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Capitolo 12. Altruismo e comportamento prosociale
L'altruismo può essere definito come la motivazione che porta a incrementare il benessere altrui senza alcuna aspettativa conscia di un vantaggio personale. Una persona altruista si preoccupa e aiuta anche quando non ci sono benefici e non si aspetta niente in cambio.
1. Perché aiutiamo gli altri?
1.1 Scambio sociale e norme sociali
Numerose teorie sull'aiuto concordano nell'affermare che, a lungo termine, un comportamento teso ad aiutare gli altri è vantaggioso sia per coloro che lo offrono sia per coloro che ne beneficiano. Una possibile spiegazione di questo fenomeno fa riferimento al presupposto che le interazioni umane siano guidate da una sorta di economia sociale: gli individui scambiano non solo beni materiali e denaro, ma anche beni relazionali. Quando si agisce in tal modo si riducono al minimo i costi e si massimizzano le gratificazioni. La teoria dello scambio sociale non sostiene che costi
evantaggi siano monitorati consapevolmente dagli individui, ma solo che tali costi evantaggi lascino un certo margine di prevedibilità al nostro comportamento.Ricompense. Le ricompense che motivano l'aiuto possono essere esterne o interne. Si è più desiderosi di aiutare qualcuno che piace e di cui si desidera l'approvazione. Negli esperimenti, così come nella vita di ogni giorno, la generosità ha come effetto quello di innalzare lo status delle persone, mentre il comportamento egoista può condurre a punizione. L'effetto positivo che dare aiuto sortisce sui sentimenti di autostima spiega perché così tante persone si sentono bene dopo aver fatto del bene. Jane Piliavin (2003) e Susan Andersen (1998) riportano numerosi studi che mostrano che i giovani impegnati in progetti a favore della comunità, service learning nelle scuole o tutoring per i bambini, sviluppano abilità a valori sociali positivi. Chi è
Impegnarsi nel sociale è meno coinvolto in comportamenti a rischio (delinquenza, gravidanze indesiderate, abbandoni scolastici) e sarà più predisposto a diventare un cittadino responsabile. In modo analogo, le attività di volontariato migliorano il morale e persino la salute delle persone che si impegnano.
Le persone generose sono più felici delle persone che sono focalizzate solo sul proprio Sé.
Le teorie che hanno a che fare con gratificazioni e vantaggi sottintendono che un atto d'aiuto non è mai genuinamente altruistico, anche se tale lo definiamo quando le ricompense sono modeste.
Skinner (1971) sosteneva che attribuiamo un valore positivo a coloro che compiono buone azioni solo quando non riusciamo a spiegarcele, in altre parole attribuiamo il loro comportamento alle predisposizioni interne solo quando ci vengono a mancare spiegazioni esterne. Quando le cause esterne sono ovvie, diamo credito a queste ultime, non alla persona.
Ricompense interne.
I vantaggi dell'aiuto includono una serie di autogratificazioni interiori. Senso di colpa. Pena e sofferenza non sono le uniche emozioni negative che spingono ad agire. Nella storia dell'umanità, il senso di colpa è stato sempre un'emozione dolorosa, tale da portare le persone ad agire in diversi modi per evitare di esserne sopraffatti.
Le diverse culture hanno istituzionalizzato differenti modalità per sollevare gli individui dal senso di colpa: sacrifici umani e animali, offerte di grano e denaro, penitenze, confessione e diniego.
Per esaminare le conseguenze del senso di colpa, i ricercatori di psicologia sociale hanno indotto alcuni soggetti a trasgredire: mentire, somministrare scosse elettriche e ingannare. In seguito, ai partecipanti veniva offerta la possibilità di liberarsi dal senso di colpa confessando, denigrando la persona che era stata ferita o compiendo una buona azione per compensare quella cattiva. Le persone fanno qualsiasi cosa
Per cancellare il senso di colpa, trovare sollievo alle sensazioni negative e ripristinare un'immagine di sé positiva. La nostra sollecitudine nel voler compiere delle buone azioni dopo averne fatte riprovevoli riflette il bisogno di attenuare il senso di colpa personale e di ristabilire l'immagine del nostro sé compromessa; riflette, inoltre, il desiderio di recuperare un'immagine pubblica positiva.
Motivando gli individui a confessare, scusarsi, aiutare ed evitare di ripetere il comportamento nocivo si incrementa l'empatia e si favoriscono relazioni più strette.
Tra adulti, le ricompense interne dell'altruismo sono in grado di compensare anche altre sensazioni negative.
