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APPROFONDIMENTO: SAGGIO DI REMA HAMMAMI
Genere, Nakba e nazione. Presenza e assenza delle donne palestinesi nella narrazione delle
memorie del 1948 (capitolo 8 del libro Parlare con il nemico)
Tra il 1998 e il 1999 sui principali mezzi di informazione palestinesi (tra cui il quotidiano locale
palestinese al-Ayyam) si inaugura un progetto pubblico di codificazione delle memorie (attraverso i
libri-memoriale) della Nakba (=in arabo indica la divisione della Palestina dopo il 1948 e la nascita
del problema dei rifugio dei palestinesi) attraverso le memorie dei singoli individui (la maggioranza
pubblicata sul giornale Voice of Palestine).
Hammami in questo saggio si ripropone di spiegare come mai nella ricostruzioni dell’accaduto del
1948 si è scelto di escludere la voce delle donne.
Nel corso degli ultimi 50 anni, la Nakba è stata un tema ricorrente in varie forme di produzione
culturale: nella letteratura; nell’arte che raffigurava l’espulsione e la fuga dei palestinesi; nel cinema
(anche se si è dovuti aspettare il 50° anniversario della Nakba per avere i primi film e documentari
trattassero l’argomento); ma soprattutto si è venuti a conoscenza di molti aspetti riguardanti Nakba
grazie all’università di Birzeit, la quale alla fine degli anni ’70 compie una serie di studi sui villaggi
palestinesi distrutti tra il 1947 e il 1948.
Nakba come identità nazionale: considerando che Nakba sia stata presa in considerazione da una
così vasta gamma di generi letterari e culturali, appare evidente la sua importanza per la
Palestina si può dire che Nakba sia stata all’origine della coscienza e dell’identità nazionale
palestinese.
Anche prima del 1948 la Palestina non esisteva come una nazione unita ma era caratterizzata da
movimenti nazionali deboli e divisi. La ferita aperta e mai rimarginata dell’immaginario collettivo
della Nakba è stata la spinta che ha portato a un’identità nazionale più forte.
Il quotidiano al-Ayyam nell’analizzare e descrivere Nakba si è soffermato su 3 punti essenziali:
1. Analisi politica affidata a storici e politologi: si concentrano sulle ragioni della fuga della
popolazione.
2. Storie locali di guerra basate su interviste a testimoni: le memorie dei testimoni sono usati
per raccontare momenti specifici del 1948 emerge da queste memorie e racconti
individuali è l’assenza totale di una coesione su scala regionale e nazionale, tuttavia la
continua ripetizione di tali memorie ne fa assumere le caratteristiche di una narrazione
nazionale.
3. Testimonianze in prima persona (oculari) dell’esperienza della guerra e delle sue immediate
conseguenze.
A differenza delle storie locali, nelle testimonianze oculari è l’individuo ad essere in prima
linea e a raccontare la propria personale esperienza. Le storie locali hanno lo scopo di
inserire le comunità nel tessuto della narrazione nazionale, i testimoni oculari invece sono
visti come le incarnazioni dell’esperienza nazionale. Vengono prese in considerazione
persone di differenti ambiti e classi sociali (divisi in base all’area geografica o in base
all’appartenenza ai medesimi villaggi per rifugiati) e le cui testimonianze spesso vengono
raggruppate nelle raccolte riportanti il titolo Testimoni oculari della Nakba, tuttavia non
vengono quasi mai prese in considerazione le donne (delle sette persone intervistate solo
due erano donne e appartenevano ai due casi particolari di cui parlerò subito dopo).
16 di questi racconti danno vita a più di 20 articoli.
Nonostante il fatto che tale quotidiano sia considerato il più liberale della stampa locale e che ogni
due settimane pubblica un inserto dedicato alle donne, nell’analizzare e descrivere Nakba ha quasi
completamente tralasciato le opinioni femminili - ne parla solamente nel 3) e in casistiche
particolari:
La città di Giaffa che era considerata la più cosmopolita e moderna della Palestina, ed la
città che ha subito un maggior numero di esuli arabi dalla propria terra. Su questa città
vennero fatti molti film documentari dai figli di esuli e a narrare le storie sono quasi
esclusivamente e donne.
Il villaggio di Deir Yassin che fu teatro di un massacro di donne e bambini.
Le donne non sono state escluse solamente dalle “storie di guerre” del Nakba, esse non vengono
prese in considerazione nemmeno nelle storie orali sulla vita nei villaggi prima del 1948. Questi 22
libri vennero compiute negli anni ’80 dal Centro di ricerca dell’Università di Birzeit.
In questi libri le donne sono collocate esclusivamente in due specifiche aree: quella “sociale” ossia
quella che parlava degli abiti locali; e quella dei matrimoni.
Un caso assestante è rappresentato dal libro 19 (nel capitolo dedicato alla vita sociale e intitolato La
donna) nel quale si parla del villaggio Abu Shusheh il quale durante la guerra fu teatro di un
massacro di donne, bambini e vecchi. Tuttavia non si parla di personaggi femminili specifici al
contrario di come accadeva per gli uomini.
Contadini e contadine: Nei libri-memoriale, negli articoli di giornale commemorativi i contadini di
sesso maschile hanno avuto un ruolo centrale nell’esperienza nazionale. Nei libri-memoriale essi
incarnano i villaggi e le comunità della Palestina perduta, nelle commemorazioni sono all’origine
dell’insurrezione che si contrappone alla dispersione e allo smembramento.
