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Nel nostro caso siamo di fronte a non oggetti ma alla fine superoggetti. Da una partesi
spersonalizza la relazione oggetto/utilizzatore nella forma distratta, dall’altra si enfatizza il brand
aziendale o autoriale; restano tuttavia in maggioranza gli oggetti utilizzati perché unicamente “di
buon progetto”
Inventario del design anonimo italiano
Tre grandi famiglie di anonimi
Anonimo di tradizione
Epoca e conduzione di produzione pre-industriale. Affondano le loro radici in tempi abbastanza
lontani. Risalgono a un’antica tradizione di saper fare e produrre, ma non sono artigianali in senso
stretto anche perché la loro realizzazione appare in senso seriale – per quantità e organizzazione
del processo- e insieme originata da una chiara idea progettuale, magari affinata da continui
contributi individuali configurando una sorta di design collettivo. (es. Litro, pezzotto valtellinese,
ciabatte friulane)
Anonimo
Nessuna classificazione ulteriore è parsa invece necessaria a definire una seconda categoria:
artefatti dell’era industriale che hanno codificato soluzioni a problemi, configurando formalmente
tipologie, risposto a specifiche esigenze in un mercato di consumi dove si andavano affermando
sempre nuovi bisogni. Sono ancora tutti in produzione e non mancano esempi contemporanei.
Diversi sono divenuti sinonimo di intere tipologie, prefigurando uno standard riconosciuto per un
prodotto che non c’era: la valigia 24 ore, la brugola, la Moka,la rete da cantiere..ecc… molti sono
ancora realizzati identici, altri hanno avuto una sola folgorante stagione. Per diversi di loro esiste
una storiografia settoriale e specifica con utili elementi di comprensione, ma restano noti in pratica
solo agli addetti ai lavori.
Anonimo d’autore
Le riflessioni condotte acquistano ancora maggiore valore nel terso filone – giocando in modo
deliberato sulla contraddizione linguistica- definito d’autore. Chiunque ha qualche dimestichezza
con storia e cronaca del disegno industriale è in grado probabilmente di attribuire paternità ai
prodotti di questa sezione. Sono in sostanza anonimi “svelati” e sempre in ogni caso a una ridotta
minoranza.
Anonimi di tradizione
1) Fiasco per il vino (Produttori vari, XII secolo)
La sua fabbricazione in area toscana risponde ad alcune necessità: da una parte fornire un’unità di
misura universale, dall’altra contenere il vino di produzione locale, il Chianti.
Le misure fondamentali diventarono il barile e il fiasco (1/20 di barile)
Da principio quindi il fiasco nasce come unità di misura. È rivestito di paglia intrecciata in modo da
proteggerlo durante il trasporto e permettergli di rimanere autonomamente in posizione verticale.
All’inizio l’impagliatura lo copriva tutto poi è stata diminuita per la necessità di appare il marchio
con la capacità per evitare frodi sulle tasse.
Prodotto in vetro e quindi vincolato alle aree dove c’erano materie prime.
Un oggetto come il fiasco interessa per il percorso cha portato un antico e tradizionale manufatto
artigianale a una produzione industriale. Dal punto di vista del progetto, appare esito di
modificazioni che hanno nel tempo affinato le soluzioni tecnico-funzionali.
Un’innovativa idea di packaging che comunicava immediatamente il prodotto alimentare.
2. Litro, contenitore per vino (Produttori vari, Matteo Buzzone, XV secolo)
La forma dell’oggetto si definisce in relazione alla necessità di identificare un’unità di misura.
La vicenda specifica pare collacabile nel 600 con Matteo Buzzone.
La bottiglia ha diffusione specialmente nella zona dei Colli Romani, per il vino prodotto nell’area,
con la denominazione assai diffusa di “foglietta” a indicare il mezzo litro. A inizio novecento venne
iniziata la produzione industriale (fratelli Bormioli) del caratteristico vetro incolore per oggetti di uso
domestico e anche per la farmochimica.
3. Sedia chiavarina (Produttori vari, Giuseppe Gaetano Descalzi, detto il Campanino, 1807)
Imitando un modello francese portato dal marchese Stefano Rivarola, Descalzi disegnò una sedia
in legno di ciliegio leggera, resistente ed elegante, con spalliera e gambe semplificate, ha la seduta
intelaiata con sottili striscie, in origine di salice bianco da sembrare una robusta tela di lino,
arrotondò l’estremità della cartella dorsale per adattarle alle spalle ed eliminò i perni che ne
disturbavano la linea.
Era nato l’archetipo della sedia Chiavari chiamata Campanino in onore del suo autore.
Le sedie Chiavari configurano un prodotto colto senza dubiio esita della domanda di una
committenza esigente e cosmopolita.
Molto utilizzata e imitata da altri designer (leggera di Ponti), la tecnica costruttiva è rimasta
identica, frutto di un rigoroso lavoro artigianale che prevede realizzazione e assemblaggio a mano
e la conoscenza dell’elasticità del legno.
La sedia è unita ad incastro senza l’utilizzo di elementi metallici.
Resta un buon prodotto con l’adozione anche di componenti standard.
4. Sigaro Toscano (produttori vari, 1815)
Ogni prodotti risponde a delle intenzioni che attengono al design del momento e configurano una
specifica relazione coi modi dell’organizzazione complessiva della produzione. Risponde a questi
criteri il sigaro toscano, cominciato ad essere realizzato artigianalmente a inizio 800.
