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CAP. 3 IL COLLOQUIO CLINICO
Il colloquio, per ricchezza e duttilità, deve essere considerato lo strumento principale della
psicologia clinica, capace di conseguire la comprensione del paziente nella relazione. Il colloquio
clinico si connota come una forma specializzata di comunicazione finalizzata alla raccolta di
informazioni e alla produzione di conoscenza su un’altra persona. Il conduttore sospende ogni
atteggiamento valutativo e, mediante tecniche non direttive, consente alla persona di sentirsi
valorizzata. In generale, comunque, é possibile individuare alcuni elementi costitutivi del colloquio:
la motivazione che ha determinato l’incontro clinico, il contenuto dello scambio, i ruoli assunti dai
partecipanti, gli esiti dell’incontro stesso. In particolare, per quanto riguarda la motivazione a
richiedere una consultazione psicologica, questa è sempre in qualche modo contraddittoria e la
spinta stessa al cambiamento é in qualche misura ambivalente: da un lato l’individuo é sostenuto da
un desiderio di conoscersi e cambiare, dall’altro questa modificazione, spesso sostanziale degli
equilibri individuali e interpersonali, spaventa e per questo viene contrastata. La richiesta di un
colloquio psicologico è solitamente alimentata da molte aspettative e speranze, spesso
accompagnate da altrettante preoccupazioni relativamente a timori di giudizio, disapprovazione,
intrusione, perdita della propria autostima, malessere legato ad un incremento degli stati di ansia o
di colpa. Quando la motivazione è intrinseca, il soggetto é spinto a chiedere autonomamente il
colloquio per raggiungere un certo grado di conoscenza, mentre nelle situazioni di motivazione
estrinseca l’interesse per l’incontro riguarda maggiormente un tema proposto dallo psicologo.
Obiettivo della consultazione psicologica, condotta attraverso il colloquio, è, non solo definire la
problematicità di taluni schemi di funzionamento pulsionale, ma anche rilevare potenziali risorse al
fine di ridare all’individuo la complessità della propria realtà psicologica. Particolarmente
importante diventa confrontare il paziente con tutto ciò che può costituire un eventuale
impedimento al lavoro clinico. Spesso tale impedimento si palesa nella difficoltà ad accettare la
dimensione organizzativa che viene posta a cornice del processo clinico.
3.1 Modalità di conduzione del colloquio
In un colloquio altamente strutturato al soggetto vengono poste domande ben precise, su aree
determinate, seguendo un ordine prefissato (per es. colloqui di ricerca). Colloqui con un grado
minimo di strutturazione, invece, concedono ampia libertà di espressione al paziente e gli interventi
del conduttore sono circoscritti (per es. colloqui di psicoterapia). Sulla modalità di conduzione del
colloquio influiscono anche la specificità e la numerosità dei temi trattati, cosicché più é specifico
e/o ristretto il loro numero più sarà necessario guidare il soggetto. L’andamento del colloquio,
inoltre, risente molto della possibilità di decentramento di entrambi i partner e, in particolare del
clinico, che deve poter regolare i propri interventi sulla base di un continuo monitoraggio di quanto
va accadendo.
3.2 Linguaggio e tipi di domande
Il colloquio è caratterizzato dal linguaggio come principale mezzo di comunicazione tra psicologo e
paziente, sebbene in realtà avvenga un’integrazione simultanea tra aspetti verbali, paraverbali,
cinesici. Per quanto riguarda il linguaggio, esso deve risultare chiaro e appropriato alle
caratteristiche del soggetto (livello di sviluppo, status culturale, aspetti di personalità). Mentre,
rispetto alla categoria del domandare, si distinguono le domande in: aperta, chiusa, interlocutoria,
indiretta, proiettiva.
Le domande aperte sono quelle che massimamente facilitano il discorso in quanto non richiedono
una risposta secca, ma incoraggiano un’articolazione del pensiero.
Le domande chiuse prevedono una risposta dal tipo si/no. Riducono la verbalizzazione e possono
essere utili quando appare necessario limitare la produzione dal paziente o focalizzare in maniera
puntuale qualche aspetto specifico.
Le domande interlocutorie sollecitano un’esposizione più elaborata di pensieri, sentimenti,
problematiche personali.
Le domande indirette consentono di esplorare cosa il paziente sente o pensa senza avvicinare il
paziente ad una distanza che potrebbe essere sentita come intrusiva.
Le domande proiettive consistono nel chiedere al soggetto di immaginarsi una situazione ipotetica e
di descrivere quali pensieri, sentimenti a comportamenti avrebbe sa si trovasse in una condizione
analoga.
Le domande devono essere brevi, chiare e poste una per volta, non devono comprendere termini
connotati in senso valutativo e devono poter incoraggiare nel soggetto una migliore elaborazione.
La facilitazione del colloquio può avvenire mediante il ricorso a diverse strategie:
1. riformulazione, per cui le parole chiave del discorso vengono riprese e riproposte in forma
interrogativa;
2. reiterazione a riflesso semplice, in cui si riassumono le parole del soggetto o gli si ripropongono
le ultime pronunciate;
3. sintesi che consiste nel riassumere brevemente le principali idee espresse;
4. riflesso parziale, in cui si riprende una parte del discorso per sollecitarne un approfondimento;
5. verbalizzazione di sentimenti, in cui il clinico ripropone al soggetto i sentimenti che gli è
sembrato di cogliere dalle sue parole;
6. comportamento ad eco, soprattutto di tipo mimico e prossemico, che consente di esprimere la
partecipazione alla conversazione;
7. riconduzione del soggetto al tema, distogliendolo dalle divagazioni.