I contadini uomini arrivarono ad occupare il centro della scena del nazionalismo palestinese in tre
differenti momenti e in tre differenti centri geografici:
1. Durante le correnti marxiste negli anni ‘60
2. Durante la comparsa dei poeti e romanzieri nazionalisti in Galilea sempre negli anni ‘60
3. Durante la nascita del “movimento per l’eredità” nei territori occupati (soprattutto
Cisgiordania e Gaza), negli anni ‘70
Anche se nei tre momenti l’uomo dei campi viene descritto con modi e sfumature diverse, essi
incarnano la dimensione atemporale della vita rurale prima del 1948, la dipendenza dalla terra e
dell’immutabile attaccamento ad essa. Con il 1948 il contadino viene a rappresentare allo stesso
tempo il passato e la sua perdita.
Le donne, al contrario, sono il simbolo di ciò che non è cambiato e non è andato perso: la terra, la
patria. Esse rappresentano l’appartenenza alla nazione. Nelle diverse fasi del nazionalismo
palestinese tuttavia la loro funzione allegorica della donna ha subito una serie di modificazioni
(espresse soprattutto nelle poesie e nell’arte):
La Palestina come l’amata o la madre a cui il poeta si rivolge sottolinea un sentimento di
nostalgia
La Palestina come la vergine violata o la sposa a cui il poeta vorrebbe riunirsi
La donna in tali casi assume l’identità della nazione, anche il suo ruolo di madre viene
modificato in quanto viene vista come custode e riproduttrice dell’identità nazionale.
FILM: A WORLD NOT OURS
È il primo lungometraggio documentario del danese nato a Dubai Mahdi Fleifel descrive in forma
autobiografica il campo profughi libanese di Ain el Helweb, un'area di un chilometro quadrato
costruito in via provvisoria nel 1948, dove vivono circa 70 000 persone in condizioni di vita estreme.
Il campo profughi è controllato dagli ufficiali Libanesi non si può uscire dal campo in situazioni di
pericolo, non si può andare a lavorare fuori dal campo (che alla fine risulta essere grande come una
città) ma le possibilità di lavoro all’interno sono pochevi sono anche poche possibilità di
matrimonio. Nel film si vede infatti il matrimonio è tra una donna del posto con un uomo che lavora
all’estero
Il rituale sportivo sospendeva in qualche modo l’esperienza quotidiana serviva anche per
identificarsi con un gruppo. L’identità propria non riconosciuta il tifo portava a identificarsi con
qualcuno anche se presenta una finzione.
La posizione radicale del protagonista (il non voler tornare in Palestina) è dovuta alla lunga non
risolutezza della situazione.
Il nonno ritiene che uscire dal campo significa smettere di rivendicare il territorio.
Nel film viene sottolineata una perdita di legami, una trasformazione delle relazioni parentali. Nel
caso della famiglia del regista si ha un primo momento di separazione dovuta alla fuga dalla
Palestina e insediamento nel campo; ma anche il trasferimento dei genitori del regista prima a
Dubai e poi In Danimarca vi è quasi una diaspora della popolazione.
Nel film si vede che il rapporto con le armi fin dalla giovane età.
Il senso della morte assume un significato diverso, diventa più facile il rapporto con la morte
essendo la vita così dura.
Non compaiono le donne (tranne l’episodio del matrimonio e la nonna) separazione dei sessi
nella vita quotidiana, le giovani donne non si incontrano negli spazi dove si incontrano giovani
uomini.
Legami trasnazionali e riprese video: la videocamera ha consentito di mantenere le relazioni e i
contatti con le famiglie che sono emigrati all’estero (in particolare con la parte della famiglia che è
emigrata a Dubai e in Danimarca). Il padre registra tutto ciò che accade per sentirsi parte di una
stessa famiglia nonostante si sia trasferito all’estero. Il film suggerisce una maggiore mobilità per le
donne il matrimonio con qualcuno che sia all’esterno del campo permette a queste di andarsene
(anche se questo significa interrompere i rapporti con la propria famiglia che si trova all’interno del
campo); mentre uomini spesso vengono respinti.
FAMIGLIE TRANSNAZIONALI E FEMMINILITA’ EGIZIANE TRA MOBILITA’ E IMMOBILITA’ (TRA
TORINO ED EGITTO, IN PARTICOLARE LE CITTA’ DI QALYUBIA e MANUFIYYA)
TRANSNAZIONALE: transnazionale indica i fenomeni non localizzati geograficamente ma che
prendono forma tra diversi luoghi e persone. Sono fenomeni che prendono forma oltre lo stato-
nazione.
Le migrazioni egiziane in Italia si possono distinguere in tre fasi:
La prima fase, degli anni ’70 circa, l’emigrazione riguardava la popolazione urbana d’élite
La seconda fase che si estende tra gli anni ’80-’90 vi è una massificazione delle emigrazioni
egiziane. A emigrare sono pressoché solo maschi delle zone rurali di classi sociali più
modeste (anche se non più povere in quanto l’emigrazione prevede un costo sostenibile non
da tutti.
La terza fase che si estende dagli anni ’90-2000 in cui vengono fatti i ricongiungimenti
famigliari ed aumenta il numero di egiziani minori non accompagnati.
Quando si parla di migrazione non si può fare a meno di parlare di “cultura migratoria” e di “catene
migratorie”
CULTUR