Psicopatologia del linguaggio in età evolutiva – Idee deliranti
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Disturbo Schizofreniforme- sintomatologia schizofrenica breve e con esito favorevole
Schizofrenia- la forma di malattia mentale più nota e diffusa, le forme morbose schizofreniche
sono segnate dalla presenza di sintomi negativi e positivi e dal progressivo deterioramento e
depauperamento delle funzioni logiche del pensiero e quindi psicologico e sociale. Nel DSM-VI se
ne riconoscono 5 tipi:
Disturbo di tipo Paranoide- deliri (persecuzione,grandezza..) e allucinazioni
Disturbo di tipo Disorganizzato- alterazioni cognitive,comportamentali, affettive…
Disturbo di tipo Catatonico- sintomi negativi con alterazioni psicomotorie
Disturbo di tipo Indifferenziato- sintomi positivi e negativi ma differenti dagli altri tipi
Disturbo di tipo Residuo- sintomi attenuanti dalla cronicizzazione del disturbo
Disturbi Dissociativi e di Personalità mancano delle manifestazioni sintomatologiche tipiche, non
presentano deliri e allucinazioni: nei primi le manifestazioni prevalenti riguardano la sconnessione
delle funzioni della coscienza, della memoria, dell’identità o della percezione dell’ambiente.
Disturbo Dissociativo dell’Identità- il soggetto prova esperienze,inconsapevolmente, di
sdoppiamento dell’identità personale.
Disturbo di Deperonalizzazione- il soggetto soffre dichiarando che in talune circostanze
percepisce di perdere il contatto con la sua realtà personale, ed ha quindi la sensazione di vivere
esperienze a lui estranee.
Disturbo Paranoide di Personalità- il sintomo essenziale è indicato come tratto di personalità
rigido e non adattivo.
Schizofrenia e Linguaggio (2 parte)
Il fatto che la S. sia universale,cioè presente in ogni parte del mondo, ha indotto a considerare,da
parte del settore della psichiatria evoluzionista, la sua possibile causa genetica:
Marian Annett e Tim Crow ipotizzano che il gene responsabile (durante la lateralizzazione)sia
quello che consente l’organizzazione strutturale e funzionale dei due emisferi, permettendo un
maggiore sviluppo delle capacità cognitive e un incremento di funzioni nuove e sempre più
complesse come ad esempio il linguaggio.
L’epidemiologia della S ha origine con la classificazione dei disturbi mentali fatta da Kraepelin, fino
alla prima metà del XX secolo le ricerche in quest’ambito sulle psicosi hanno imboccato due
versanti,da un lato veniva messa in luce la componente genetica della malattia, dall’altro i fattori
socio-ambientali, si sono occupate,tramite delle fasi storiche, del’incidenza sulla popolazione e
prevalenza della schizofrenia, il rischio specifico per età e sesso, i rischi connessi alla familiarità
del disturbo spinte da un’esigenza culturale e da necessità metodologiche. Il primo fondamentale
elemento è un’accurata diagnosi di S. tramite una dettagliata storia clinica al momento
dell’insorgenza e durante la progressione, in più bisogna determinare la chiara età di esordio, per
calcolare il tasso di incidenza, identificare i fattori di rischio e evitare correlazioni non-causali. Il
problema che sta alla base dell’aspetto metodologico risiede nel carattere assolutamente non
organico, quindi non facilmente individuabile della S, come ad es. il fatto che bisogna far rientrare i
sintomi di ogni schizofrenico all’interno di generalizzazioni cliniche che a loro volta rientrano in
quadri diagnostici più generali, appunto per questo un’indagine peculiare viene fatta grazie al
linguaggio: la manifestazione più evidente.