Eccezioni allo scenario sentirsi male-fare del bene. Un sentimento negativo come la rabbia produce raramente compassione. Un'altra eccezione è rappresentata da un dolore profondo. Coloro che hanno perso il coniuge o un figlio, a causa di un decesso o di una separazione,
vanno spesso incontro a un periodo di intensa involuzione su se stessi, che impedisce loro di donare agli altri. L'effetto sentirsi male-fare del bene si verifica in soggetti la cui attenzione è rivolta agli altri, nelle persone per le quali l'altruismo è gratificante. Le persone tristi possono essere sensibili e desiderose di rendersi utili al prossimo se non sono esclusivamente concentrate su se stesse a causa di una depressione o di una intensa sofferenza. Sentirsi bene, fare del bene. Le persone felici sono spesso pronte a prestare aiuto. Questo effetto di verifica si verifica nei confronti dei bambini e nei confronti degli adulti, indipendentemente dal fatto che il buonumore derivi da un successo personale, dal nutrire pensieri positivi o da svariate altre esperienze gradevoli. Dariusz Dolinski e Richard Nawrat (1998) scoprirono che una sensazione positiva di sollievo è in grado di incrementare notevolmente la tendenza ad aiutare. Se le persone tristi, talvolta,si mostrano più che volenterose di offrire aiuto, come si spiega che anche le persone felici sono ugualmente predisposte all'aiuto? Gli esperimenti rivelano che vi sono diversi fatti che concorrono a produrre tale risultato.
Aiutare addolcisce le sensazioni negative e rinforza il buonumore. Un umore positivo, a sua volta, conduce a pensieri positivi e aumenta l'autostima, elementi che ci predispongono a un comportamento altrettanto positivo. Quando ci si sente bene si è più predisposti a nutrire pensieri e associazioni positive in merito al fornire aiuto. È molto probabile che coloro che pensano positivo agiscano anche in modo positivo.
Norme sociali. Spesso si aiutano gli altri non perché si è calcolato consapevolmente che tale comportamento è nel nostro interesse, ma in virtù di una forma più sottile di interesse personale: perché qualcosa dice che si dovrebbe farlo. Le norme, ossia "si dovrebbe".
Della vita, sono aspettative sociali, prescrivono i comportamenti considerati appropriati. I ricercatori che studiano i comportamenti d'aiuto hanno identificato due norme sociali che motivano l'altruismo: la norma di reciprocità e la norma della responsabilità sociale.
La norma di reciprocità. Alvin Gouldner (1960) sosteneva che la norma di reciprocità è un codice morale universale: è una aspettativa in base alla quale gli individui presteranno soccorso e aiuto, e quindi non danneggeranno coloro da cui hanno ricevuto aiuto e soccorso. Ricevere senza contraccambiare corrisponde a una violazione della norma di reciprocità.
La reciprocità all'interno delle reti sociali aiuta a definire il capitale sociale, ossia il mutuo supporto e la cooperazione resi possibili mediante una rete sociale; insieme delle risorse racchiuse nelle relazioni tra persone e connesse al possesso di un insieme stabile di relazioni, di norme e di fiducia.
che facilitano il coordinamento e la cooperazione per il beneficio della comunità. Per sintetizzare, si può definire il capitale sociale come un bene relazionale basato su legami sociali e sulla fiducia. La norma opera con maggiore efficacia quando le persone, a seguito di azioni a loro favore e di cui sono stati precedentemente protagonisti, si trovano a restituire pubblicamente. Quando le persone non sono in grado di contraccambiare, possono sentirsi minacciate e sminuite nell'accettare aiuto. Pertanto, le persone orgogliose e con un'elevata autostima sono spesso riluttanti nel chiedere aiuto. Ricevere aiuto non richiesto può portare a una diminuzione dell'autostima. Alcuni studi hanno scoperto che ciò accade ai beneficiari di un'azione a proprio favore, in particolare quando tale azione non consente alla persona di affermare la propria competenza e la presenza di possibilità di successo personale in futuro. Gli asiatici, per i qualii legami sociali e la reciprocità sono più importanti che per i Nord-americani, tendono più facilmente a rifiutare un dono da un conoscente occasionale per non sentirsi in dovere di ricambiare.La norma di responsabilità sociale. La norma di responsabilità sociale è definibile come la convinzione di dover aiutare coloro che ne hanno bisogno, senza aspettarsi di essere contraccambiati in futuro. In India, un Paese con una cultura collettivista, gli individui sostengono la norma della responsabilità sociale con una convinzione decisamente maggiore rispetto alle culture occidentali individualistiche. Le persone si considerano obbligate ad aiutare anche quando la necessità non è imperativa o quando la persona bisognosa è estranea alla propria cerchia familiare.
Nei Paesi occidentali, le persone forniscono aiuto ai più bisognosi anche quando conservano l'anonimato e non si aspettano alcuna ricompensa. Ciononostante,
in questi Paesi, si tende ad applicare la norma della responsabilità sociale in modo selettivo a vantaggio di coloro che versano in uno stato di necessità apparentemente non dovuto alla propria negligenza. Soprattutto in contesti in cui è diffuso un pensiero pregiudiziale, la norma sembra essere: dai agli altri ciò che meritano. Le risposte risultano quindi strettamente legate alle attribuzioni. Se attribuiamo la necessità a fattori che non possono essere controllati, siamo disposti ad aiutare; se, invece, attribuiamo la necessità alle scelte della persona in questione, non ci sentiamo obbligati a prestare aiuto e diciamo che la colpa è sua. La chiave di lettura, come sostengono Udo Rudolph e colleghi (2004), è considerare se le attribuzioni suscitano o meno simpatia, che a sua volta è in grado di motivare l'aiuto. Ricevere aiuto: quanto conta il genere? Alice Eagly e Maureen Crowley (1986) hanno individuato degli studi checonfront