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EMOZIONI
Le emozioni sono un fenomeno comune ma complesso. Tale complessità emerge nel momento in
cui chiediamo a qualcuno di definire un’emozione; nonostante tutti sappiamo cos’è questo
fenomeno difficilmente riusciremo a definirlo analiticamente. Anche in ambito psicologico non
esiste una definizione comune tanto che sembrano esisterne tante quante sono gli autori che se
ne sono occupati. In generale possiamo definire le emozioni come risposte complesse ad eventi
particolarmente rilevanti per il soggetto nel quale provocano un vissuto soggettivo e una risposta
biologica complessa. Sono fenomeni intensi, di breve durata e con un decorso temporale
circoscritto. Vanno quindi distinte da stati d’animo e umore che sono fenomeni meno intensi di
durata e decorso temporale maggiore; essi inoltre non sono necessariamente legati ad un evento
come avviene per l’emozione (elicitata da un evento emotigeno) ma possono trasformarsi in
emozioni se ci si trova in determinate circostanze: un umore depresso può trasformarsi in tristezza
nel momento in cui devo affrontare difficoltà lavorative. Emozioni, stati d’animo e umore vanno
poi distinti dai sentimenti che, a differenza dei primi, sono sempre rivolti verso una specifica
situazione/oggetto/persona. Dunque le emozioni sono processi complessi e multidimensionali e
riguardano diverse componenti: un evento emotigeno provocherà una serie di cambiamenti
fisiologici nel soggetto (componente fisiologica) e comportamentali, soprattutto legati
all’espressione facciale (componente espressiva), sarà valutato cognitivamente in relazione alle
risorse che si hanno a disposizione per fronteggiarlo (componente cognitiva), predisporrà o inibirà
comportamenti volti al raggiungimento di determinati scopi o soddisfacimento di determinati
bisogni (componente motivazionale) e provocherà un vissuto soggettivo nell’individuo
(componente soggettiva). Altro difficile compito consiste nell’individuare le emozioni, la loro
struttura e la organizzazione. Sono stati elaborati sostanzialmente due tipi di modelli: modelli
dimensionali e modelli categoriali. I identificano uno spazio affettivo
modelli dimensionali
universale sulla base di alcune dimensioni (solitamente due) all’interno del quale emozioni simili
sono collocate vicine. Di questi modelli fanno parte il modello di che definisce lo
Barret e Russel
spazio affettivo in base alle due dimensioni di valenza (in ascissa) positiva (a destra) o negativa (a
sinistra) e di attivazione fisiologica (in ordinata) bassa o alta. Questo modello individua perlopiù
emozioni negative; un’ipotesi è che le emozioni negative si trovino in numero maggiore perché più
significative e utili per l’uomo, l’ipotesi alternativa è che la psicologia si sia concentrata in misura
maggiore sulle emozioni a valenza negativa. Un secondo modello, di Watson e Tellegeman
definisce lo spazio sulla base dell’unica dimensione di affettività negativa o positiva; le esperienze
emotive positive e negative sarebbero stati indipendenti ma esistono fenomeni complessi,
difficilmente collocabili, in cui le due valenze coesistono. I criticano i modelli
modelli categoriali
dimensionali sostenendo che non colgono le differenze qualitative fondamentali tra emozioni che,
pur essendo situate vicine nello spazio affettivo universale, sono vissute in modo molto diverso
(depressione e tristezza ad esempio); essi quindi identificano famiglie di emozioni all’interno delle
quali le emozioni condividono un alto numero di caratteristiche. Le famiglie di emozioni possono
essere individuate attraverso studi sul lessico emotivo o attraverso l’individuazione di fattori
biologici, infatti ogni emozione sarebbe basata su meccanismi biologici e circuiti neurali discreti.
Tali modelli sarebbero quindi a favore dell’universalità delle emozioni. Questa tesi è stata per la
prima volta sostenuta da il quale era interessato al significato evolutivo delle espressioni
Darwin
facciali; egli aveva notato che molte espressioni facciali sono uguali nei bambini e negli adulti, in
soggetti nati ciechi e in normovedenti, in gruppi umani differenti e distanti geograficamente e si
trovano anche in altri animali, specie nei primati superiori. Dunque ipotizzò che le emozioni e le
espressioni facciali che le accompagnano si fossero evolute nel corso del tempo con un fine
adattativo, per garantire la sopravvivenza del singolo e della specie. Successivamente alcune
espressioni hanno perso il loro valore adattativo, come nel caso del digrignare i denti nella rabbia
(adattativa in quanto spesso un episodio di rabbia culminava nello sbranamento dell’avversario),
mentre altre hanno mantenuto tale funzione (l’espressione della paura permette di ampliare il
campo visivo e di cogliere più rapidamente stimoli periferici, inoltre aumenta il calibro nasale
permettendoci di respirare di più e più in fretta ossigenando maggiormente il cervello), ma per
tutte le espressioni facciali al fianco, o al posto, della funzione adattativa si è sviluppata la funzione
comunicativa. A partire dalla teoria di Darwin si è sviluppato un filone di teorie
che vede le emozioni come risposte evolutive funzionali alla sopravvivenza.