Esistono molti fattori di rischio, sia biologici che psicologici, in particolare la classe sociale,l’età e il
sesso, le complicazioni ostetriche pre e perinatali(gravidanza sottopeso),l’abuso di
sostanze(droghe anche leggere), lo stress(materno) e la locazione grafica, fattori che non causano
il disturbo, ma ne possono modificare l’evoluzione e l’esito (soprattutto l’influenza della classe
sociale): secondo la spiegazione della causazione sociale le condizioni ambientali avverse
anticiperebbero l’età di inizio della S. Sappiamo bene che le condizioni sociali in cui vive un sogg
schizofrenico non determina l’anticipo dei primi sintomi, ma più semplicemente i soggetti
appartenenti ad una classe sociale più elevata hanno più probabilità di seguire una terapia che ne
faciliti l’esito positivo, anche se non c’è guarigione. Inoltre nessuno studio epidemiologico ha potuto
confermare le ipotesi riguardo il possibile decremento o aumento della S dovuto alla crescente
civilizzazione. Tutte queste caratteristiche e fattori della S hanno condotto diversi studiosi verso
un’ulteriore ipotesi, quella dell’origine genetica, è stata appunto lo studio delle storie familiari ad
aprire la strada alla ricerca dei fattori ereditari della schizofrenia anche se comunque non è stato
ancora definito un modello fondato di ereditabilità, o un gene specifico associato. Esistono due
ipotesi forti riguardo l’origine genetica delle psicosi: la teoria Rigt Shift M.Annett e la tesi dello
speciation event di T.Crow. Secondo la psichiatria evoluzionistica la S sarebbe il risvolto negativo,
il prezzo da pagare, per un particolare evento che ha determinato l’evoluzione dell’uomo, questo
evento è la lateralizzazione, il vantaggio evolutivo che scinde la differenziazione dell’homo sapiens
dal resto degli ominidi, quindi, il risultato di una mutazione genetica che ha comportato una
variazione dell’assetto anatomico del cervello: la struttura cerebrale divenuta asimmetrica ha
consentito una distinzione funzionale dei compiti cognitivi, garantendo un potenziamento delle
facoltà mentali dell’uomo, come il linguaggio, dunque la lateralizzazione sarebbe la causa del
deficit schizofrenico. Tim Crow fa supporre l’esistenza di un legame tra lateralizzazione e
schizofrenia afferma che: l’ipotesi genetica pura sulle cause della S non tiene conto del fatto che
gli schizofrenici hanno una vita di relazione molto esigua. La Teoria del gene agnosico di Annett
intende dimostrare l’esistenza di un gene RS che influenza la tipica e normale asimmetria
cerebrale, in condizioni normali il gene RS agisce a discapito dell’emisfero destro che è funzionale
alla gestione della potenza della mente umana: associa un forte vantaggio evolutivo al genotipo
eterozigote che è formato da un allele dominante (RS+, permette l’espressione del gene) e uno
recessivo (RS-,la impedisce) la cui azione produrrà un deficit singolo nell’emisfero destro, che ne
determinerà una migliore gestione; se il genotipo è formato da RS++, il gene andrà a colpire con
un doppio deficit l’emisfero provocando un indebolimento, se è omozigote RS- - non permette
l’espressione del gene e la lateralizzazione. In sostanza la lateralizzazione è funzione dell’azione
del gene RS che arresta lo sviluppo delle aree neocorticale correlate al linguaggio: la patologia
emerge quando l’allele RS+ è appaiato con la sua mutazione, il gene agnosico (RS+a) ,per la
destra e la sinistra, che ha perso le istruzioni direzionali, cioè, questo gene potrebbe danneggiare
a random l’emisfero destro o sinistro (allele mutato si potrebbe congiungere o con un allele
dominante o recessivo); si può concludere che la sua ipotesi correla la S. ad una lateralizzazione
alterata geneticamente. T.Crow aggiunge un elemento fondamentale alla spiegazione evolutivo-
genetica delle S, la connessione con il linguaggio: è responsabile un gene però le sue
manifestazioni sono linguistiche. La variazione del grado di lateralizzazione è specie-specifica
del’homo sapiens, ed è associata con la capacità per il linguaggio che caratterizza la nostra
specie, dunque, il cambiamento genetico (speciation event) che ha consentito il vantaggio
evolutivo ha permesso ai due emisferi di svilupparsi indipendentemente, fondamentale è il ruolo
del corpo calloso che gestisce i tempi di trasmissione intraemisferica: il grado di lateralizzazione è
importante sia per le capacità accademiche che soprattutto per la predisposizione alla S, correlata
a sua volta all’asimmetria cerebrale, il gene della lateralizzazione è locato,secondo Crow, su un
cromosoma sessuale. Secondo Crow la S sarebbe il prezzo che l’uomo paga al linguaggio
essendo questo funzione della lateralizzazione. La disfunzione profonda della lateralizzazione
genera diversi disturbi, e coinvolge in primo luogo il linguaggio, installatosi nella struttura cerebrale
grazie alla divisione funzionale dei compiti tra i due emisferi. In sostanza considera la S specifica
dell’uomo perché determinata dalla modificazione di una struttura altamente specie-specifica,
quella che ha determinato il salto evolutivo del sapiens-sapiens. Senza il gene che ha differenziato
gli emisferi non sarebbe esistita la specie umana, l’asimmetria sarebbe quindi una conquista
evolutiva recente, che ha subito molte smentite dagli studi paleo linguistici, i quali evidenziano che
la S sia molto più antica dell’homo sapiens era presente anche negli ominidi, dal loro punto di vista
la mutazione che avviene nella lateralizzazione è responsabile della funzionalizzazione
indipendentemente dagli emisferi. Anche gli etologi sono su quest’ottica, nel senso che forniscono
prove dell’impossibilità che la lateralizzazione abbia causato il salto evolutivo dell’uomo moderno.
