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II. IL LINGUAGGIO DELLA MODA
Il linguaggio della moda differisce notevolmente dalla lingua comune. Il linguista Alberto Sobrero
riporta la definizione di Gaetano Berruto, riguardante i sottocodici: "varietà diafane che
caratterizzate da un lessico speciale, in relazione a particolari domini extra-linguistici e alle
corrispondenti aeree di significato". Secondo tale definizione, i sottocodici che Sobrero chiama
lingue speciali, sono le variazioni della lingua legate a particolari settori e discipline con un lessico
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specialistico, per esempio la medicina, la fisica e lo sport.
Le lingue speciali possono essere divise in lingue specialistiche e lingue settoriali. La caratteristica
principale delle prime è quella di avere un lessico specifico con norme particolari di struttura
testuale e di formazione dei neologismi. Le lingue specialistiche, invece, riguardano le discipline ad
altro grado di specializzazione e servono ad un discorso o testo scientifico-tecnico che risponde ai
criteri di precisione, oggettività, esattezza, neutralità emotiva, assenza di ogni ambiguità e densità di
informazione. Le lingue specialistiche ricorrono spesso a prestiti non adattati o a calchi, formano
neologismi, sigle ed acronimi ed utilizzano unità lessicali della lingua comune però con un
significato diverso. Le lingue settoriali riguardano invece i settori non tanto specialistici. Si tratta ad
esempio della lingua della pubblicità, della politica e dei giornali. Le lingue settoriali non
dispongono di un lessico specifico e si diffondono per lo più tramite i mezzi di comunicazione di
massa; i testi e i discorsi, poi, sono destinati a un'utenza molto più ampia delle lingue
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specialistiche. Pertanto, secondo la divisione proposta da Sobrero, il linguaggio della moda
apparterrebbe alla categoria delle lingue settoriali, perché si trova molto vicino alla lingua delle
pubblicità e dei giornali; è diffuso attraverso i mass media ed è destinato ad ampio pubblico, pur
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avendo anche alcuni tratti delle lingue specialistiche.
II.1. Il campo di origine
Il perimetro del linguaggio della moda è difficile da definire. Il termine moda (dal fr. mode,
15 Alberto A. Sobrero, Introduzione all'italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Roma, Editori Laterza, 2008,
pp. 230-240.
16 Marta Schlemmerovà, L'interferenza linguistica: i francesismi nella lingua settoriale della moda, Tesi di laurea in
filologia romanza, anno accademico 2009-2010.
Disponibile all'indirizzo: http://is.muni.cz/th/180643/ff_b_b1/Bakalarska_prace.pdf.
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connesso al lat. modus «maniera») è attestato per la prima volta in italiano nel trattato
moraleggiante “La carrozza da nolo, ovvero del vestire alla moda”(1648) di Agostino
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Lampugnani. La formazione del linguaggio, tuttavia, è da ritenersi anteriore alla pubblicazione di
questa opera, dato che del lusso ornamentale si ha attestazione fin dalle origini dell'Italiano. Sia che
la necessità di vestirsi nasca dall'esigenza primaria di coprirsi dal freddo, o da un bisogno di
distinzione, oppure che si debba al pudore, in ogni caso, gli abiti accompagnano ab originis la vita
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quotidiana degli uomini. Nella loro varietà ed evoluzione, riflettono sia l'assetto climatico-
ambientale, sia le caratteristiche economiche e socio-culturali delle civiltà che li adottano. Dunque,
la storia della moda si pone al crocevia tra ambiti disciplinari disparati ma fittamente interrelati,
come l'economia, la politica, la semiologia, la sociologia, l'archivistica, la letteratura, la linguistica,
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la psicologia, l'etica e persino, secondo l'intuizione di Flügel, l'architettura e l'arredamento. Se in
italiano il francesismo moda è documentato a partire dalla metà del Seicento, la tradizione
storiografica del fenomeno è sostanzialmente concorde con il fissarne la nascita, per quanto
riguarda il mondo occidentale, verso la metà del Trecento, quando dall'abito ampio e drappeggiato
unisex e soggetto a scarsissime variazioni diacroniche, diastratiche e geografiche, si passa ad un tipo
di abbigliamento nettamente distinto in base al sesso: una differenziazione accolta da principio
soprattutto dai giovani e dalle donne e che aprirà la strada all'affermazione del principio di
distinzione individuale da raggiungersi attraverso il modo di vestire. Si è specificato che tale
periodizzazione riguarda il mondo occidentale: racconti di viaggi e studi storici documentano infatti
fin dall'età più antiche la dicotomia tra questo mondo, sovente descritto come ammorbato dalla
mania della moda, e quello orientale, che invece ne era quasi totalmente immune. Come rivela
Daniel Roche, « La moda sollecita chi desidera mettersi in mostra; futile ed irrequieta, da sempre
essa ha animato i commerci, ha incarnato il cambiamento. Per l'Occidente, la moda è stata una
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maestra di civiltà». Al contrario, la staticità che deriva dalla sacralità della tradizione, considerata
esemplare e non ulteriormente perfettibile, comporta una riproposizione di modelli del passato e
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quindi, di fatto, impedisce il sorgere di un sistema della moda.
II.2. Il linguaggio strutturale
La prima regola che governa l'uso delle forme verbali della moda è quella individuata dal sociologo
18 Maria Catricalà, Linguaggio della moda in Enciclopedia dell'Italiano, Treccani, 2011. Disponibile all'indirizzo:
http://www.treccani.it/enciclopedia/linguaggio-della-moda_(Enciclopedia-dell'Italiano).
