di accettare, più che altro, atti di gestione del patrimonio del defunto. Però, si ammise che poteva compiersi anche con dichiarazione espressa ed informale di accettare l'eredità. Per avere effetti doveva essere compiuta personalmente, senza nè condizioni nè termini, e dopo che la chiamata avesse avuto luogo. I termini, però, poteva porli il pretore su istanza dei creditori ereditari e se il termine fosse trascorso il chiamato sarebbe stato considerato rinunciante.
Quando scomparve la creatio, fu l'unico modo rimasto per accettare l'eredità.
La rinunzia dell'eredità -> L'erede volontario avrebbe potuto rinunziare. Al riguardo, non vi era alcuna prescrizione di forma. Alla rinunzia non si potevano aggiungere
né condizioni né termini, pena la nullità.
48.4.3 La fusione dei pa