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La responsabilità dell'istituto ospedaliero e la prova della colpa
La Corte di appello ha, da un lato, affermato che "nel caso di specie occorreva che l'attore fornisse una prova positiva della colpa professionale" del chirurgo ortopedico. Tale affermazione è errata perché la responsabilità dell'istituto ospedaliero è di tipo contrattuale, fondandosi sul contratto intervenuto con il paziente. Consegue che, contrariamente a quanto ha affermato la Corte di appello, incombeva sull'istituto la prova dell'assenza di colpa in ordine alle lesioni conseguenti all'intervento operatorio subito dal Mazzone. La Corte di appello, però, non si è fermata a constatare che il Mazzone non aveva fornito la prova della colpa del chirurgo, ma ha positivamente accertato che nessuna colpa è ravvisabile nella condotta dello stesso. Al riguardo la Corte ha recepito la valutazione del consulente tecnico d'ufficio secondo cui l'intervento è stato correttamente eseguito.escludendo che le conseguenze lesive da esso derivate siano attribuibili alla colpa del chirurgo, il quale ha adottato una tecnica operatoria appropriata, che è stata eseguita con assoluta correttezza. Il giudice del mento ha preso in considerazione anche l'obiezione del consulente del Mazzone in ordine alla mancata adozione di una particolare protezione del nervo ricorrente (che è stato leso), ma ha ritenuto che essa avrebbe aumentato la possibilità di compromissione del nervo stesso. La sentenza impugnata, pertanto, ha accertato in concreto l'insussistenza di colpa del chirurgo che ha operato il Mazzone. Tale accertamento è sufficiente a giustificare il rigetto della domanda risarcitoria proposta dall'attore, a prescindere dalla qualificazione del tipo di responsabilità dell'istituto convenuto e dall'individuazione del soggetto su cui ricadeva l'onere probatorio sulla sussistenza della colpa. Consegue che l'errore suquesti ultimi punti non ha inciso sul dispositivo dellasentenza impugnata, che rimane conforme al diritto.Ed invero, una volta esclusa la colpa del chirurgo, non può essere affermata la responsabilità dell'istitutosanitario, poiché sia l'art. 1228 sia l'art. 2049 c.c. presuppongono un illecito colpevole dell'autore immediato deldanno, onde, in assenza di tale colpa, non è ravvisabile una responsabilità (contrattuale) del debitore per il fattodei suoi ausiliari o una responsabilità (extracontrattuale) del committente per il fatto illecito dei suoi commessi.Non è quindi fondata la tesi del ricorrente secondo cui la responsabilità dell'istituto convenuto va affermata anche quandosia stata positivamente provata l'assenza di colpa del chirurgo.Le altre censure formulate con il motivo del ricorso, e cioè la deduzione sia di una responsabilità della struttura sanitariaper fatto proprio
(negligenze ed imperizie dell'istituto diverse dalla condotta del chirurgo), sia di una responsabilità dellastessa per l'esercizio di attività pericolosa (art. 2050 c.c.), sono inammissibili perché non formulate con l'atto di appello erichiedenti accertamenti di fatto che non possono essere compiuti in questa sede di legittimità. Il 4° motivo di ricorso è infondato. È vero che l'art. 2236 c.c. - ritenuto dalla sentenza impugnata applicabile nel caso di specie, stante la "particolaredifficoltà" dell'intervento ortopedico eseguito sul Mazzone - disciplina la responsabilità del prestatore d'opera. Ma tale disposizione normativa è applicabile anche alla responsabilità dell'ente ospedaliero in cui il sanitarioopera. Ed invero, come è stato affermato dalle già citate sentenze di questa Corte n. 7336 del 1998 e n. 9198 del1999 il rapporto tra il paziente e laLa struttura ospedaliera è regolata, per quanto attiene alle prestazioni di natura sanitaria, dalle norme che concernono l'attività del medico nell'ambito del contratto d'opera professionale. Consegue che la responsabilità diretta dell'ente ospedaliero e quella del sanitario inserito nella struttura ospedaliera sono disciplinate, in via analogica, dalle norme che regolano la responsabilità professionale medica in esecuzione di un contratto di opera professionale, e quindi anche dall'art. 2236 c.c., che è perciò applicabile sia al medico che all'ente.
