vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Nel lungo e ampio dibattito che segna la fase della “nas ta” degli studi riguardanti le relazioni
internazionali, la diatriba tra teorie realiste e teorie liberaliste, si inserisce l’opera dell’americano
Kenneth Waltz, intitolata “Teoria della politica internazionale”. Lo studioso, già autore del saggio
“L’uomo, lo stato, la guerra”, riprende le tesi sviluppate in esso, tentando di creare una vera e
propria teoria delle politiche internazionali e di sistematizzare e organizzare il pensiero realista,
rispondendo al contempo alle teorie liberaliste dell’interdipendenza semplice di Keohane e Nye.
Il libro, scritto e pubblicato nel 1979, sin da subito assume un ruolo cardine e di guida all’interno
della disputa, tanto da essere assunto come iniziatore di un nuovo filone di teorie, quelle neorealiste.
Fu ben presto oggetto di un dibattito vivacissimo, o meglio: chi non si trovava discusso (e
stroncato) nelle pagine di Waltz ne parlava elogiativamente, basti pensare a ciò che scrive Yalem,
indicandolo come “il più importante libro teorico dopo System and Process di Kaplan”; chi invece
aveva dovuto sottoporsi al fuoco di fila critico e impietoso di Waltz ne diceva di tutti i colori! Quel
che è peggio, l’autore se l’era presa in sostanza e più di tutto con tre dei più autorevoli autori allora
viventi delle relazioni internazionali: Kaplan, Hoffmann e Rosecrance, suscitando del resto le loro
stizzite repliche. Nonostante tutte le critiche e i limiti della teoria, e soprattutto i successivi sviluppi
delle teorie neorealiste, rimane uno dei capisaldi della letteratura delle relazioni internazionali, tanto
da essere considerato uno dei pochissimi libri (tra i quali è doveroso ricordare Politics among
nations di Morgenthau, autore realista) che hanno segnato delle svolte nella disciplina e sono
diventati oggetto di studio nelle università.
Intento principale dell’opera è quello di riorganizzare il pensiero realista apportandovi delle
modifiche strutturali e smontando, allo stesso tempo, le teorie riduzioniste, troppo spesso utilizzate
e amate dagli autori delle relazioni internazionali. Waltz stesso nell’introduzione al primo capitolo
della sua opera ci indica gli obiettivi che intende perseguire: “il primo, è quello di analizzare le
teorie delle politiche internazionale e gli approcci alla materia che rivendicano una qualche
importanza teorica; il secondo, è quello di elaborare una teoria della politica internazionale in grado
di porre rimedio alle lacune delle teorie attuali; il terzo, infine, è quello di esaminare alcune
applicazioni della teoria elaborata.”
Per affrontare i punti appena evidenziati, l’autore, dopo un breve excursus sulla differenza e
sull’importanza del concetto di teoria e di legge (“le leggi restano, ma le teorie nascono e
muoiono”), esamina gli approcci delle teorie della politica internazionale suddividendole in due tipi:
le teorie riduzioniste e quelle sistemiche. Le prime sono quelle teorie che si concentrano sulle cause
a livello individuale o nazionale, in cui l’intero è compreso conoscendo gli attributi e le interazioni
delle sue parti; mentre sono sistemiche le teorie che considerano anche le cause che operano a
livello internazionale. L’opera di Waltz, sin dalle prime pagine, si differenzia dalle altre: essa nasce
come aspra critica alle teorie riduzioniste (delle quali l’autore ne cita due in particolare e che
affronterò brevemente) e come rivalutazione di quelle sistemiche; sia beninteso che la teoria dei
sistemi non è una novità introdotta da Waltz, ma era già diffusa negli anni ’50-’60: si pensi ad
esempio alla teoria dei regimi di Kaplan, risalente al 1957. Egli riformula la funzione e il concetto
di teoria sistemica e la ragione è molto semplice: secondo Waltz, tutto ciò che riguarda i sistemi
formulato in passato è sbagliato. Per fare ciò però bisogna “sbaragliare la concorrenza”, ed ecco che
lo studioso americano dedica sia il secondo che il terzo capitolo del libro alla precisa e organizzata
distruzione di alcune teorie simbolo del riduzionismo, la cui pretesa è di spiegare delle conseguenze
esterne attraverso il gioco delle forze interne, e a quelle dei già sopracitati Kaplan, Hoffmann e
Rosecrance.
La teoria economica dell’imperialismo sviluppata da Hobson e da Lenin rappresenta il migliore
degli approcci di tipo riduzionista. Essa pretende di spiegare gli eventi più importanti della politica
internazionale e perfino di indicare le condizioni che consentirebbero alla pace di prevalere tramite
il legame causale che unisce il capitalismo e l’imperialismo (il primo è causa del secondo). In
verità, afferma Waltz, l’imperialismo è vecchio quanto la storia: “è sicuramente strano apprendere
che la causa è molto più recente dell’effetto che essa produce!”. Hobson e Lenin si limitano a
spiegare l’imperialismo nell’era capitalista, senza trattare quali siano state le cause
dell’imperialismo nei periodi precedenti; la loro teoria non cerca di risolvere questi problemi.
