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I clinici dal loro canto, dovrebbero avere molta esperienza con lo sviluppo dei
bambini normali altrimenti si fa molta fatica a riconoscere gli indicatori di
rischio di uno sviluppo che normale non sta diventando. Nel percorso di
sviluppo dei bambini tipici quello che dobbiamo tenere sempre presente è la
preferenza innata dei bambini per l’animato rispetto all’inanimato, nel senso
che quando è presente una persona che cerca un’interazione con loro, i
bambini si interessano alla persona, hanno una preferenza per il volto, tendono
a sincronizzarsi con la persona e hanno un pianto comunicativo. Inoltre i
bambini normali sono prevedibili nel loro sviluppo, hanno tappe diverse ma c’è
comunque una regolarità, non ci sono arresti né regressioni significative
(perdita di abilità precedentemente acquisite). Per ultimo sono icomunicativi.
Uno dei paradigmi che viene utilizzato a dimostrazione di ciò è l’abilità
dell’attenzione condivisa che si manifesta tra i 10 e i 12 mesi di età.
Un altro fenomeno che riguarda lo sviluppo è il paradigma classico del finto
precipizio per cui il bimbo che sta gattonando su un tavolo di vetro ha la
sensazione della presenza di un precipizio; a questo punto il bimbo con
sviluppo normale guarda sua mamma per capire cosa sta succedendo e si è
visto che se si interferisce con l’espressione mimica (neutra, positiva o
preoccupata), il comportamento del bimbo si modifica: con espressione
positiva il bimbo si rassicura e procede, mentre con quella preoccupata si
ferma i bimbi già precocemente sono capaci di utilizzare la mimica e
l’espressione emotiva dell’adulto per fare una serie di riflessioni su quello che
gli sta accadendo. Nei bimbi autistici questo fenomeno del riferimento sociale
non c’è: c’è l’attaccamento e le relazioni di attaccamento, ma non si utilizzano
le espressioni mimiche dell’altro per dedurne dei significati rispetto alla
situazione e non c’è nemmeno l’attenzione condivisa perché non c’è l’uso della
modulazione dello sguardo (si concentrano prevalentemente sulla parte
inferiore del volto).
Come facciamo a sapere come si sviluppano i bambini con disturbi dello spettro
e cercare di individuarli precocemente? Fino a un certo punto ci si è basati su
quello che i genitori riferivano e sulla base di ciò, si faceva un elenco di
comportamenti suggestivi di disturbi dello spettro già nel secondo anno. Poi c’è
stata l’era delle video registrazioni delle feste di compleanno di bambini che, in
seguito, hanno avuto diagnosi di autismo in cui si ricavavano una serie di
comportamenti già evidenti al compimento del primo anno. A un certo punto ci
si è posti nella dimensione non degli studi retrospettivi ma prospettici, si sono
così reclutati i fratelli dei soggetti autistici e si è studiato il loro sviluppo visto
che c’era una discreta probabilità che i fratelli presentino un disturbo dello
spettro o un fenotipo lieve; sulla base di questi studi sui fratelli si sono
individuati una serie di markers riportati come indicatori di rischio di disturbi
dello spettro :
nessun interesse per il volto e sorriso sociale dai 4 mesi
- nessun grande sorriso e espressione di gioia dai 6 mesi
- scarsa regolazione dell’affettività (sono molto irritabili)
- scambio di vocalizzazioni e gesti che è caratterizzato da scarsissima
- condivisone dei suoni, delle espressioni mimiche dai 9 mesi
l’assenza della risposta al nome dai 12 mesi
- nessuna vocalizzazione o lallazione dai 12 mesi
- assenza di gesti reciproci tipo indicare, mostrate dai 12 mesi;
- dal punto di vista comunicativo nessuna parola dai 16 mesi, nessuna
- associazione di parole per fare una frase dai 2 anni e, in ogni caso,
qualsiasi perdita di linguaggio o vocalizzazione a qualsiasi età.
Uno studio molto recente di Rebecca Landa si è occupato di vedere attraverso
l’applicazione di una scala di sviluppo come si sviluppano i bimbi, i fratelli e i
soggetti autistici tra i 6 e i 36 mesi e ha individuato quattro classi che sono:
una classe che ha uno sviluppo accelerato e precoce;
1. una classe con uno sviluppo normale;
2. una classe che ha ritardo di sviluppo motorio e linguistico
3. una classe che ha uno sviluppo lento in tutti gli ambiti.
4.
Poi si è andato a vedere a 3 anni di età quanti di questi soggetti prendevano
una diagnosi di disturbo dello spettro autistico e la maggior parte dei soggetti
dell’ultima classe risultava avere un disturbo dello spettro. Il 42% ha un
disturbo dello spettro che può essere identificato precocemente o tardivamente
e che sommato al 6,5% dell’autismo dello spettro ampio fa un 48% circa di
soggetti. Mentre nelle altre classi la % di soggetti che ricevono una diagnosi dei
disturbi dello spettro è minore. Quindi il dato più allarmante è essere di fronte a
un ritardo di sviluppo che riguarda un po’ tutte le competenze.
Sono stati introdotti sistemi di screening comportamentale nei bambini che
facevano visite pediatriche: sono praticamente dei questionari somministrati al
genitore rispetto tutta una serie di abilità che dovrebbero essere presenti tra i
18 e i 20 mesi.
