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Wurf, Van Staalduinen e Stringer. Tale modello non considera la dimensione
psicosociale come alla base della paura del crimine, ma mira ad approfondire il ruolo
esercitato dalle percezioni degli individui rispetto a se stessi, agli altri e
all’ambiente.
Tale modello si articola su 4 fattori:
1) Attrattività del bersaglio→ come le persone che sperimentano paura
rappresentano se stessi e i propri beni. Temere di subire un crimine significa
considerare se stessi o i propri beni bersagli allettanti (ciò accade, ad esempio,
se si cammina per strada con molti soldi in tasca)
2) Intento malevolo→ tendenza ad attribuire agli altri intenti criminali, anche
stereotipando gruppi o individui (zingari)
3) Potere→ riguarda sia il proprio potere sia il potere dell’altro. Il primo deriva
dalla fiducia nella propria efficacia personale, che tende a far diminuire la
sensazione di minaccia. Il secondo si riferisce alle caratteristiche attribuite ai
criminali e alla determinazione nel portare a termine il crimine. Il confronto tra
questi due poteri determinerà il grado di sicurezza con cui approcciamo
l’incontro con l’altro
4) Spazio criminalizzabile→ percezione del contesto e di alcune caratteristiche
che rendono la situazione potenzialmente pericolosa (momento della giornata,
luogo, presenza di estranei)
Questi fattori sono di natura soggettiva, tuttavia le percezioni individuali
incontrano inevitabilmente la dimensione sociale poiché, per alcuni di questi fattori, è
facile che gli stereotipi giochino un ruolo fondamentale, in particolare per quanto
riguarda i gruppi potenzialmente coinvolti negli eventi criminali (stereotipo degli
immigrati).
Questi quattro fattori possono essere a loro volta influenzati dalla paura del crimine, la
quale può far aumentare la propensione a interpretare alcuni elementi del contesto
come criminalizzati e far diminuire la percezione della propria capacità di controllare
la relazione fra sé e il proprio ambiente. L’aumento di tale propensione può essere
sproporzionata rispetto ai rischi effettivi, ma può anche essere una risposta adeguata
a esperienza negative effettivamente vissute nel proprio contesto di residenza.
Nonostante alcuni studi abbiano mostrato che i ricercatori olandesi hanno
sovrastimato l’impatto esercitato dalle variabili psicosociali sulla paura del crimine, è
innegabile l’influenza del modo in cui le persone percepiscono se stesse e gli altri.
L’integrazione sociale del vicinato
Come già detto, la paura del crimine è, almeno in parte, influenzata dalle
caratteristiche dell’ambiente in cui si vive. Per questo motivo i ricercatori hanno dato
vita a numerosi studi sul ruolo del controllo sociale informale, che si riferisce alla
capacità di un aggregato di orientare le azioni dei propri membri facendo riferimento
ad obiettivi comuni.
Infatti sentire di vivere in un luogo caratterizzato da un elevato grado di controllo
sociale informale può aiutare a combattere la paura dei residenti.
Tuttavia, se la paura del crimine è promossa da scarsi livelli di controllo informale, la
disponibilità dei residenti a intervenire per il bene comune dipende dalla fiducia
reciproca e dalla solidarietà tra vicini.
Qui entra in gioco l’integrazione sociale, ovvero la misura in cui le persone sentono
di avere qualcosa in comune con gli altri che costituiscono la loro realtà sociale. Un
alto livello di integrazione sociale tra le persone contribuisce alla percezione che il
proprio quartiere sia un posto sicuro in cui vivere e fa diminuire la paura del crimine.
Per approfondire la relazione tra individuo, comunità e paura del crimine, molti autori
hanno utilizzato il costrutto del capitale sociale, che è composto da una serie di
fattori relativi alla qualità e all’intensità delle interazioni tra le persone, che facilitano
lo sviluppo di azioni cooperative mirate a scopi comuni.
Un’interessante lettura del capitale sociale è stata condotta da Perkins e Long, i quali
definiscono il capitale sociale un costrutto composto da 4 dimensioni distinte in base
a 2 criteri: il primo differenzia gli aspetti intrapsichici da quelli comportamentali
del costrutto, mentre il secondo riguarda il livello di formalità delle relazioni sociali.
La dimensione intrapsichica a livello formale è costituita dall’efficacia
collettiva, ossia dalla fiducia nell’efficacia dell’azione comunitaria organizzata. Essa è
stata rilevata attraverso il livello di fiducia nei vicini e il grado in cui i residenti
ritengono che essi possono offrire aiuto e intervenire con azioni di controllo nel
quartiere. Degli studi dimostrano che le persone che hanno molti legami sociali nel
quartiere percepiscono maggiore efficacia collettiva e di conseguenza mostrano livelli
di paura inferiori.
Le dimensioni comportamentali del capitale sociale includono:
a livello informale, i rapporti di vicinato, che comprendono le interazioni
sociali con gli altri residenti del quartiere orientate ad un’informale
assistenza reciproca
a livello formale, la partecipazione civica, che comprende l’adesione ad
organizzazioni locali formali come comitati di quartiere le associazioni
scolastiche.