L’accettazione di essa si è fondata sull’attrattività delle sue argomentazioni economiche sulla
manifesta verità che gli stati a capitalismo avanzato dell’epoca furono effettivamente fra i più
impressionanti costruttori di imperi della storia. Ovviamente entrambe le teorie, molto simili tra
loro se non per alcuni argomenti (Hobson crede nella redistribuzione della ricchezza, Lenin invece
pensa che i capitalisti che esercitano il loro controllo sui governi non permetterebbero simili
politiche; e ancora Hobson crede nella possibile cooperazione degli stati capitalisti nello
sfruttamento dei popoli arretrati; Lenin al contrario crede che le imprese di cooperazione non
resisterebbero nel tempo), hanno dei problemi di fondo, oltre a quello storico, che Waltz evidenzia. I
più importanti possono essere riepilogati attraverso pochi punti:
il surplus, concetto trattato nelle due teorie marxiste, non è detto venga investito solo da stati
1. imperialisti oppure venga prodotto da paesi che furono al contempo imperialisti e capitalisti;
non è detto che tutti gli stati capitalisti siano imperialisti (Usa);
2. non è detto che tutti gli stati imperialisti siano capitalisti (Russia, Giappone…).
3.
Ciò ci permette di concludere che Hobson e Lenin hanno concentrato la propria attenzione su
importanti attributi di alcuni degli stati maggiori della loro epoca. Queste teorie, dunque, sono solo
parziali e sostengono che una relazione imperialista esiste soltanto se lo stato ha determinate
caratteristiche economiche, cioè l’essere capitalista. Nelle conclusioni delle proprie tesi, per
comprendere quanto il riduzionismo becero perseveri nei loro scritti, sostengono che solo
l’eliminazione del capitalismo possa portare all’eliminazione dell’imperialismo e alla pace
mondiale.
Terminata l’analisi di queste teorie, Waltz tenta di spiegare, nel terzo capitolo, l’importanza di una
teoria che sia sistemica e quanto abbiano sbagliato i suoi predecessori nel tentativo di costruirne
una. Con parole pregnanti di significato effettua il passaggio dal secondo al terzo capitolo: “lo
scetticismo sull’inadeguatezza delle teorie riduzioniste non fornisce alcuna indicazione a proposito
di quale teoria sistemica potrebbe produrre migliori risultati […] il fallimento delle teorie
riduzioniste costituisce un motivo per credere alla necessità di un approccio sistemico.”
Difatti, nella politica internazionale, operano forze a livello di sistema e Waltz tenta di concepire e
definire il sistema politico. Come afferma “un sistema è definito come un insieme di unità
interagenti. A un primo livello un sistema consiste in una struttura, e tale struttura rappresenta la
componente del livello-sistema che consente di pensare alle unità […]. Ad un secondo livello,
invece, il sistema è formato da unità interagenti.” Scopo della teoria è mostrare come questi due
livelli operino e interagiscano e per fare ciò è necessario che essi siano separati; le definizioni delle
strutture devono trascurare gli attributi e le relazioni delle unità. Gli obiettivi di questa teoria sono
due: primo, individuare la prevedibile evoluzione dei diversi sistemi internazionali; secondo,
mostrare come la struttura del sistema influenzi le unità interagenti e come queste influenzino le
struttura. Struttura internazionale
Unità interagenti
Un approccio sistemico per Waltz concepisce il sistema politico internazionale come è illustrato
nella figura.
Dopo aver chiarito il proprio concetto di sistema, l’autore critica tre autori:
Rosecrance, perché ha complicato il tutto e ha solamente descritto la struttura, senza
1. elaborare una vera e propria teoria;
Hoffman, perché confonde gli elementi a livello di unità con quelli a livello di sistema tanto
2. da far dipendere il sistema e la struttura dalle politiche e dal comportamento degli stati;
Kaplan, perché nelle sue tesi sono presenti tre difficoltà fondamentali:
3. • sembra dimenticare che la teoria dell’equilibrio trova sua applicazione in qualsiasi
situazione dove due o più unità coesistono in un sistema fondato sul self-help;
• non riesce a tenere fuori dalla definizione di struttura gli attributi e le interazioni
delle unità che la compongono;
• un approccio sistemico è necessario soltanto se la struttura del sistema e le sue unità
interagenti si influenzano reciprocamente e ha successo solo se gli effetti strutturali
sono chiaramente mostrati e definiti.
Questa “distruzione sistematica” delle altre teorie permette a Waltz di andare avanti con la propria e
di formulare nel cuore della sua opera, ovvero a ridosso della fine del quarto capitolo e per tutto il
quinto capitolo, il funzionamento della struttura e le sue caratteristiche fondamentali.
“La struttura di un sistema, afferma lo studioso, agisce come limite e forza ordinatrice”. Essa crea
dei vincoli e delle opportunità per gli stati, ma non ne determina la condotta. La struttura non
produce i suoi effetti direttamente ma influenza, in modo indiretto, il comportamento all’interno del
sistema. Questi effetti possono essere prodotti in due modi: attraverso la competizione fra gli attori
e attraverso la socializzazione tra essi. La prima è un processo di selezione che incentiva processi di
emulazione verso gli attori di maggiore successo, in altri termini genera un ordine a cui le unità
adeguano le loro relazioni attraverso atti e decisioni; la seconda porta invece i membri di un gruppo
ad agire in conformità con le sue norme.
A