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LA RESPONSABILITÀ NELLA PROFESSIONE MEDICA 22
consultazione delle stesse sarà necessaria al fine di accertare la conformità del
comportamento del medico a tali indicazioni.
La giurisprudenza, in tema responsabilità medica, ha affermato che le linee guida
definite e pubblicate ai sensi dell'art. 5 legge 8 marzo 2017, n. 24, sono
raccomandazioni di ordine generale, che contengono "regole" cautelari di
massima, flessibili e adattabili, prive di carattere precettivo, rispetto alle quali è
fatta salva la libertà di scelta professionale del sanitario nel rapportarsi alla
specificità del caso concreto, nelle sue molteplici varianti e peculiarità e nel
rispetto della "relazione terapeutica" con il paziente. (Cassazione penale, Sez. IV,
sentenza n. 7849 del 3 febbraio 2022)
6. Linee Guida e responsabilità penale in ambito sanitario: L'eterointegrazione della
legge Gelli-Bianco
Tra i punti qualificanti, la legge 8 marzo 2017, n. 24, oltre all’introduzione, nel codice
penale, di un nuovo articolo, concernente la responsabilità colposa per morte o
per lesioni personali in ambito sanitario (art. 590-sexies c.p.), si è stabilita all’art. 5
una dettagliata disciplina dei requisiti formali delle linee guida all’interno delle quali
individuare le raccomandazioni tendenzialmente vincolanti per gli esercenti le
professioni sanitarie.
Si prevede infatti che “gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle
prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative,
riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso
concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del
comma 3 ed elaborate da enti ed istituzioni pubblici e privati nonché dalle società
scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte
in apposito elenco, istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute
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da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette
raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone
pratiche clinico-assistenziali”. Con la precisazione, contenuta al terzo comma, che
tali linee guida devono essere integrate nel Sistema nazionale per le linee guida e
pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità, previa verifica sia della
conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo
stesso Istituto sia della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto
delle raccomandazioni.
Il compito di elaborare tali linee guida è stato dunque attribuito ad enti e istituzioni
di natura pubblica e privata, nonché alle società scientifiche e alle associazioni
tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, iscritte in un apposito elenco. E
proprio su tale versante incidono i provvedimenti in commento.
Vengono così introdotti parametri estremamente selettivi, sul mantenimento dei
quali è prevista una periodica verifica da parte dello stesso Ministero della Salute;
qualora si dovesse riscontrare la perdita sopravvenuta anche solo di uno di essi, la
società o l’associazione potrà essere prima sospesa, poi eventualmente cancellata
dall’elenco (art. 3).
Il peso assunto dalle nuove linee guida è stato riconosciuto dalla giurisprudenza di
legittimità 4
( ).
Tuttavia non possono tacersi le riserve avanzate in merito alla reale adeguatezza di
linee guida, pure se accreditate, comunque strumenti generali e astratti, come tali
non in grado di calarsi nel quadro patologico e nelle molteplici sfumature del
singolo paziente, a ergersi a paradigma d’imputazione colposa in sede penale, per
4 () Cass. pen., Sez. IV, 7 giugno 2017, n. 28187, in questa Rivista, fasc. 6/2017, p. 280 ss., con nota di C. Cupelli, La
legge Gelli-Bianco e il primo vaglio della Cassazione: linee guida sì, ma con giudizio; in Riv. it. med. leg., 2017, 713
ss., con nota di M. Caputo, ‘Promossa con riserva’. La legge Gelli-Bianco passa l’esame della Cassazione e viene
‘rimandata a settembre’ per i decreti attuativi e in Dir. pen. proc., 2017, p. 1369 ss., con nota di G.M. Caletti – M.L.
Mattheudakis, La Cassazione e il grado della colpa penale del sanitario dopo la riforma “Gelli-Bianco”.
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lo più legate all’ontologica impossibilità di formalizzare cautele (che così
divengono doverose) in settori insofferenti a forme di standardizzazione.
Il legislatore del 2017, nel delineare una presunzione relativa di non punibilità, non
solo ha aperto nuovi e non meno rilevanti fronti problematici rispetto alla
precedente disciplina, ma pare anche avere in parte fallito l’obiettivo di garantire
più certezze di irresponsabilità, arretrando rispetto alle più recenti acquisizioni della
giurisprudenza di legittimità maturate con riguardo alla legge Balduzzi, in termini di
garanzia della classe medica e conseguentemente di effettiva e piena attuazione
del diritto alla salute e di contrasto alla medicina difensiva. E ciò, a bene vedere, è
stato riconosciuto pure dalla giurisprudenza, che, qualificando la normativa
previgente come più favorevole, ha di fatto sancito il fallimento della riforma.
