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CAPITOLO IV
L’etichettamento sociale
Nel linguaggio comune, termini quali “devianza” e “criminalità” indicano comportamenti inconsueti,
qualificando come deviante un atto che viola una regola. Più l’atto si allontana dal modello di
normalità, più facilmente verrà classificano come non accettabile e riprovevole. I confini tra
normalità e a-normalità sono piuttosto labili e difficili da definire per quanto il Dsm abbia cercato di
risolvere il problema scientifico della validità e dell’affidabilità diagnostica. Il comportamento
deviante è classicamente inteso come quel comportamento che tende a violare le aspettative
istituzionalizzate di una data norma sociale. In questo caso è ancora più evidente come la distinzione
tra comportamento deviante e comportamento normale origini dal contesto sociale e culturale,
facendo riferimento a una idea di normalità che è espressione di una cultura data in un tempo
specifico. Durkheim fu tra i primi a considerare la devianza un fatto sociale, funzionale alla stessa
evoluzione dell’organizzazione sociale, rilevando che un fatto sociale può essere detto normale per
una determinata società solo in rapporto a una fase ugualmente determinata nel suo sviluppo.
Qual è il confine tra devianza di un comportamento trasgressivo e devianza provocata da un
disturbo psichico?
Sino ad alcuni anni fa i soggetti che assumevano comportamenti devianti e che risultavano affetti da
menomazioni psichiche venivano ricoverati negli ospedali psichiatrici, la cui chiusura è stata sancita
dalla legge 180/78 “legge Basaglia” dal nome del suo principale ispiratore, istituendo al loro
posto strutture specialistiche preposte alla cura e all’assistenza del malato mentale. L’eco di ciò che
le strutture manicomiali hanno significato è comunque ancora presente, poiché il tema della diagnosi
psichiatrica è ancora attuale.
Teorie funzionaliste: Durkheim e Merton
I funzionalisti considerano che la devianza svolga un ruolo positivo nel mantenimento dell’ordine
sociale poiché rafforza la coscienza collettiva, in quanto l’appartenenza sociale si definisce a
partire dalla condivisione di norme e valori positivi; segna i confini di ciò che è lecito rispetto a ciò
che non lo è. Merton specifica un concetto introdotto anch’esso da Durkheim, ovvero il concetto di
anomia, e lo considera come una conseguenza di un divario strutturale tra le mete che la società
propone ai suoi componenti e i mezzi disponibili per il raggiungimento delle mete stesse. Questo
divario produrrebbe una tensione sociale permanente, la cui risposta può essere di due ordini: il
conformismo cioè l’accettazione delle mete e degli obiettivi; o la non accettazione dell’ordine
costituito adattamento deviante. Altro possibile esito è la ribellione intesa come sostituzione sia
delle mete sia dei mezzi definiti dall’ordine costituito, con mete e mezzi alternativi.
Teoria dell’etichettamento sociale
Studi della Scuola di Chicago labelling theory che pone le sue radici nell’interazionismo
simbolico (superamento dell’ottica funzionalista di Durkheim).
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Labelling theory
Becker come maggiore esponente egli sostiene che la devianza sia creata dalla società. i gruppi
sociali creano la devianza stabilendo le regole la cui infrazione costituisce la devianza e applicando
queste regole a persone particolari, che etichettano come outsiders. Il deviante è quindi uno a cui
l’etichetta è stata applicata con successo.
Matza si differenzia da Becker, e considera che tutti, anche i soggetti devianti siano legati al
sistema di valori dominanti. È attraverso delle tecniche di neutralizzazione che i soggetti bloccano o
sospendono temporaneamente la loro adesione ai valori dominanti, aprendo spazi di libertà al
comportamento deviante. In questo modo egli spiega il comportamento deviante occasionale
(devianza primaria). La stabilizzazione della devianza sarebbe invece causata da un processo di
etichettamento sociale (devianza secondaria).
I soggetti devianti fanno riferimento a delle norme dominanti, ma non vi aderiscono poiché usano
tecniche di neutralizzazione (es. dissonanza cognitiva).
Negazione della responsabilità (incapacità di intendere e volere)
• Negazione del danno (stalking).
• Negazione della vittima (torture dei reclusi es. ebrei).
• Condanna di chi condanna (mettere in discussione l’autorità che condanna).
• Riferirsi a norme altre (codice d’onore mafioso).
•
Lemert si distanzia dalla matrice della labelling theory che si ispira al pensiero di Becker. Egli non
considera solamente le reazioni sociali alla devianza ma anche le reazioni che il processo di
etichettamento può avere sull’individuo. Il percorso verso la devianza secondaria è visto come un
insieme di reazioni a catena che inizia con un comportamento deviante che ingenera una serie di
effetti a livello sociale che, a loro volta producono ulteriore comportamento deviante.
L’interpretazione dell’etichettamento ha dei limiti: per esempio il mancato interesse per l’attore del
comportamento deviante e per le sue motivazioni. Viene trascurato l’impatto delle caratteristiche
contestuali ed individuali e le risorse sociali.