Nasce nel 1815 a Firenze per caso, da foglie di scarto perché bagnate nasce un prodotto di basso
costo, subito apprezzato dai consumatori. Si tratta di un prodotto con tabacco non conciato ma
fermentato naturalmente. La produzione prosegue su due linee: a mano per i sigari di elevato
pregio e tiratura limitata e semiautomatica per gli altri. Vengono fatti stagionare in luoghi
adeguatamente umidificati per tempi diversi a seconda del tipo di sigaro.
5. Cappello di Feltro Borsalino (Giuseppe Borsalino, seconda metà 19 sec.)
In tutto il mondo il cappello da uomo in feltro è il Borsalino: identifica non tanto un modello preciso
quanto un copricapo moderno e dalle proporzioni equilibrate, una certezza in termini di qualità di
materiali, esecuzione e durata.
Mediazione simbolica tra il cilindro, la bombetta e i cappelli flosci. Tra le due guerre mondiali
acquista dignità di oggetto industriale e viene presentato isolato e imponente anche in vivaci
campagne pubblicitarie. L’industria di alessandria si configura subito come un’industria di qualità
per la produzione di cappelli di peli con modelli e modalità di produzione con cospicui volumi. La
svolta industriale avviene negli anni 70 dell’800 con l’arrivo di macchinari inglese. Il cappello
Borsalino è un manufatto industriale con le caratteristiche di raffinatezza di un prodotto artigianale.
È realizzato utilizzando fibra animale sottoposta a feltrazione, un processo naturale di stretto
incrociamento tra le fibre per renderlo resistente, impermeabile ed elastico.
6. Coppola (produttori vari, seconda metà 800)
Dalla metà dell’800 si compie un processo che impone un modello estetico con valori di sobrietà
uniformità diffondendosi tra gli strati più bassi della popolazione tenendo ad attenuare la
polarizzazione tra cilindro e berretto floscio.
Nel filone del berretto floscio e del copricapo sportivo, nati in Inghilterra si colloca la coppola,
diffusasi in tutta europa. Il siciliano dei campi di allora non si copre il capo con la coppola, è molto
più recente questo stereotipo. In realtà lo strumento di protezione è stato soprattutto una sorta di
mantello. La coppola era il berretto delle classi umili, derivato dal copricapo che si era diffuso in
tutta europa e america nell’800.
L’uso della coppola e l’assenza del cappello era spesso espressione distintiva di classe. Il diritto di
portare il cappello era esclusivo solo de signori e l’abolizione di questo privilegio solo dopo lunghi
sforzi. Come era accaduto in altri contesti sociali e geografici, il berretto floscio o coppola – nato
come copricapo prodotto artigianalmente in Sicilia - diviene corredo dell’abbigliamento informale e
sportivo.
7. Pezzotto valtellinese (produttori vari, seconda metà del 800)
La sua comparsa alla fine dell’800 si affianca alla lavorazione della canapa e del lino. Tappeto
rustico per uso domestico, deriva dalla possibilità di sfruttare le pezze di scarto delle manifatture
tessili. I modelli valtellinesi si differenziano per le maggiori dimensioni, la sobrietà delle
decorazioni, la compattezza della tessitura della trama e un uso più frequente di ritagli di lana.
Proprio nell’operazione di taglio a strisce dei cenci che precede la tessitura sta una delle
particolarità del processo che li distingue da altri prodotti come i pachworks inglesi. In genere le
variazioni di trama e di colore sono di matrice geometrica perché con due soli fili nell’ordito del
telaio non è possibile una grande varietà nel disegno. Quando inizia ad essere commercializzato
negli anni 30 nasce anche un apposito telaio a due pedali. La sua consacrazione come prodotto
adattabile di linguaggio moderno è ben documentata da un articolo del primo numero di Domus del
1928.
8. Ciabatte friulane (produttori vari, seconda metà del 800)
Il scarpet è una scarpetta bassa di panno o velluto con suola con tela a molti doppi fittamente
trapuntata a spago. Riconosciuta come generalmente friulana e diffusa nell’800 ha di sicuro origini
più antiche. Alternativa ideale sul terreno asciutto e in caso e leggere rispetto agli zoccoli ed
economici, venivano confezionati in ambito domestico preparando l’occorrente servendosi dei
materiali disponibili. Così per la suola doveva essere usata una stoffa molto spessa per poter
resistere (blecs, stoffe unite assieme e pressate con il ferro da stiro). La suola veniva poi
trapuntata finemente unendo la tomaia alla suola. Differenti soluzioni per suola e tomaia
dipendevano dall’epoca e dal contesto: in tempi di ristrettezze si usavano le foglie delle
pannocchie, pezzi di cuoio o durante la guerra si iniziò a saldare alcuni pezzi di copertoni di
bicicletta. Il susccesso di queste calzature ha visto più riprese assistendo nel tempo alla comparsa
di varianti più economiche ma anche confezioni con stoffe preziose realizzate da stilisti e addetti
moda.
9. Sedia pieghevole da osteria (produttori vari, seconda metà 800)
Anonima per eccellenza riceve il compasso d’oro a ignoti da Bruno Munari nel 1972.
Chiamata anche sedia pieghevole da birreria, giardino,ecc. dichiarando chiaramente la sua
diffusione negli spazi pubblici. A inizio 900 in Friuli si concentrano numerosi laboratori che si
orientano alla produzione di sedia non ancora variata. Questo modello si differenzia dalla
pr