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LO STUDIO DEGLI STEREOTIPI: NATURA DI UN PROBLEMA
Nello studio degli stereotipi, riferimento importante è dato al teatro dell’arte e l’aspetto psicologico
della sua forma artistica. Attraverso questo paragone possiamo pensare a due caratteristiche
importanti:
gli uomini hanno bisogno di ricondurre le loro esperienze, così come le loro forme di conoscenza, a
copioni specifici. Nasce quindi inizialmente un interesse per le situazioni inusuali e inaspettate, che
poi continuano e terminano con il bisogno di una progressiva chiarificazione.
la preferenza che gli spettatori sembrano mostrare per la tipizzazione dei personaggi. A tal
proposito nella commedia dell’arte non esiste un vero e proprio personaggio, esiste piuttosto il
carattere con conseguente bagaglio di caratteristiche sia fisiche che comportamentali, oltre che
vestito di scena riconoscibile.
Possiamo dire che le persone spesso preferiscono avere a che fare con rappresentazioni di prototipi
più che individui, organizzano i loro sistemi conoscitivi più in termini di aspettative più che di
esperienze. In altre parole gli individui preferiscono usare gli stereotipi.
Secondo Lippmann (1922) il giornalista che coniò questo termine per definire le conoscenze fisse e
impermeabili che organizzano le nostre rappresentazioni delle categorie sociali, molte delle
decisioni che l’uomo della strada prende sono basati su sistemi di rappresentazione che producolo
due sostanziali conseguenze:
• semplificano i fatti in quanto si propongono di rappresentare i gruppi e non gli individui
• portano a interpretazioni errate degli individui anche quando sono a contatto diretto con essi
Nell’interpretazione di Lippmann le conseguenze degli stereotipo quindi sono tendenzialmente
negative proprio per la loro rigidità e per la loro distorsione della realtà.
Possiamo dire che le persone che la pensano allo stesso modo si assomigliano un po’. Gli
osservatori fanno prontamente delle attribuzioni circa i tratti di personalità, basandosi su
informazioni anche frammentarie e limitate. Da alcuni studi emerge che le caratteristiche e
l’espressività del viso influenzano le attribuzioni circa il fascino, la piacevolezza, le abilità
intellettuali e sociali e la salute mentale della persona esaminata.
Secord nel 1958 sostenne che i soggetti sono pressoché concordi nell’attribuire una certa
personalità a individui i cui volti possiedono caratteristiche fisionomiche particolari.
Che l’aspetto fisico costituisca una informazione rilevante per produrre i giudizi logici del soggetto
emerge da uno studio di Bowman del 1979: ovvero i soggetti partecipanti all’esperimento erano
poco propensi a cambiare il giudizio su parsone il cui comportamento era cambiato ma l’aspetto
fisico era rimasto immutato.
Le caratteristiche fisiche di una persona vengono da noi utilizzate come degli indicatori di
caratteristiche psicologiche o disposizionali, alle quali non abbiamo accesso diretto.
Possiamo dire che ci appoggiamo a “etichette categoriali”, che ci impediscono di fare classificazioni
alternative e ci rendono insensibili a discriminazioni di cui saremo capaci.
Gottesdeiner e Abramson nel 1975 hanno studiato la relazione che esisteva tra la percezione degli
atteggiamenti posseduti da donne appartenenti al movimento femminista e il grado di piacevolezza
della loro immagine fisica. Il risultato fu che le persone giudicate più piacevoli dal punto di vista
fisico erano quelle che avevano un atteggiamento simile a quello di colui che emetteva il giudizio.
Possiamo dire quindi che esiste una relazione non casuale tra il modo in cui una persona viene
percepita, in termini fisici, e le conclusioni che vengono prodotte sulle sue caratteristiche
psicologiche, ma anche una relazione tra il modo in cui una persona viene classificata o giudicata in
quanto membro di una determinata categoria sociale e il modo in cui viene giudicata in termini di
apparenza fisica.
Non è raro che anche le caratteristiche del volto, tipicamente sfuggevoli, producano giudizi
categoriali. Piccole differenze apparentemente banali sono in grado di produrre percezioni di
affidabilità o meno.
A questo proposito Rule e Ambady utilizzarono le foto dei volti di 118 candidati democratici e
repubblicani alle elezioni del senato americano (per semplicità esclusero donne e afro-americani).
Occorreva pregiudicare in base al volto se appartenenti ai democratici o repubblicani. I risultati
erano in grado di categorizzare i volti dei candidati sulla base delle loro appartenenze e
corrispondeva in maniera significativa alla reale collocazione partitica.
Rothbart e Taylor nel 1922 effettuarono studi affinché considerare le categorie sociali come un
insieme composito di criteri di classificazione, alcuni radicati nel corredo biologico dell’individuo
altri più di tipo arbitrario. Il fatto che una persona appartenga ad una categoria sociale specifica è
frutto qualche volta di una scelta personale, altre volte frutto delle circostanze.
Quando gli individui esprimono giudizi a proposito del nucleo essenziale che rimanda alle
caratteristiche biologiche attribuite ai gruppi sociali, di solito muovono da una equazione
fondamentale: il livello di essenza biologica attribuibile ad un gruppo è riconducibile al livello di
“umanità” che al gruppo stesso viene riconosciuta.