Etichettamento e istituzioni totali
A proposito di processi di stigmatizzazione e dell’ambiente che concorre a produrla un aspetto
importante è il ruolo delle istituzioni totali affrontate primariamente da Goffman.
Egli individua cinque differenti tipi di istituzioni totali:
1. Quelle che tutelano soggetti incapaci(istituti per vecchi, orfani).
2. Quelle che tutelano soggetti incapaci ma che rappresentano anche un pericolo per altri
(ospedali psichiatrici).
3. Quelle che hanno la funzione di proteggere la società dalle persone che possono minacciare
l’ordine sociale (campi di concentramento).
4. Quelle create per svolgervi una determinata attività (collegi, campi di lavoro).
5. Luoghi staccati dal mondo (conventi).
Le caratteristiche che accomunano questi diversi tipi di istituzioni totali sono molte. Sono istituzioni
all’interno delle quali le persone vivono tutti gli aspetti della loro vita, al loro interno le attività
vengono svolte sempre a contatto con un numero elevato di persone, obbligate a fare le stesse cose,
tutte le attività sono strutturate e organizzate in modo rigido e regolare. Le istituzioni totali, proprio
a causa di queste loro caratteristiche espropriano il soggetto di autonomia e privacy e questo ha a
sua volta delle ripercussioni sull’identità delle persone. Sono persone disempowered, cioè private
della possibilità di determinare qualsiasi azione, anche la più apparentemente banale e semplice.
(collegamento all’esperimento nella prigione di Standford).
Istituzioni totali e malattia mentali
Goffman: il manicomio mortifica l’identità personale. Allontana dal mondo sociale. Crea la
separazione dai legami affettivi, privazione della soggettività. In caso di dismissione comunque si va
in contro alla stigmatizzazione sociale.
Szasz: il mito della malattia mentale l’autore critica la psichiatria. La malattia mentale non è vista
come una patologia fondata su basi mediche, ma è l’esito di violazioni delle norme. La psichiatria
per lui decide chi è da stigmatizzare e chi no mediante delle etichette diagnostiche.
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Ryan: “blaming the victim” (1971) colpevolizzare il malato mentale è funzionale alla società. si
riducono i problemi a un livello psicologico-individuale. È l’individuo che non va bene, non la società.
(de-responsabilizzazione della società).
Sheriff: la malattia mentale no esiste, se non ha delle conseguenze sociali. È la società che decide
cosa è o no è deviante. (es. rifiuto de cibo che può essere considerato anoressia, ma anche segno di
spiritualità lo stesso comportamento può avere diverse interpretazioni). In definitiva contano le
interpretazioni sociali di un dato fenomeno. L’istituzionalizzazione rinforza la percezione di sé come
deviante.
Variabili che concorrono alla stabilizzazione della devianza
La visibilità del comportamento, la sua intensità, la durata e la frequenza. Il ricovero rinforza
• la devianza secondaria.
Il potere e lo status sociale del soggetto.
• Il livello di tolleranza assunto dal sistema sociale nei confronti del comportamento deviante.
• La disponibilità di regole alternative non devianti.
•
Rosenhan esperimento anni ‘80
Vuole mostrare la fragilità della diagnosi psichiatrica. Egli intende rilevare se persone senza
problemi particolari, ricoverate presso un ospedale psichiatrico, vengono riconosciute dal personale
sanitario, come sane e se no, quale diagnosi e trattamento viene loro riservato. Una volta
individuate le istituzioni ospedaliere, il finto paziente telefonava all’ospedale per un appuntamento
e nel corso del primo colloquio dichiarava di essersi rivolto al servizio perché lamentava di sentire le
voci e forniva tutte e informazioni utili per compilare al cartella clinica. I soggetti descrivevano la
loro vita reale, mentendo solamente sui sintomi e modificando il loro nome e la loro professione. A
parità di sintomatologia vennero formulate dodici diagnosi di schizofrenia e una di psicosi maniaco-
depressiva. Una volta ricoverati, i soggetti cessarono immediatamente di simulare qualsiasi sintomo
di anormalità. Il comportamento degli pseudo pazienti era talmente normale che persino alcuni
ricoverati espressero qualche perplessità circa le diagnosi. Ciononostante i soggetti furono dimessi
con remissione dopo un certo periodo, il che implicava che al soggetto era stata riconosciuta una
qualche patologia, e che era dimesso non perché sano ma perché guarito. Secondo Rosenhan il non
riconoscimento di sanità degli pseudo pazienti è dovuto a un errore tipico dei medici, che tendono a
definire malata una persona sana piuttosto che viceversa. L’esperimento dimostra come i fenomeno
dell’etichettamento in riferimento alla malattia mentale non origina solamente all’interno del contesto
sociale allargato, ma all’interno della stessa struttura preposta a valutare e diagnosticare il
comportamento.
CAPITOLO V
Soggetti, gruppi e contesti in situazioni di stress
Le iniziali riflessioni che hanno posto l’evidenza della drammaticità della situazione esterna come
causa di disturbi psicologici risalgono agli inizi del novecento, osservando certe reazioni dei militari
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