Possiamo affermare che la lateralizzazione più che un elemento di distinzione evolutiva dell’uomo
può essere considerato un universale transpecifico. Secondo Crow i disturbi linguistici dello S non
sono strettamente legati all’alterazione dei processi di lateralizzazione, perché se così fosse le sue
prestazioni articolatorie e sintattiche dovrebbero essere danneggiate. Invece appunto la
caratteristica del linguaggio è la sua assoluta correttezza, il suo rigoroso articolarsi in strutture
sintattiche complesse, ed alcuni studiosi hanno dimostrato che queste non sono di certo dovute a
deficit: il difetto risiederebbe nell’incapacità di radicamento ontologico del linguaggio. Sarebbe,
dunque, la struttura anatomica lateralizzata a determinare la specificità delle funzioni superiori, non
il contrario: la lateralizzazione anatomica e funzionale potrebbe essere considerata da questo
punto di vista un universale tran specifico. A fornire una spiegazione riguardo il legame tra
lateralizzazione e processi evolutivi fu la psichiatria evoluzionista, da qui nacque la necessità a
formulare una nuova ipotesi filosofico-linguistica che analizzi e interpreti il rapporto tra modalità di
esistenza (psicotica e normale) e forme di vita linguistiche. Nel caso delle psicopatologie è proprio
il concetto di specie-specificità ad assumere un ruolo importante: uno dei primi ad utilizzare questo
approccio fu Chomsky nella sua linguistica cartesiana, a seguito Lorenz, tuttavia nell’etologia
contemporanea si parte dal presupposto che il comportamento è determinato in gran parte da
adattamenti filogenetici sotto forma di coordinazioni ereditarie e meccanismi scatenanti innati.
Sottraendo tutti gli stimoli esterni nel comportamento della specie, emergerà solo ciò che è
effettivamente determinato dalla dotazione filogenetica, tale dotazione è costituita solo da tutto ciò
che non può andare in altro modo da come in realtà va; la quantità di comportamenti specie-
specifici è estremamente variabile, infatti l’etologia tende a distinguere 2 specie: tendenzialmente
stenotopiche, con forte tasso di meccanismo specie-specifico, e tendenzialmente euritopiche,
tasso molto basso. Sembra che anche gli animali abbiamo, oltre che delle patologie legate a
natura organica, delle manifestazioni legate a malattie psichiche, è presente stress, sofferenza
fisica e psicologica, sentimenti frustranti, comunque il disagio psicologico animale è l’esito
dell’incapacità di adattarsi all’ambiente, infatti, in alcuni casi il comportamento anomalo
dell’animale può configurarsi come un vero e proprio atto psicotico, un atto determinato da paure
apparentemente inspiegabili e incontrollabili. La psichiatria clinico-farmacologica ha cercato di
ricreare in laboratorio condizioni nelle quali si potevano osservare i cambiamenti dell’animale nella
vista di persone estranee e/o conosciute in modo da poter definire “modelli animali di schizofrenia”.