32) CASSAZIONE CIVILE, SEZ. III, 11 maggio 2009 n. 10743
Con sentenza del 2004 la Corte d'Appello di Lecce confermava la decisione del locale Tribunale del 2002, che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni proposta dai coniugi C.T. e V.M.D., in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore C. F.A., per le gravissime lesioni (idrocefalo).
postemorragico con encefalopatia lesionale e convulsività) con conseguente invalidità permanente del 100%, riportate dal figlio, che gli attori ricollegavano all'intervento ostetrico con taglio cesareo compiuto dal ginecologo dott. A.M. presso l'Ospedale e dalle successive cure praticate al neonato dal dott. L.G. dello stesso Ospedale e quindi dal dott. Lo.Ra. dell'Ospedale - reparto immaturi. Per questo motivo gli attori avevano convenuto in giudizio i tre sanitari, la USL Lecce e Lecce, chiedendone la condanna al pagamento di una somma a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale. Nel giudizio erano state chiamate in causa le compagnie di assicurazione dei medici e delle due USL. Il primo giudice aveva stabilito che la gravissima patologia del neonato era riconducibile alla prematura - ma naturale - interruzione del periodo di gestazione e non ad un imperito o negligente comportamento dei sanitari che avevano proceduto al taglio cesareo.degli altri medici che avevano avuto in cura il neonato nei primissimi giorni di vita, prima del suo trasferimento presso l'Ospedale. I giudici di appello, confermando tale decisione, osservavano che non poteva essere evidenziata alcuna carenza della terapia prestata alla gestante ed al neonato nei due Ospedali. Anche il lasso di tempo di cinque ore intercorso tra la rottura spontanea del sacco amniotico e l'intervento per parto cesareo non era indice di colpa professionale, considerato che non vi era stata sofferenza fetale e non poteva, pertanto, ritenersi che il ritardo avesse avuto incidenza nella causazione delle lesioni. Il consulente tecnico nominato dall'ufficio aveva precisato che alla condizione di immaturità si associa notoriamente un elevato rischio di emorragia cerebrale prenatale, fenomeno che si era appunto verificato nel caso di specie, causando altresì l'instaurazione di un idrocefalo e di gravissimi danni cerebrali. Solo dopo due giorni dallanascita si era manifestata una crisi convulsiva, poi ripetutasi più volte nella giornata. Anche il rilievo del consulente tecnico di ufficio - secondo il quale il parto (in considerazione delle condizioni dell'agestante, ricoverata in ospedale proprio per il rischio di interruzione della gravidanza) avrebbe potuto più agevolmente avvenire presso un centro regionale di più alto livello organizzativo - appariva privo di concreto rilievo causale, posto che ciò non serviva comunque ad escludere lo sviluppo negativo degli eventi connessi dallo stesso consulente tecnico di ufficio alla patologia originaria del caso. Quanto alla condotta del pediatra il trattamento dallo stesso praticato era quello realisticamente espletabile nella clinica di appartenenza, con l'apparato diagnostico di cui egli attualmente disponeva. Tra l'altro, osservava ancora la Corte territoriale, un trasferimento immediato del neonato in altro reparto poteva dirsi sconsigliato proprio per.le condizioni instabili dello stesso sotto il profilo neurologico. Doveva dunque concludersi che per entrambi i sanitari che avevano avuto in cura il neonato nell'Ospedale nel quale era avvenuta la nascita - non vi erano elementi che potevano portare a qualificare la loro condotta come colposa.
Quanto ai sanitari del reparto immaturi dell'Ospedale dove il neonato era stato trasferito a distanza di circa quarantagiorni dalla nascita, era da dire che in quell'Ospedale il neonato era stato sottoposto immediatamente a visita neurochirurgica e nessuno specifico elemento di colpa era dunque ravvisabile a carico dei medici di quel reparto, che ne avevano disposto il ricovero all'Ospedale.
Avverso tale decisione i genitori di C.F.A. hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi. Resistono con controricorso il dott. A., L. e Lo. e le rispettive compagnie di assicurazione, nonché la AUSL Lecce ed il direttore generale della stessa con la società di.
assicurazioni UNIPOL. Osserva il Collegio: i tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono fondati nei limiti di seguito indicati. La Corte territoriale ha escluso qualsiasi rilevanza alla osservazione del consulente tecnico "secondo cui il parto anziché in una struttura ospedaliera - solo in parte attrezzata allo scopo - avrebbe potuto avvenire presso un centro regionale di più alto livello organizzativo" per la ragione che "ciò non serve ad escludere lo sviluppo negativo degli eventi connessi dallo stesso c.t.u. alla patologia originaria del caso da trattare". In tal modo, ad avviso del Collegio, la motivazione della sentenza impugnata finisce per adottare un criterio para-penalistico, che esige una condizione di certezza "oltre il ragionevole dubbio" in applicazione del principio di causalità proprio di quella materia. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel reato colposo omissivo improprio ilRapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerta che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Nel sistema civilistico, invece, il nesso di causalità (materiale) – la cui valutazione in sede civile è diversa da quella penale (ove vale il criterio dell'elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla "certezza") – consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso.
secondo il criterio (ispirato alla regola della normalità causale) del "più probabile che non". Anche con riferimento alla individuazione del nesso di causalità fra la condotta omissiva del medico e l'evento dannoso, la giurisprudenza di questa Corte ha superato la concezione tradizionale, passando dal criterio della causalità diretta e immediata a quello della causalità adeguata.