Tuttavia non ci sono dati certi rispetto l’utilità dello screening precoce.
L’uso di questi sistemi di screening ha fatto vedere però che quando lo
screening era positivo, il pediatra si allarmava e ricontattava la famiglia e si
cominciava a porre l’attenzione sullo stato di rischio rispetto allo sviluppo e che
quindi i genitori fossero più attenti e solleciti a proporre situazioni di gioco.
Quindi l’utilizzo di per sé dello screening come strumento non è efficace
nell’individuare precocemente i bambini che diventeranno autistici, ma è
efficace il modo di proporsi del pediatra rispetto a un’attenzione riguardo lo
sviluppo delle competenze sociali e comunicative che va monitorato nel tempo.
Il disturbo si può diagnosticare dai 2 anni di età anche se i sintomi possono
essere presenti prima e sicuramente è diagnosticabile dopo i 30 mesi con
certezza,
Delle linee guida pubblicate nel 2011 sostengono come sia necessario avere
dei professionisti esperti in autismo per riuscire ad avere una diagnosi
attendibile per bambini in età precoce. Esistono delle modalità standardizzate
attraverso cui raccogliere dati osservabili: vanno raccolte informazioni sia dai
genitori riguardanti la storia di sviluppo, le abilità sociali, di comunicazione e
comportamenti ripetitivi, ma anche informazioni sullo stato fisiologico (come
gestisce il sonno, le condotte alimentari, le informazioni sensoriali), aspetti che
non fanno parte dei disturbi dello spettro autistico, ma che è importante
conoscere perchè spesso questi bimbi hanno condotte selettive dal punto di
vista alimentare, hanno un sonno disturbato o hanno degli interessi sensoriali
atipici.
Una volta che si arriva alla conclusione diagnostica immediatamente i genitori
si interrogano sul futuro, su cosa è necessario iniziare a fare, su quali obiettivi
devono focalizzarsi o sui tipi di trattamento a cui il clinico deve rispondere. La
domanda più frequente è: “Come me lo posso immaginare quando avrà 20
anni?” si apre l’orizzonte di un percorso di sviluppo con moltissimi ostacoli.
Nessun ovviamente potrà dare delle risposte su come sarà il livello di
autonomia che uno di questi bimbi potrà raggiungere a 20 anni. La questione è
cominciare a lavorare con i genitori su un percorso che si concentra sullo step
by step; è un lavoro costante che si deve fare con i genitori perché il loro
sguardo cerchi di valutare i progressi e le abilità nei 6 mesi successivi dall’inizio
del trattamento. Le forme che recuperano un funzionamento normale ci sono.
Esistono percorsi di intervento molto diversi tra loro, però è ormai ampiamente
documentato che i percorsi di intervento che funzionano meglio sono quelli ad
impronta cognitivo-comportamentale che utilizzano i principi dell’educazione
strutturata: porsi obiettivi comportamentali che abbiano come base la
creazione uno spazio di condivisione con il bambino autistico in modo che si
formulino degli atti comunicativi più semplici da acquisire e che
successivamente saranno di altro genere. Anche se noi abbiamo a disposizione
il miglior trattamento possibile, ci sono bimbi che rispondono all’intervento e
quindi migliorano molto diventando bimbi ad alto funzionamento e bimbi che
invece non rispondono al trattamento.
Secondo uno studio del 2007 si riteneva che il dato prognostico più significativo
fosse il dato dello sviluppo linguistico; attualmente ci sono anche altri fattori
che vengono valutati come indicatori prognostici positivi come la presenza di
competenze imitative sia motorie che verbali così come la capacità di
attenzione condivisa. Quindi quando noi impostiamo un intervento su un bimbo
autistico di 2 anni e mezzo/3 anni ci poniamo come primo obiettivo quello di
fare in modo che si raggiungano queste abilità.
La sindrome di Asperger (ad alto funzionamento), è la forma che viene
riconosciuta meglio rispetto al passato. Sono bambini la cui sintomatologia si
manifesta in modo diverso e più tardivamente rispetto ai bambini con disturbo
dello spettro più classico.
Ha una prevalenza diversa, di 1 su 100 e vi è una sproporzione maggiore fra il
sesso maschile e quello femminile; mentre nei disturbi dello spettro il rapporto
è di 4 a 1, nella sindrome di Asperger è di 7 a 1 (maschi:femmine) quindi gli
Asperger molto raramente sono femmine.
Si presentano in età più avanzata quando la richiesta del contesto sociale in cui
è inserito è più alta e mostrano quindi difficoltà di gestione del contesto
sociale comunitario: si manifestano all’inserimento nella scuola materna verso i
5 anni, se non addirittura in età scolare.
Le caratteristiche.
Dal punto di vista sociale ed emotivo sono ragazzi distinguibili in due tipi:
1.soggetti che stanno molto bene da soli e non hanno intenzione di modificare
la loro esistenza perché il contatto sociale non gli interessa e 2. ragazzi che
sono molto interessati al contatto sociale ma non hanno le competenze per
effettuare un approccio che sia vissuto dagli altri in modo adeguato e non
vissuto in modo bizzarro o strano.
Non modulano il contatto oculare, sembrano aspettarsi che gli altri conoscano i
loro stati, emozioni e pensieri; hanno la capacità di condividere, ma questa
capacità si ferma al concreto. Hanno un’espressività mimica delle emozi