psicoevoluzionistiche
Di queste teorie fa parte la teoria di che vede le emozioni come pattern di risposta innati
Tomkins
con sede a livello subcorticale e identifica otto emozioni principali: rabbia, gioia, paura, disgusto,
disprezzo, interesse, vergogna, sorpresa. Anche ipotizza che le emozioni siano risposte innate
Izard
ed universali, sostenute da circuiti biologici e neurali discreti, a stimoli cruciali per la sopravvivenza
e identifica dieci emozioni primarie: rabbia, gioia, paura, disgusto, disprezzo, interesse, vergogna,
sorpresa, colpa e disagio ( ha creato anche due test per lo studio delle emozioni: il MAX e l’EFFEX).
individua poi otto comportamenti adattativi a cui corrispondono otto emozioni di base:
Putchik
incorporazione (accettazione), rifiuto (disgusto), protezione (paura) distruzione (rabbia),
riproduzione (gioia), reintegrazione (tristezza), orientamento (sorpresa), esplorazione
(anticipazione). Uno dei più importanti e conosciuti sostenitori delle teorie evoluzionistiche è poi
il quale lega le emozioni alla sopravvivenze e identifica sei famiglie di emozioni di base
Ekman
ognuna delle quali è costruita attorno ad un tema centrale, innato ed universale, e si articola in
variazioni sul tema legate all’apprendimento e alle differenze individuali. Le emozioni di base di
Ekman sono rabbia, gioia, paura, tristezza, disgusto e sorpresa e possiedono determinate
proprietà: sono innate ed universali, presenti in altri animali, hanno antecedenti, basi fisiologiche
ed espressioni comuni e distinte, insorgenza rapida, automatica, di breve durata, non sono date da
una valutazione cognitiva o la valutazione è inconsapevole e sono coerenti nei vari aspetti. Da
queste teorie derivia secondo cui queste
l’ipotesi standard o programma delle espressioni facciali
sono gestal unitarie, universalmente condivise, sostanzialmente fisse, di natura categoriale,
diverse per ogni emozione, sorrette da circuiti neurali discreti e specifici. Esse sono costituite
secondo Ekman da unità motorie, cioè singoli movementi facciali combinati tra loro e possono
essere codificate in base al FACS, Facial Acting Coding System, un sistema da lui stesso inventato
per codificare ogni movimento facciale. Nonostante siano innate le emozioni e le espressioni
possono essere influenzate dalla cultura e dall’apprendimento in base alle display rules secondo
cui un’emozione può essere accentuata, attenuata, nascosta o simulata. Al di la di tali regole di
esposizione è comunque possibili secondo Ekman e Rosenberg distinguere tra emozioni reali e
simulate in base a quattro fattori: la morfologia per cui alcune unità d’azione sono difficilmente
simulabili, la simmetria per cui emozioni reali sono più simmetriche di quelle simulate, durata per
cui emozioni reali sono più lunghe di quelle simulate e decorso temporale per cui le emozioni reali
hanno un decorso più fluido e graduale di quelle false. Ekman verificò empiricamente le sue
ipotesi attraverso l’uso di materiale iconico: mostrava fotografia di attori con particolari
espressioni facciali a diversi soggetti, di culture differenti e chiedeva loro di associare l’espressione
all’emozione adatta. Il suo lavoro è stato però criticato in particolar modo da Russel che ha
sottolineato la scarsa validità ecologica degli stimoli utilizzati (rappresentavano emozioni di base e
non emozioni miste, più spesso provate) e la debolezza del disegno sperimentale che facilitava il
compito prevedendo una scelta forzata (propone teoria dell’universalità minima). Dagli
esperimenti di Ekman e da successivi è emerso inoltre come il riconoscimento sia migliore se
l’attore (colui che esprime l’emozione) e il detector (colui che riconosce l’emozione) appartengono
allo stesso gruppo culturale; questa evidenza ha portato alla formulazione della per
Dialect Theory
cui esisterebbero delle differenze dialettali nell’espressione delle emozioni. Altra teoria elaborata
nell’ambito delle espressioni facciali è secondo cui l’espressione
l’ipotesi del feedback facciale
facciale indurrebbe l’emozione; nella sua versione più debole essa afferma che l’espressione di
un’emozione può accentuarne l’intensità se coerente con essa o diminuirla se incoerente. Altro
ambito di studio di emozioni riguarda lo studio delle loro componenti psicofisiche e
neuropsicologiche, ambito che si occupa di individuare le configurazioni delle diverse emozioni a
livello del sistema nervoso centrale, del sistema nervoso autonomo, sia simpatiche che
parasimpatico, e del sistema endocrino. Queste configurazioni possono essere individuate
attraverso questionari od interviste come nel caso dell’ISEAR di Scherer in cui viene chiesto ai
soggetti di valutare la percezione dell’attivazione fisiologica legata ad eventi emotigeni vissuti;
attraverso l’indagine di risposte comportamentali come le espressioni facciali o corporee o
attraverso lo studio di fattori biologici. Questi si distinguono in fattori elettrici come l’attività
corticale o cardiaca, misurata attraverso EEG, ECG..; fattori non elettrici come la pressione
arteriosa o la temperatura e fattori biochimici come enzimi e ormoni. Ad inizio del XX secolo questi
studi si concentrarono nel dibattito tra periferalisti e centralisti. Secondo il senso comune
l’esperienza emotiva avviene seguendo una sequenza che va dall’evento emotigeno, all’esperienza
emotiva soggettiva e alla conseguente attivazione fisiologica. I in primis
periferalisti, James e
sostenevano invece