Più di recente sono state studiate lesioni ippocampali nei ratti e nelle scimmie che
provocherebbero sintomi analoghi a quelli dei soggetti schizofrenici umani; alcuni hanno ipotizzato
che alcuni virus animali possono trasmettersi agli uomini provocando effetti simili a quelli della
depressione e S. Fatto sta che tutti i sintomi della malattia mentale animale (disagio psichico e
reazioni alle frustrazioni ambientali) non assumono mai il carattere di un’esplicita
rappresentazione, senza la quale le psicosi, e la S,non possono neppure essere definiti. Il
linguaggio permette all’uomo di dare senso alle proprie esperienze, la sua perdita o alterazione
funzionale comporta il distacco esistenziale da un mondo di significati socialmente condiviso,
l’alienazione. Viene proposto un modello evolutivo in cui viene esplicitata la doppia origine del
linguaggio:il linguaggio nasce prima dal punto di vista organico seguendo tappe evolutive
complesse: la sua costituzione strutturale; in un secondo momento viene utilizzato per attribuire
significato alle cose e alle esperienze. Dunque, secondo tale, il linguaggio è il frutto sia di
un’organizzazione strutturale acquisita tramite una mutazione che si è affermata rapidamente nella
popolazione come vantaggio riproduttivo, sia dell’origine semantico-relazionale, tiene conto del
perché l’uomo p l’unico essere vivente che può diventare psicotico: questa doppia
origine(strutturale e funzionale) implica la formazione di un ulteriore livello di semantica che
riguarda il riscontro tra il significato dell’enunciato e il significato realistico che assume per l’identità
soggettiva, è a questo livello che si colloca il deficit schizofrenico. La S sarebbe,quindi, una
malattia della seconda origine del linguaggio: quella che ci ha reso uomini in quanto produttori di
significati esistenziali.
Pinel, alla fine del ‘700, gettò le fondamenta della moderna psichiatria adottando il principio
opposto a quello della repressione, di norma praticato sino ad allora sugli alienati: la guarigione;
egli si interessa delle capacità cognitive indebolite sugli alienati e delle componenti funzionali
affette della psiche (es. processi discorsivi), procede a una descrizione delle turbe mentali che si
fonda sull’analisi delle facoltà che risultano compromesse nei vari tipi di alienazione, suddividendoli
in 2 gruppi principali: quelli in cui la malattia provoca un’alterazione del pensiero e quelli in cui
provoca un annullamento del pensiero. All’interno di questi individua una classificazione
nosografica dei profili cognitivi dei malati mentali distinti non in base alla gravità del disturbo, ma
secondo le capacità intellettive residue, prime fra tutte il linguaggio. Esquirol fornisce una
riflessione alla psicopatologia sulle caratteristiche linguistiche degli alienati: il linguaggio può infatti
dare un profilo della condizione del malato mentale, così da diventare l’elemento discriminatore dei
vari livelli di follia e delle capacità residuali presenti nei vari soggetti. La concezione di psichiatria
come scienza rigorosamente empirica trova compimento nella seconda metà dell’800: l’aspetto
cerebrale delle malattie mentali viene ricercato in ogni manifestazione sintomatologica, si
incominciano,infatti, a mappare le prime aree del cervello che presiedono determinate facoltà,
come il linguaggio e la memoria. Risultano varie posizioni in particolare l’antropoanalisi e la
psichiatria filosofica per interpretare le funzioni linguistiche in chiave vitalistica e naturalistica
affermando l’importanza del nesso tra linguaggio e esistenza: adesso le manifestazioni linguistiche
degli psicotici non sono strutture da analizzare quantitativamente in relazione all’uso normativo di
standard ma modalità alterate dell’esperienza vissute. Grazie all’approccio fenomenologico si evita
di sospendere ogni giudizio di merito e ogni confronto con criteri predefiniti dinnanzi alle
formulazioni linguistiche psicotiche: si cerca di indagare le tipologie di esperienze connesse alle
parole pronunciate dal soggetto. Il soggetto schizofrenico ha perso il fondamento ontologico delle
sue azioni, diventando in-capace a regolare armonicamente le sue attività linguistico-relazionali,
non esegue i comportamenti in maniera libera e presenta un linguaggio innaturale, vi è una rottura
della consequenzialità dell’esperienza naturale. Risulta adesso chiaro il motivo per cui la S,
secondo il paradigma antropoanalitico-filosofico, non si presta ad interpretazioni organicistiche, ma
alla costruzione linguistica dell’esperienza, il rapporto che il soggetto instaura col mondo. Lo
schizofrenico è intrappolato in una tematizzazione continua dunque l’essere nel mondo è
sclerotizzato su un unico piano, quello dell’imprinting psico-relazionale con un mondo respingente,
dunque egli è obbligato ad un razionalismo morboso. Lo S soffre dell’equilibrio schizo-sintonico. Il
linguaggio quindi oltre ad essere una potenza combinatoria e semantica è innanzitutto
corporificazione del pensiero che racconta le varie istanze del vissuto di ogni individuo. In sostanza
i doggetti malati di mente soffrono di una riduzione della complessità dei fenomeni psicologici
determinata da una mancanza di cooperazione tra la rappresentazione interiore, sempre intatta ed
esteriore, disturbata per l’interazione con l’ambiente.