Gli individui sviluppano una sorta di gerarchia di umanità che differenzierebbe il proprio gruppo di
appartenenza rispetto gli altri. Questo fenomeno viene definito infraumanizzazione. Gli studiosi
sono partiti da un analisi in ambiti di percezione di differenza tra umani e animali.
Chiedendo ad un gruppo di studenti universitari di definire che cosa accomunasse e che cosa
differenziasse gli esseri umani dagli animali, gli autori giunsero all’individuazione di tre dimensioni
fondamentali di differenziazione:
• linguaggio
• intelligenza
• capacità di esperire particolari sentimenti
a tal proposito i ricercatori decisero di approfondire l’ultimo elemento di differenziazione ed i
conseguenti risultati furono in particolare così suddivisi: la sorpresa, la rabbia, il dolore, il piacere
erano sentimenti comuni tra umani e animali; tenerezza, speranza, amore, vergogna, senso di colpa
più tipicamente umani.
Queste ultime analizzando più approfonditamente vennero giudicate come meno intense, non
direttamente provocate da una causa esterna. In pratica al gruppo di appartenenza viene riconosciuta
una natura umana che invece viene negata al gruppo degli altri, in questo caso gruppo degli animali.
In pratica l’infraumanizzazione è un’assimetria attribuzionale tendente a considerare l’outgroup
come un’entità la cui natura umana è fortemente messa in dubbio o addirittura negata.
Successive ricerche hanno dimostrato che le persone tendono ad attribuire al proprio gruppo quelle
caratteristiche che differenziano gli esseri umani dagli animali e che il considerare il gruppo degli
altri come entità de umanizzata è frutto di un processo spontaneo e per larga parte indipendente dal
livello di pregiudizio posseduto.
In sintesi: la vita sociale e le relazioni tra gruppi non sono basate solo su giudizi relativi alla
piacevolezza del volto delle persone, ma hanno anche a che fare con problemi di più cruciale
spessore, come ad esempio il confronto tra sistemi di valori, le tradizioni culturali, i conflitti di
interesse.
Gli stereotipi hanno una natura duplice e ambigua: da un lato rappresentano una strategia di
categorizzazione indispensabile per semplificare, verificare e controllare le nostre esperienze
partendo da tratti, attributi, comportamenti e caratteristiche; dall’altro quando vengono applicati ai
gruppi sociali possono facilitare le inferenze indebite e le generalizzazioni, e rimanere immutati
nonostante le disconferme dell’esperienza. Gli individui spesso preferiscono avere a che fare con
rappresentazioni di prototipi piuttosto che di altri individui, organizzano i loro sistemi conoscitivi
più in base alle aspettative che alle esperienze e sono più sensibili alle etichette linguistiche che
all’unicità delle persone.
Stereotipi: conoscenze fisse ed impermeabili alle disconferme dell’esperienza che organizzano le
nostre rappresentazioni delle categorie sociali (Lippmann). Le persone si accorgono degli stereotipi
solo quando riguardano il proprio gruppo di appartenenza (ingroup) e se le attribuzioni che
propongono hanno valenza negativa.
Gli stereotipi e i ruoli di genere sessuale: cosa beve la gente al bar
Nonostante la reale tipizzazione dei consumi al bar sulla base del genere sessuale (ossia il fatto che
le donne consumino bevande considerate “femminili” e gli uomini altre considerate “maschili” –
prevalentemente alcoliche) sia nei fatti assai lieve, le donne dichiarano di consumare bevande
“femminili” più spesso di quanto realmente facciano, e di non consumare bevande “maschili”;
questo stereotipo si accentua nei baristi, che giudicano le abitudini delle donne ancora più conformi
al genere femminile di quanto non facciano le stesse clienti.
Le persone che la pensano allo stesso modo si assomigliano un po’
E’ dimostrato che le persone inferiscono tratti di personalità, abilità e stati emozionali degli altri
basandosi su informazioni anche frammentarie e limitate: le caratteristiche e l’espressività del viso
influenzano le attribuzioni sul fascino, la piacevolezza, le abilità intellettuali e sociali e la salute
mentale della persona esaminata. Inoltre, ad un cambiamento nel comportamento messo in atto da
una persona non corrisponde un cambiamento attribuzionale da parte di un osservatore a meno che
non vi sia anche una concomitante modificazione di tipo fisico; viceversa, anche l’appartenenza
categoriale delle persone consente inferenze sulle loro caratteristiche fisiche (es. giovane maschio
eritreo).
Le etichette categoriali ci impediscono classificazioni alternative e incrociate, e ci rendono
insensibili a distinzioni più raffinate di cui saremmo senz’altro capaci. Esiste una relazione non
casuale tra il modo in cui una persona viene percepita in termini fisici e le inferenze prodotte sulle
sue caratteristiche psicologiche (attraente = simpatico), ed esiste una relazione anche tra il modo in
cui una persona viene classificata o giudicata in qualità di membro di una categoria sociale,
valoriale o di atteggiamento, e il modo in cui viene giudicata in termini di apparenza fisica
(simpatico/vicino alle nostre idee = attraente).
Una categoria sociale diventa sempre meno artificiale ed arbitraria e sempre più naturale quando si
realizzano due condizioni:
• l’appartenenza categoriale permette di prevedere una serie di informazioni riguardo alle altre
caratterist