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COMPONENTI DELL’ALTRUISMO
Krebs e Miller (1985) specificano gli insiemi di fattori sottesi al comportamento altruistico in base ai
livelli cui questi possono essere collocati.
Livello macrosociale Il comportamento altruista è governato dalle norme sociali caratteristiche
di ogni specifica cultura
Livello situazionale L’altruismo appare strettamente legato alle variabili
del contesto e della situazione
Livello individuale Le determinanti dell’altruismo sono ricercate nella persona:
Dimensioni di personalità;
Dimensioni affettive e cognitive
Livello biologico Le determinanti dell’altruismo sono viste in termini di caratteristiche
genetiche
COMPONENTI INDIVIDUALI DELL’ALTRUISMO
Dimensioni di personalità
Rushton (1981) ha sostenuto l’esistenza di un tratto altruistico di personalità, posizione sottoposta
a numerose critiche. Anche in assenza di un vero e proprio tratto, è possibile ritrovare alcune
costanti tra le persone con condotte altruistiche:
buona autostima, elevato senso morale, buona accettazione di sé, alto LOC interno.
Forgas (1992) ha poi aggiunto che uno stato affettivo ed umorale positivo (good mood) tende a
favorire la messa in atto di comportamenti prosociali, in quanto l’umore rende più accessibili alla
memoria argomenti coerenti con lo stato d’animo positivo; secondo altri lavori, invece, proprio il
sentirsi di cattivo umore spingerebbe la responsabilità all’aiuto (Moscovici, 1994).
Dimensioni affettivo-cognitive
Hoffman (1975, 2000) ha affermato che l’empatia rappresenterebbe uno dei mediatori
fondamentali del comportamento altruistico. Questa attivazione emotiva è associata ad un
processo cognitivo e riguarda persone in grado di assumere il punto di vista altrui, e quindi di
identificarsi con l’altro.
Osservare una persona in difficoltà conduce a provare un DISAGIO EMPATICO, ossia un
malessere dovuto al fatto di veder soffrire un altro essere umano. Aiuto indotto dal disagio
empatico ritenuto egoistico, al fine di ridurre il proprio malessere.
DISAGIO SIMPATETICO: dà luogo ad una vera e propria motivazione all’aiuto, ovvero un’effettiva
apprensione per l’altro.
IPOTESI EMPATIA- ALTRUISMO in cui si accentua la distinzione fra interesse empatico, in cui vi è
una reale preoccupazione emotiva per l’altro (SYMPATHY) e il disagio personale (PERSONAL
DISTRESS), che induce a soddisfare il proprio bisogno e soltanto in un secondo momento a
rispondere alle esigenze dell’altro. Batson sostiene che l’empatia è alla base della motivazione
altruistica e può essere indipendente da motivazioni egoistiche o di interesse personale, quali sono
appunto quelle volte a ridurre il malessere che si prova quando si vede soffrire un altro essere
umano.
Teoria contrapposta: TEORIA DEL SOLLIEVO DELLO STATO NEGATIVO: l’empatia che deriva
dall’osservare una persona in difficoltà si traduce esclusivamente in uno stato d’animo negativo
che non suscita mai una motivazione squisitamente altruistica, ma soltanto risposte volte a
migliorare l’umore e alleviare questo stato di tensione.
Dimensioni cognitive
Alcuni ricercatori hanno studiato il ruolo di componenti squisitamente cognitive (attenzione,
percezione, attribuzione) nel comportamento prosociale.
Secondo Krebs e Miller (1985), le persone non sono disposte ad aiutare chiunque si trovi in
difficoltà, né in qualsiasi momento, ma tendono a valutare la situazione compiendo inferenze:
-- sull’effettiva necessità dell’aiuto;
-- sull’adeguatezza dell’aiuto che possono offrire (ne sono in grado?);
-- sulla legittimità dell’aiuto (l’altro merita l’aiuto o no?);
-- sui costi e sugli effetti che possono derivare dall’aiuto (tempo, denaro, insofferenza,
disapprovazione sociale).
Sarebbe sulla base di queste valutazioni che le persone deciderebbero come agire.
Secondo Schwartz e Howard (1981), inoltre, il processo di altruismo si baserebbe sul senso di
dovere morale di ognuno, cioè sulle norme personali che influenzano le condotte prosociali.
In esso sono distinte 5 fasi successive:
- ATTENZIONE: include il riconoscimento della richiesta di aiuto manifestata da altre
persone, la scelta di un’azione efficace e l’autoattribuzione della competenza di fornire l’aiuto
necessario.
- MOTIVAZIONE: riguarda la formazione di una norma personale di dovere morale, tale per
cui l’individuo sente di dover agire e di essere responsabile dell’intervento.
- VALUTAZIONE DELLE CONSEGUENZE: comprende la valutazione anticipata di costi e
benefici, sociali e morali, connessi al comportamento altruistico.
- FASE DELLA DIFESA: se gli svantaggi e i vantaggi della risposta altruistica si equilibrano,
la valutazione non giunge a una conclusione definitiva e il soggetto sarà portato a mettere in atto
meccanismi di difesa, quali la negazione della propria responsabilità o dell’effettiva gravità del
bisogno.
- FASE DEL COMPORTAMENTO: viceversa, se la valutazione anticipata dei pro e dei contro
del comportamento altruistico produce un esito positivo, la persona metterà in atto tale condotta.