19 Giuseppe Sergio, Parole di moda, Milano, FrancoAngeli, 2010, pp. 13-17.
20 John Carl Flügel, Psicologia dell'arredamento, Milano, FrancoAngeli, 1974, pp. 175-179.
21 Daniel Roche, Il linguaggio della moda, Torino, Einaudi, 1991, pp. 5-9.
22 Vedi Nota 19. 9
George Simmel ed è attiva nell'intero complesso del sistema di forme e fogge vestimentarie assurte
a strumenti d'identità sociale, di comunicazione e di rappresentazione simbolica delle culture
diverse. In base a tale norma, ogni fenomeno di moda rivela al contempo una tendenza collettiva
all'imitazione quanto un'arrestabile esigenza alla differenziazione, cerca insieme il consenso e il
disappunto sociali, l'omologazione e la singolarità dell'eccezione. Ciò favorisce, evidentemente, non
solo un'arrestabile pressione verso la neologia più sfrenata, ma anche la sua rapidissima diffusione,
una frequente obsolescenza ed imprevedibili recuperi. La seconda regola individuata, propria del
codice della moda, impone a modanti e modaioli, da una parte, uno spiccato gusto per gli
internazionalismi e l'abbattimento di molti confini geografici e di ogni soglia temporale, e dall'altra
la tendenza a mantenere tracce toponomastiche e cronologiche funzionali al riconoscimento della
origine esotica e stravagante d'abiti e accessori. Ugualmente avviene sull'asse della distrasia sociale
e delle varietà di registro, in cui le forme più tecniche, elaborate retoricamente o colte si mescolano
ad alcune di tradizione regionale, anche se mai dialettale o popolare, come invece avviene in altri
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settori. Questo ulteriore aspetto ossimorico del linguaggio della moda ne rivela la terza e
fondamentale legge generale, quella che distingue l'uso del costume come puro artefatto utile a
riparare il corpo, per la sopravvivenza e per pudore, da quello indossato come orpello ludico,
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funzionale a innovare per fini commerciali e a stupire per sedurre.
II.2.1 La struttura del lessico
L'attuale mappa lessicale della moda suggerisce una serie di itinerari diversi da quello storico-
etimologico. Ogni voce può essere collocata, per esempio, in uno specifico dominio iperonimico
(come abbigliamento femminile) o di base (come gonna, pantalone, calza, etc.) o iponimico (come
gonna a portafoglio, a tubino,etc.; pantalone jeans, short, palazzo, etc.; calza collant, autoreggente,
calzamaglia, etc.). Gli iponimi sono i più esposti al rinnovamento e alla obsolescenza.
Recentemente, i termini base sono usati in composti tipo gonna-pantalone o abito-sottoveste. Sul
piano funzionale, il fenomeno corrisponde alla strategia inventiva che cerca nell'incrocio nuove
soluzioni di vestibilità; rispetto alla struttura del lessico, la tendenza ha favorito l'apparizione di
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forme prefissali nuovissime, come -panta (pantagonna e pantajazz, etc.).
23 Maria Catricalà, Il linguaggio della moda in Lingua ed identità. Una storia sociale dell'italiano, Roma, Carocci,
2006, pp. 2-8.
24 Giorgia Mavica, Processi di inclusione ed esclusione sociale attraverso la moda, dottorato di ricerca in scienze
umane, anno accademico 2010-2011. Disponibile all'indirizzo:
http://dspace.unict.it/bitstream/10761/1205/1/MVCGRG80D69C351B-Tesi%20Mavica%20Giorgia.pdf.
25 Vedi nota 18. 10
II.2.2 I forestierismi all'interno del linguaggio settoriale della moda
Parole straniere e forme esotiche, conservate nella loro forma originaria per enfatizzare l'idea di
ricercatezza e rarità, costituiscono una parte rilevante del lessico della moda. Il primato spetta al
francese; tale influenza è testimoniata da una serie di termini come haute couture, mannequin e
dèfilè che sono entrati nell'uso dell'italiano contemporaneo. Il trattamento del francesismo è stato
vario e continua ad essere alterno nelle forme di assimilazione grafica, fonetica e morfologica.
Tuttavia, per quanto il francese sia sempre stato diffuso nelle riviste di maggior prestigio, nella
pubblicistica dedicata a un pubblico più giovane, il processo di anglicizzazione si sta manifestando
con incidenza sempre maggiore. Molti anglicismi, infatti, presenti nel lessico di base, non hanno
una corrispondente forma italiana: baby doll, body, patchwork, pullover, slip, t-shirt e, quindi,
vengono presi in prestito. Di solito, l'aspetto grafico rimane invariato e il genere viene stabilito con
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riferimento a quello della parola italiana approssimativamente o idealmente corrispondente.
26 Vedi Nota 18. 11
Terzo Capitolo
III LA SPECIFICITA' DEL LINGUAGGIO SETTORIALE
III.1. Descrizione del metodo di lavoro
Per lo scopo della presente tesina, è stato esaminato un articolo tratto dalla rivista di moda Vogue,
uscito nel Marzo 2014, numero 763. Si ė osservato il lessico e si sono analizzati i forestierismi e le
locuzioni utilizzati nel campo semantico della moda. Per effettuare tale procedimento, sono stati
consultati tre dizionari della lingua italiana: “Dizionario della lingua italiana” di Tullio De Mauro,
edito dalla casa editrice Paravia nell'anno 2007; “Lo Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana”
di Nicola Zingarelli, edito dalla casa editrice Zanichelli nell'anno 2005 e “Il Devoto-Oli.