Nella prospettiva di un effettivo ed efficace contrasto alla medicina difensiva, gli
operatori sanitari, per essere ‘tranquillizzati’, da una parte potranno sperare di
avere commesso i fatti prima dell’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco,
dall’altra dovranno affidarsi a un cauto ed equilibrato governo del meccanismo
procedimentale accusatorio nei loro confronti, già a partire dalla prima fase, di
gestione delle iscrizioni delle notizie di reato.
Con la recentissima Sentenza n. 40316 del 4 novembre 2024, la Cassazione si
esprime chiaramente sull’interpretazione di uno dei punti cardine della Legge Gelli-
Bianco, che ha introdotto il criterio delle linee guida a tutela dei clinici: il mero
rispetto delle linee guida non esonera il sanitario dalla responsabilità se tali linee
guida risultano non adeguate al caso concreto.
Il semplice attenersi alle linee guida prescritte dalla legge Bianco-Gelli non mette
necessariamente al riparo i medici da una condanna penale. Lo ha stabilito la III
sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, che ha ritenuto infondato il
ricorso di una ginecologa dell’ospedale Santo Bambino di Catania, denunciata
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perché ritenuta responsabile di aver omesso la prescrizione di un esame che
avrebbe evitato la morte del bambino che la paziente aveva in grembo,
nonostante l’accertamento clinico in questione non fosse fra quelli raccomandati
dalle linee guida.
Il semplice attenersi alle linee guida non può e non deve rappresentare l’unico
criterio che motiva la sussistenza o meno di un risvolto penale in un processo per
malpratica sanitaria.
Con la sentenza n. 40316 del 4 novembre 2024, per la prima volta la Cassazione si
esprime chiaramente sull’interpretazione di uno dei punti cardine della Legge Gelli-
Bianco, la norma che aveva abolito la distinzione fra colpa grave e colpa lieve,
introducendo dei criteri come le linee guida proprio per proteggere i clinici dalla
eccessiva facilità di incorrere in denunce per malpratica. La sentenza ha
confermato l’indirizzo indicato anche nella relazione della Commissione ministeriale
sulla responsabilità professionale dei sanitari, presieduta dal magistrato Adelchi
d’Ippolito e voluta dal Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, secondo cui è
necessario perseguire una medicina sempre più personalizzata, lontana da
standard inapplicabili all’unicità di ogni singola situazione clinica.
Dal 2012 al 2017, in forza della Legge Balduzzi (n. 189/2012) sulla responsabilità dei
sanitari, i medici che restavano aderenti alle linee guida o comunque si
attenevano a quelle considerabili dalla comunità scientifica come “buone
pratiche sanitarie”, non potevano incappare in condanne di tipo penale per colpa
lieve. Solo la colpa grave, rivelatasi però poi sempre più difficile da determinare,
comportava maggiori responsabilità da parte dei clinici.
Bisognerà aspettare la Legge 24 del 2017, la Gelli-Bianco, per arrivare al
superamento dei concetti giuridici di colpa lieve e colpa grave, la cui distinzione
risultava troppo arbitraria nella sua applicazione legislativa, per arrivare alla
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situazione attualmente in corso, per la quale basterebbe in teoria che i clinici si
attenessero alle linee guida e alle buone pratiche mediche per essere al riparo
dalla perseguibilità penale delle loro azioni.
Superata la distinzione fra colpa lieve e colpa grave, la giurisprudenza in materia
sanitaria ha preferito concentrarsi sul concetto di imperizia, della quale il
professionista viene ritenuto responsabile, al di là dei risvolti più o meno drammatici
delle sue azioni, in virtù di una aderenza ai protocolli e alle buone prassi avvallate
dalla comunità medica.
Superata la distinzione fra colpa lieve e colpa grave, la giurisprudenza in materia
sanitaria ha preferito concentrarsi sul concetto di imperizia.
Questa evoluzione, seguita dalla recente richiesta del personale sanitario di
bilanciare ancora meglio le necessità di tutela dei pazienti con quelle degli
operatori di mettersi al riparo da un numero eccessivo di potenziali contenziosi, è
stata nuovamente messa in discussione dall’Ordine dei Medici, che ha chiesto di
estendere l’effetto del cosiddetto scudo penale entrato in vigore durante la
pandemia da Covid 19. Attraverso l’ordine di categoria, i clinici hanno segnalato
che il circolo vizioso fra la scarsità di risorse da destinare alla sanità e gli aumenti di
carico di lavoro del personale sanitario non hanno fatto altro che aumentare i rischi
di malpractice, finendo per rendere la professione medica sempre meno
desiderabile. D’altra parte, sempre i medici hanno fatto notare al Ministero che
circa il 95 per cento di procedimenti giudiziari per malasanità finisce con un nulla di
fatto, appesantendo molto il lavoro dei tribunali.
La commissione ministeriale chiarisce le nuove direzioni interpretative della legge in
vigore. Riunitasi appositamente per discutere la richiesta dei clinici, la commissione
ministeriale presieduta dal magistrato Adelchi d’Ippolito, è stata voluta dal Ministro