La relazione tra le dimensioni comportamentali del capitale sociale e la paura del
crimine è ambigua.
Infatti, da un lato sembra che le persone che hanno molti legami sociali, buona
relazione con i vicini e sono coinvolte in molte attività civiche abbiano meno paura
del crimine.
Dall’altro, alcuni studi non hanno trovato alcuna associazione tra queste variabili o
addirittura hanno trovato una relazione positiva fra esse. Questo perché la frequenza e
la profondità delle relazioni sociali possono ampliare la paura del crimine, in quanto
comportano un’elevata possibilità di entrare in contatto con storie di vittimizzazione
accadute nel proprio contesto di residenza.
In conclusione, la dimensione intrapsichica e quella comportamentale dell’integrazione
sociale hanno efetti diversi sulla paura del crimine: mentre la prima riduce la paura
del crimine, la seconda non la influenza direttamente. Tuttavia, in modo indiretto,
essa inibisce le attività criminali e la diffusione di inciviltà, portando a un
miglioramento della qualità della vita nella comunità locale.
La paura in città
È dimostrato che la paura della criminalità sia tipicamente un fenomeno urbano.
Questo perché, rispetto alle zone rurali, le città sono caratterizzate da più alti tassi di
criminalità e da una maggiore diffusione di inciviltà fisiche e sociali. In secondo luogo,
la paura del crimine è uno stato psicologico strettamente legato agli spazi territoriali:
numerosi studi mostrano infatti che le persone percepiscono più alti livelli di paura
quando si trovano in ambienti bui, abbandonati e poco frequentati, il che accade
più frequentemente a chi vive nei grandi centri urbani.
Per queste ragioni, la ricerca sulla paura del crimine e gli interventi mirati a contenerla
hanno per lungo tempo privilegiato il contesto delle grandi metropoli.
Le politiche mirate ad affrontare il problema della paura del crimine si sono
tradizionalmente indirizzate a modificare l’ambiente fisico dei territori a rischio, ad
esempio attraverso la rimozione dell’inciviltà, l’introduzione di circuiti di
videosorveglianza e il potenziamento dell’illuminazione pubblica. Tuttavia gli effetti di
queste strategie sono dubbi e hanno fornito risultati incoerenti. Ad esempio, l’idea che
strade più illuminate possano aumentare la sensazione di sicurezza si basa sul
presupposto che le persone si sentono maggiormente sicure quando possono vedere i
potenziali criminali. D’altro canto, una strada molto illuminata, oltre ad aiutare questi
ultimi a individuare facilmente le loro vittime potenziali, può rendere maggiormente
visibili segni di degrado dell’ambiente e, paradossalmente, portare a un aumento della
paura.
Del resto, l’idea che la paura del crimine dei residenti delle aree urbane possa essere
controllata intervenendo sull’ambiente fisico in cui essi abitano, è stata contestata, in
base alla considerazione che la qualità delle relazioni sociali sia un elemento molto
più importante. Effettivamente, nei contesti urbani, i legami sociali sono più deboli e
radi, a causa dell’elevato numero di abitanti. Il che può portare a un minor controllo
informale.
Tuttavia, la diffusione della paura del crimine nelle città è dovuta anche alla povertà,
all’urbanizzazione e all’eterogeneità etnica. Secondo alcuni autori, queste
caratteristiche promuoverebbero la paura del crimine in via indiretta, attraverso la
mediazione del declino della coesione sociale, dell’efficacia collettiva e del controllo
sociale informale.
Secondo altri autori, invece, la paura del crimine maschererebbe sentimenti di
insicurezza più generici. subcultural diversity
Ad esempio, il modello della si Merry, sostiene che la paura
del crimine derivi principalmente dal vivere a stretto contatto con persone che hanno
un background culturale diverso dal proprio, a causa del timore dovuto alla difficoltà
di comprendere i comportamenti di chi appartiene a gruppi culturali diversi dal nostro.
In questo senso, la paura del crimine sarebbe un modo per esprimere la paura del
diverso.
In conclusione, particolari caratteristiche dello spazio urbano, la precarietà e
superficialità delle relazioni sociali e la quotidiana convivenza con la diversità
etnica e culturale, fanno sì che la grande città diventi il luogo per eccellenza in cui si
manifesta la paura della criminalità.
Capitolo 4: il ruolo dei mass media
I crimini sui media
Come detto precedentemente, la criminalità è contemporaneamente un problema
individuale e una questione pubblica: gli episodi di vittimizzazione accaduti ai singoli
forniscono uno spunto fondamentale per il dibattito pubblico.
In questo collegamento tra dimensione individuale e collettiva, il ruolo esercitato dai
mass media è fondamentale. Infatti essi scelgono quali problemi individuali
presentare: decidono, ad esempio, quanto spazio dedicare alla cronaca nera, con quali
toni raccontare gli eventi e quali caratteristiche enfatizzare.
In questo senso i media sono una fondamentale fonte di informazione secondaria sul
crimine.
È evidente però che ciò che leggiamo su un quotidiano, ascoltiamo alla radio, vediamo
in televisione o su internet non sia una riproposizione esatta di ciò che accade
effettivamente nel mondo.
Le informazioni veicolate dai media hanno la tendenza a general