Le scienze cognitive hanno prodotto un cambiamento nel quadro culturale introducendo, alla base
degli studi linguistici, semiotici, psicologi e informatici, un nuovo campo d’interesse affine alla
psicopatologia, hanno dato diversi contributi alla psichiatria fornendo un’insieme di teorie; una
corrente al loro interno è il modularismo, sostiene l’esistenza di blocchi cerebrali (moduli) autonomi
che vengono organizzate secondo precise regole di campo interne al modulo stesso: il modulo
della percezione,della comprensione e del linguaggio – la cui descrizione teorica del
funzionamento adatta a spiegare il funzionamento dei meccanismi neuronali. Le manifestazioni
psicopatologiche sembrano essere accomunate da una tipica linguisticità, uno stile del tutto
particolare che rivela la natura stesa del disturbo mentale: la stranezza del parlare schizofrenico è
il timbro indelebile attraverso cui gli psichiatri e gli psicopatologi individuano i pazienti, è talmente
tipico da essere considerato indice diagnostico, l’analisi linguistica dunque fornisce l’unico mezzo
utilizzabile per permeare il nucleo della S. La composizione linguistica dello schizofrenico è simile
a quella dei giornali politici o dei saggi, e le caratteristiche della sua produzione poetica sono
riscontrabili anche nei giornali di costume, quindi la distinzione dello stile viene fatta su base
argomentativa: il discorso delirante risulta caratterizzato dall’uso di una convessità esagerata di
proposizioni in periodi lunghi in modo che possa funzionalizzarlo alla fuga delle idee, con un uso
corretto delle strutture sintattiche. Un altro indice importante da considerare è il rapporto
tipo/replica (type/token), cioè la relazione tra il numero di parole presenti nel testo e le loro
occorrenze, in quanto la manipolazione dei significati e la creazione di nuove parole è indice di uno
sforzo costruttivo del soggetto psicotico, non di un errore articolatorio o produttivo; i neologismi e i
paralogismi acquistano una funzione esistenziale per lo psicotico, è tramite questi che può varcare
i confini dell’uso semantico corrente, cioè essi si riferiscono ad una semantica differente da quella
condivisa che lo spinge a inventare significati nuovi. Il significato delle costruzioni linguistiche dello
schizofrenico si aggancia ad un sistema di rappresentazione che non si riferisce al mondo
esperienziale socialmente condiviso, ma ad un’esclusiva realtà linguistico-ontologica, tutta interna
alla logica autoconvalidante del delirio (autismo semantico).
Interpretazioni e modelli (3 parte)
Possiamo dire che la psicopatologia del linguaggio può essere definita sinteticamente come la
disciplina che studia i disturbi mentali attraverso l’osservazione dei comportamenti linguistici per
esplicitare i rapporti tra mondi logico-formali e mondi ontologici dei soggetti appartenenti alla
specie animale umana: si occupa di tutte quelle patologie che non sono riconducibili a danni nel
SNC, SNP o costitutivi di tipo genetico e del rapporto che vi è tra linguaggio ed esistenza. Il
dibattito sulla psicopatologia del linguaggio ha avuto il merito di trasformare una questione
specialistica in un problema di più ampia portata, la cui soluzione potrebbe recare contributo
fondamentale alla filosofia della mente e del linguaggio; psichiatri e filosofi hanno discusso a lungo
dei linguaggi della malattia mentale, avanzando ipotesi e interpretazioni. Le manifestazioni
linguistiche patologiche sono sempre riconducibili ad una reazione positiva che qualunque
organismo umano attaccato scatena per recuperare la sfuggente integrità, sono comportamenti
linguistici considerabili come un repertorio di attività cognitive in un certo senso obbligate a seguire
un andamento imprevisto e impenetrabile. La psicopatologia del linguaggio si mostra come uno dei
nodi teoricamente più intricati per le scienze della mente e del linguaggio, forse uno dei motivi sta
nel fatto che non vi sono nel malato anomalie linguistiche misurabili (resta il fatto che non esistono
stati cognitivi più gravi della S e paranoia) ma questo linguaggio levigato in superficie in realtà
nasconde universi del tutto anomali e comportamenti assolutamente invalidanti, il problema risiede
nel pensiero, nell’esistenza e nei processi cognitivi degli psicotici. La psichiatria filosofica aborrisce
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