3.3 Ascolto e silenzio
L’attività psicologica è prevalentemente fondata sull’ascolto dell’altro. Sottolineare la dimensione
dell’alterità consente di individuare l’obiettivo clinico in un processo di progressiva conoscenza di
un soggetto inizialmente estraneo. La dimensione dell’ascolto, come spazio concesso alle libere
comunicazioni del paziente, contemporaneamente costituisce uno spazio che il clinico concede a se
stesso per poter accogliere, e successivamente comprendere le comunicazioni del paziente e le
sollecitazioni emotive suscitate dall’incontro. Ascoltare significa comprendere le espressioni del
paziente, le sue idee e i suoi punti di vista, ma anche entrare in contatto con la parte più intima e
non visibile, abitata da ansie, preoccupazioni, vergogna, inquietudini. Ascoltare è l’abilità ad
assumere immaginativamente la posizione del parlante. Questo comporta una risonanza empatica
con l’esperienza dell’altro e la possibilità di comprenderla sospendendo l’atteggiamento valutativo e
moralistico. La competenza comunicativa è costituita da tre abilità specifiche:
- abilità nella ricezione: essere capaci di cogliere e decodificare i segnali inviati dall’interlocutore,
verbali e non verbali
- abilità nell’inviare i messaggi: essere capaci di utilizzare registro verbale e non verbale e di
integrare tra loro i due registri.
- abilità intraindividuale: essere capaci di operare movimenti interni di consapevolezza e feedback
al fine di realizzare un costante monitoraggio dei propri comportamenti comunicativi.
Parte integrante dello scambio verbale che si verifica nel corso del colloquio é il silenzio. In
generale si ritiene che il silenzio può esprimere un momento di insight e riflessione, può instaurare
un clima di ascolto e recettività al servizio dell’alleanza terapeutica, può derivare da aspetti
emozionali e fantasie che per la loro intensità comportano una sospensione delle parole, può
manifestare opposizione o resistenza. La possibilità di cogliere il senso del silenzio consente al
clinico di regolare la propria posizione e di orientare i propri interventi, cosi da facilitare la
prosecuzione del colloquio. Specularmente, anche i silenzi del clinico possono essere empatici,
riflessivi e volti alla comprensione oppure vuoti, disorientati e difensivi rispetto alle comunicazioni
del paziente.
3.4 Tecniche espressive e tecniche supportive
In campo psicodinamico, viene generalmente proposta una distinzione concettuale tra tecniche
espressive e tecniche supportive, laddove le prime sono finalizzate all’analisi delle difese e al
recupero dei contenuti rimossi, mentre le seconde peculiarmente definiscono terapie di sostegno.
Tra le tecniche supportive propriamente dette figurano i commenti empatici, le rassicurazioni, gli
incoraggiamenti, i consigli, le spiegazioni, le informazioni, le riproposizioni. Tali tecniche devono
essere usate con cautela in quanto tendono a sostenere, e talvolta a favorire, i desideri di passività
del paziente non attivando nessun processo di autonoma e creativa esplorazione di sé.
Obiettivo delle tecniche espressive è, invece, quello di favorire nel paziente la comprensione, a
livello sia cognitivo sia emotivo, delle origini e dei significati inconsci del proprio comportamento e
delle proprie modalità di relazione. Le principali tecniche espressive sono la confrontazione, la
chiarificazione e l’interpretazione. La confrontazione sostiene l’esame di realtà del paziente e
consiste nel mettere a confronto affermazioni e/o comportamenti che presentano contenuti tra loro
contraddittori al fine di giungere ad una visione integrata, non scissa, della realtà. La chiarificazione
fornisce collegamenti tra elementi consapevoli ed elementi inconsapevoli, o più confusi, al fine di
esplicitare le interconnessioni tra i vari aspetti e conseguire un’immagine più coerente
dell’esperienza. L’interpretazione, infine, è la tecnica più espressiva delle tre e si rivolge alla ricerca
del senso dei comportamenti del paziente.
3.5 Fasi del colloquio
Preliminarmente va considerata la modalità di invio del paziente perché da questa dipendono aspetti
quali la motivazione ad un lavoro psicologico, la consapevolezza rispetto all’incontro clinico, le
aspettative. Spesso le persone contattano uno psicologo clinico su pressione della famiglia, su
consiglio di un amico o su indicazione di un medico e ciascuna di queste situazioni va attentamente
considerata per poter cogliere la posizione reale del paziente ed eventualmente accompagnare
movimenti interni di maggiore consapevolezza. La fase iniziale ha come scopo quello di introdurre
il clinico e il soggetto alle finalità del colloquio. Dopo aver accolto il paziente, il clinico dovrà
presentarsi esplicitando la propria posizione professionale (psicologo, psicoterapeuta, modico,
psichiatra) e definendo con chiarezza il contesto all’interno del quale il colloquio si colloca. Nel
caso in cui il soggetto non abbia richiesto di