COMPONENTI SITUAZIONALI DELL’ALTRUISMO
Tutti gli studi a riguardo si rifanno alle ricerche di Latané e Darley (1968, 1970) sulla presenza
delle variabili situazionali che possono condurre un individuo a mettere in atto un comportamento
d’aiuto. E’ noto, a questo riguardo, lo storico episodio sull’omicidio di Kitty Genovese (New York, 13
marzo 1964).
Secondo gli autori, il processo decisionale (decision making) conduce l’altruismo attraverso cinque
stadi:
1. L’individuo nota che sta succedendo qualcosa;
2. L’individuo interpreta la situazione come un’emergenza;
3. Stabilisce se ha o meno la responsabilità dell’intervento;
4. Valuta quale tipo di aiuto può mettere in atto;
5. Decide la migliore strategia e modalità di azione.
In un tempo piuttosto breve l’individuo si trova quindi a dover giudicare la situazione e decidere se
tocca proprio a lui intervenire o se possono farlo altri. Molte ricerche hanno evidenziato che un
individuo è più disponibile ad accorrere in aiuto di qualcuno quando è l’unico soggetto presente
nella situazione, mentre se alla scena assistono anche altre persone si verifica quella che viene
definita DIFFUSIONE DI RESPONSABILITA’, che favorisce l’inibizione dell’altruismo e la cd
APATIA DEGLI ASTANTI.
Altre variabili situazionali entrano in gioco in queste circostanze e incidono sull’attuazione o meno
di un comportamento altruistico: la percezione che vi siano altre persone competenti che
potrebbero aiutare la vittima, i costi della prestazione d’aiuto (perdita di tempo, pericolo, stress…),
il livello di gravità della condizione della vittima, quanto essa sia in una situazione di dipendenza, le
modalità con cui chiede aiuto, le sue caratteristiche fisiche, gli effetti che l’azione avrebbe per la
persona che si soccorre e il tipo di relazione che si ha con essa.
LE NORME SOCIALI.
Il comportamento d’aiuto è potenzialmente attuabile da chiunque e la frequenza e la modalità di
tale messa in atto sono apprese. Accanto alle variabili situazionale, l’incidenza della variabile
culturale, facendo riferimento ai processi di socializzazione e prestando particolare attenzione alle
norme sociali che sono prodotte, approvate e condivise e tramandate nei vari ambiti di
socializzazione e differiscono all’interno di culture e società diverse. Le norme sociali sono
particolarmente importanti perché stabiliscono ciò che, all’interno di un particolare contesto sociale
e culturale, è ammissibile, desiderabile o, al contrario, inaccettabile e non desiderabile.
Le principali norme sociali alla base del comportamento altruistico sono:
LA NORMA DI RECIPROCITA’ che stabilisce che chi ha ricevuto un beneficio si senta a sua volta
obbligato ad aiutare i suoi benefattori. La stessa norma, peraltro, è anche alla base di alcuni
comportamenti aggressivi che, attraverso essa, possono risultare legittimi.
LA NORMA DELLA RESPONSABILITA’ SOCIALE che stabilisce che gli individui si impegnino a
occuparsi e farsi carico delle persone che dipendono da loro, anche se ritengono di non trarne
alcun vantaggio.
LA NORMA DELL’EQUITA’ E DELLA GIUSTIZIA che afferma che le società creano delle norme
secondo cui le persone dovrebbero venir ricompensate in modo uguale, sulla base dei costi che
hanno sostenuto. Rispetto al comportamento altruistico, questa teoria sostiene che quanto più un
individuo percepisce di essere in qualche modo responsabile delle sofferenze di un altro soggetto,
tanto più è probabile che egli tenderà a compensarlo. Il modo in cui le persone percepiscono le
proprie fatiche e i diritti che ne derivano assume un ruolo particolarmente rilevante nella versione
della teoria dell’equità, nota come IPOTESI DEL MONDO GIUSTO. Secondo questa teoria le
persone sono portate a credere a una sorta di giustizia del mondo che si basa sul concetto di
merito e che le porta a ritenere che gli individui ottengono esattamente ciò che si meritano.
L’elemento centrale di questa teoria sta nel ritenere che gli individui che hanno caratteristiche
socialmente positive sono meritevoli di successo e, in generale, anche di andare incontro ad
accadimenti positivi. Viceversa, le persone che hanno caratteristiche negative meritano
l’insuccesso e gli eventi sfavorevoli.
LA RELAZIONE D’AIUTO PROFESSIONALE.
Il PROCESSO D’AIUTO è un rapporto complesso, in cui oltre ad esservi un soggetto in difficoltà
che può essere aiutato da un altro, vi sono due individui implicati in una relazione di scambio. È
questa una relazione asimmetrica tra chi può prestare aiuto e chi lo richiede.
Quando le risorse sono carenti, il professionista dell’aiuto (helper) deve concorrere a produrne di
nuove, dal momento che aiutare significa soprattutto attivare all’interno della relazione tutte le
potenzialità dell’individuo e renderlo EMPOWERED. Si tratta di accrescere le abilità e le
competenze del soggetto a cui si presta aiuto e renderlo capace di controllare e gestire
attivamente la propria vita.
Sulla base di quanto riferito da vari professionisti, 9 conflitti che possono essere riassunti in 4
macrocategorie:
1 il CONFLITTO che deriva dall’esigenza dell’helper di fondarsi, da un lato, sul proprio giudizio nel
momento in cui deve prendere la decisione, dall’altro dalla necessità di riconoscere che vi è una
dose inevitabile di incertezza rispetto a ciò che è vero e giusto, e quindi che occorre conservare
una p